Vendere un bene comporta
una serie di responsabilità per il venditore e, di conseguenza, molteplici
garanzie per il consumatore. Ciò è ancor più vero quando l’oggetto della vendita
ha caratteristiche particolari, come ad esempio il cibo. Esistono infatti, una
serie di regole che servono a tutelare la correttezza e lealtà contrattuale,
oltre che la necessità di immettere nel commercio un bene che presenti le
caratteristiche prescritte dalla legge. Tra queste troviamo anche una norma
penale che sanziona con la reclusione o la multa, la vendita di sostanze
alimentari alterate come invece genuine. Di tale condotta si sono occupati
recentemente i giudici della Corte di Cassazione che hanno confermato
l’orientamento finora vigente. Vediamo, quindi, di capire insieme qualcosa in
più sul significato di questa disposizione normativa…
COMMERCIO E VENDITA DI
PRODOTTI NON GENUINI SONO REATO! L’articolo 516 del codice penale sanziona, con
la reclusione fino a 6 mesi o con la multa fino a euro 1.032, la condotta di
chi pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze
alimentari che tali non sono. Trattasi di reato che, inserito all’interno del
Capo dedicato ai Delitti contro l’industria e il commercio, tutela la buona fede e correttezza negli scambi
commerciali; ciò si spiega perché vi sono altre norme nel codice penale che
garantiscono specificamente la distribuzione di beni che abbiano la capacità di
mettere in pericolo la salute della collettività (ad esempio il reato di
commercio di sostanze alimentari contraffatte e quello di commercio di sostanze
alimentari nocive). Quanto agli elementi essenziali per l’integrazione del
delitto punito ai sensi dell’art 516 del codice penale troviamo, in primo
luogo, quello della messa in vendita
o della messa in commercio. Si potrà far riferimento alla prima condotta
laddove l’azione si concretizzi in un vero e proprio contratto di vendita; la messa in commercio, invece, è formula
residuale con la quale si intende far riferimento a qualsiasi altro negozio
giuridico. In entrambe le ipotesi, però, lo scambio deve avvenire a titolo
oneroso e il bene deve essere posto all’interno del circuito economico.
LA GENUINITÀ DELLA SOSTANZA
ALIMENTARE
è l’elemento caratterizzante dell’ipotesi delittuosa, in assenza della quale
non si potrà emettere alcuna condanna. Come si evince dallo stesso tenore
letterale della disposizione di legge, è sanzionata la sola vendita (o messa in
commercio) di un alimento che non è più genuino. Per costante giurisprudenza,
una sostanza alimentare di qualsiasi forma non è più genuina quando non presenta più gli elementi nutritivi
propri di quel prodotto alimentare. Ad esempio, il pane “all’olio” quando invece
contiene strutto; il vino che non presenta la gradazione alcolica prescritta
dalla legge; vendita di carne suina che, però, è un mix con carne bovina e così
via. In altre parole, potrà trovare applicazione l’art 516 del codice penale
ogni qualvolta l’alimento sia modificato o alterato nelle sue componenti
naturali o, altresì, quando lo stesso sia privo delle caratteristiche
prescritte dalla legge. Tutto ciò non necessariamente coincide con il superamento della data di scadenza.
IL CASO Proprio da quest’ultima
affermazione è necessario partire per comprendere al meglio il caso deciso
recentemente dalla Corte di Cassazione. Due Carabinieri, fuori dall’orario di
servizio, acquistavano due pacchetti di patatine presso un locale commerciale
sito all’interno dello stadio della propria città. Già dal primo assaggio si
accorgevano che c’era qualcosa che non andava e, difatti, accertavano che la data di scadenza indicata sulla
confezione era già passata da un po’. A causa del superamento di tale
termine, le patatine avevano perso la loro freschezza e fragranza. La Corte di
Cassazione, rigettando il ricorso dell’imputato, ha confermato l’orientamento
della costante giurisprudenza affermando che “la messa in vendita di prodotti scaduti di validità integra il delitto
di cui all’art 516 c.p. solo qualora sia concretamente dimostrato che la
singola merce abbia perso le qualità specifiche, atteso che il superamento
della data di scadenza dei prodotti alimentari non comporta necessariamente la
perdita di genuinità degli stessi” (Cassazione
penale, Sezione III, Sentenza del 20 settembre 2016, n. 38841).
IN CONCLUSIONE possono essere immessi
nel circuito della vendita solo quei prodotti alimentari che presentano le
caratteristiche nutritive proprie del genere a cui appartengono. Aver
acquistato un alimento scaduto non
sempre comporta l’integrazione del delitto di vendita di sostanze alimentari
non genuine come tali (potendo, però, integrare altri e diversi reati!),
giacché è necessario che il bene non possa più essere qualificato come genuino
nei termini sopra evidenziati.
Avvocato
Licia Vulnera – Redazione Giuridicamente Parlando