Sui furbetti del
cartellino si è detto ogni genere di commento negativo. Condannati
dall’opinione pubblica, malvisti dai colleghi onesti, stanati dai datori di
lavoro anche con l’utilizzo di investigatori privati, incarnano il dipendente
infedele per eccellenza, quello che consapevolmente e intenzionalmente pone in
essere condotte di mala fede e slealtà nei confronti del datore di lavoro tali
da incidere sul rapporto fiduciario e che, per questo, è meritevole di
licenziamento. Ma una recente sentenza della Corte di Cassazione ha evidenziato
la rilevanza anche penale di una tale condotta, che, ove si traduca in un danno
economicamente apprezzabile per il datore di lavoro, configurerebbe il reato di
truffa aggravata. Cerchiamo, allora, di capire meglio.
LA VICENDA esaminata dalla
sentenza in questione riguarda alcuni dipendenti che, sia in primo che in
secondo grado di giudizio, erano stati condannati per truffa continuata ed aggravata, secondo quanto previsto dagli
articoli 81, secondo comma, e 640, secondo comma numero 1, del codice penale.
Essi, infatti, dipendenti di un ente pubblico, avevano commesso, con più azioni
ed omissioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso ed in tempi
diversi, più violazioni della stessa legge. In particolare, con artifici e
raggiri, consistiti nell’omessa annotazione sul cartellino elettronico di
allontanamenti intermedi dal posto di lavoro, essi avevano attestato falsamente
la propria presenza in ufficio inducendo in errore l’amministrazione di
appartenenza e procurandosi così un ingiusto vantaggio patrimoniale, pari alla
retribuzione indebitamente percepita per i periodi di tempo durante i quali si
erano allontanati ingiustificatamente dal posto di lavoro. La Corte di
Cassazione ha pienamente condiviso tale valutazione della vicenda ed il suo
conseguente inquadramento giuridico, ritenendo manifestamente infondati ed
inammissibili i motivi di ricorso addotti dagli imputati (Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza del 09/11/2016,
n. 46964).
IN VIA DI PRINCIPIO, infatti, i giudici di
legittimità, richiamandosi ad altre pronunce emesse per fattispecie simili,
hanno ribadito che la falsa attestazione
del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui
cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata se il soggetto si
allontana senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della
scheda magnetica, i periodi di assenza. Infatti, l’omessa timbratura del
cartellino, in occasione di allontanamenti intermedi del dipendente, impedisce
il controllo, da parte di chi è tenuto alla retribuzione, sulla quantità
dell’attività lavorativa prestata, sia per un eventuale recupero del periodo di
assenza (ove previsto), sia per una detrazione correlativa dal compenso
mensile, costituendo pertanto una condotta idonea a trarre in inganno ed a far conseguire ingiusti profitti. Inoltre, una siffatta omissione è ancor più
giuridicamente rilevante se si pensa che il dipendente (nella specie) pubblico
è tenuto ad uniformarsi ai principi di
correttezza anche nella fase esecutiva del contratto e, pertanto, ha
l’obbligo giuridico di portare a conoscenza della controparte del rapporto di
lavoro non soltanto l’orario di ingresso e quello di uscita, ma anche quello
relativo ad allontanamenti intermedi tramite i sistemi all’uopo predisposti,
quindi, mediante la corretta timbratura del cartellino segnatempo o della
scheda magnetica, ove installati, o con ogni altra procedura equivalente, a
condizione che questa sia formale e probatoriamente idonea ad assolvere alla
medesima funzione (Corte di Cassazione,
quinta sezione penale, sentenza del 10/02/2016, n. 5550; Corte di Cassazione,
seconda sezione penale, sentenza del 10/08/2016, n. 34773).
UN DANNO ECONOMICAMENTE
APPREZZABILE!
Tuttavia, perché possa configurarsi l’ipotesi delittuosa sopra descritta, per
la Corte di legittimità è necessario che i periodi di assenza, abusivamente
fruiti dal dipendente, siano economicamente
apprezzabili, nell’arco del periodo retributivo. Cosa significa
economicamente apprezzabile? Per i giudici di legittimità, anche 1’indebita
percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di
retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un
danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica, in quanto danno apprezzabile non è sinonimo di danno
rilevante, non limitandosi il concetto alla mera consistenza quantitativa ma
investendo tutti gli aspetti pregiudizievoli per il patrimonio. Infatti, ciò
che rileva a questi fini è che l’inadempienza del pubblico dipendente
all’obbligo di prestare servizio secondo l’orario d’ufficio arreca di per sé un
danno alla amministrazione, essendo detto orario di lavoro prestabilito proprio
in funzione delle esigenze dell’amministrazione stessa, evidentemente disattese
o addirittura danneggiate dalle fraudolente assenze del dipendente.
IN SINTESI anche l’allontanamento di poche ore da parte
del dipendente pubblico può valere a configurare un danno economicamente
apprezzabile per l’amministrazione, a nulla valendo, per escludere il reato in
questione e per dare un alibi alla omessa timbratura dell’assenza, la specifica
tipologia dell’attività lavorativa che ne consente uno svolgimento sia
all’interno sia all’esterno dell’ufficio. Anche in tal caso, infatti, le uscite
del dipendente devono essere supportate da idonea comunicazione e/o
giustificazione documentale, oltre che accompagnate anche dal mero fatto visivo
di vederlo portare “fogli in mano, segno inequivoco di interesse lavorativo
nell’uscita” (Corte di Cassazione,
seconda sezione penale, sentenza del 11/07/2016, n. 28784).
Avvocato
Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando