Non sono infrequenti,
anzi. Tanto che l’AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha
sanzionato con multe salatissime importanti società energetiche per aver
utilizzato procedure di contrattualizzazione in violazione delle norme a tutela
dei consumatori, limitandoli, se non addirittura aggirandoli, nella libertà di
scelta. È lo scotto da pagare per la liberalizzazione del mercato energetico, come già per quello telefonico. Infatti se, da un lato, la sua
liberalizzazione ha portato l’indubbio beneficio di eliminare condizioni di
monopolio, creare concorrenza e dare ai consumatori la possibilità di scegliere
un diverso e più conveniente gestore, dall’altro, ha determinato anche effetti
negativi, quali il cosiddetto “turismo energetico” (non si pagano le bollette
e, prima che sia sospeso il servizio, si cambia fornitore) nonchè pratiche
commerciali molto aggressive, al limite della molestia e, in taluni casi,
addirittura ingannevoli e scorrette. È questo il caso delle cosiddette
forniture non richieste, ossia contratti non voluti o a cui si è
inconsapevolmente aderito. Come può accadere e cosa può fare in questi casi il
consumatore?
I PROCESSI DI ACQUISTO E
CONSUMO
si sono notevolmente evoluti negli ultimi anni. Le nuove tecniche commerciali
hanno reso sempre più snelle e veloci la trattativa e la negoziazione tra le
parti, introducendo nuove modalità di offerta e conclusione dei contratti, come
quelli a distanza, raccolti attraverso la rete degli agenti porta a porta o attraverso il canale telefonico (il cosiddetto teleselling in outbound). Tali modalità, però, se, da un lato,
agevolano le contrattazioni, dall’altro lato, laddove non utilizzate secondo principi di buona fede, correttezza e
lealtà, possono esporre i consumatori al rischio di formalizzare contratti
in assenza di un’adeguata conoscenza ed informazione sulla natura e lo scopo
del contatto, le caratteristiche e le condizioni contrattuali dell’offerta o
sulla stessa identità dell’interlocutore. Nella peggiore delle ipotesi,
addirittura in assenza del loro consenso. Nel primo caso, si avrà solo (si fa
per dire) una limitazione della capacità
di valutare compiutamente l’offerta e di dare un consenso informato. Nel
secondo caso, il consumatore si troverà a ricevere una prestazione non
richiesta e non voluta, per la quale verrà preteso un pagamento percepito,
evidentemente, come ingiustificato. Nel settore energetico, infatti, ove è
prassi stipulare i contratti a distanza o fuori dai locali commerciali,
numerosi (e purtroppo sempre attuali) sono i casi di forniture non richieste in
capo ad inconsapevoli utenti, il cui consenso o è ottenuto fraudolentemente
(pensando di sottoscrivere o accettare altro) o addirittura è alterato/falsato
(in assenza di qualsiasi sottoscrizione o con firme falsificate). Al di là
degli ovvi profili penalistici che tali pratiche commerciali possono rivestire,
i rimedi a cui può ricorrere il malcapitato consumatore sono di due tipi: l’uno
giudiziario e l’altro amministrativo.
IL RIMEDIO GIUDIZIARIO… si poggia sulla tutela
che il Codice del Consumo
espressamente riconosce ai consumatori in caso di forniture non richieste. Nel
novellato articolo 66 quinquies, infatti, il Decreto Legislativo n. 206/2005,
seppure per i soli clienti domestici,
testualmente esonera “dall’obbligo di
fornire qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta
di beni, acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale o di prestazione
non richiesta di servizi”, in quanto vietata dagli articoli 20, comma 5, e
26, comma 1, lettera f), del Codice medesimo, riguardanti appunto le pratiche
commerciali ingannevoli e aggressive, considerate scorrette. Per il Codice del
Consumo, infatti, se la fornitura non è stata richiesta, ma è solo l’effetto di
una pratica commerciale scorretta, di fatto all’offerta contrattuale non ha
corrisposto alcuna accettazione e, quindi, nessun
accordo contrattuale si è perfezionato. E, senza accordo, la fornitura non va pagata, a nulla
valendo quindi, in senso contrario, l’obiezione, sollevata da qualche operatore
economico che, seppure non richiesta, la fornitura è stata comunque resa e,
quindi, la prestazione va remunerata. D’altronde, per il Codice del Consumo,
anche il silenzio del consumatore (che può essere all’oscuro di tutto) non può
costituire consenso (che deve essere espresso, prima o al momento della
conclusione del contratto), senza il quale l’operatore economico non può
adempiere eseguendo una fornitura diversa da quella pattuita, anche se di
valore e qualità equivalenti o superiori. Il
silenzio quindi rimane silenzio, non vale assenso, non integra un accordo
orale né un comportamento concludente (per facta
concludentia) (così, Tribunale
Civile di Benevento, Sentenza n. 1403/2013; Tribunale Civile di Benevento, Sentenza
n. 1490/2013; Giudice di Pace di Pisa, Sentenza n. 859/2014).
…E QUELLO AMMINISTRATIVO è quello previsto e
gestito dall’AEEGSI, l’Autorità per
l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, nella Delibera del
19/04/2012 n. 153/2012/R/com. Esso consiste in un meccanismo di “ripristino” automatico del contratto
con il precedente venditore (voluto), che si attiva su reclamo del cliente, ma
è efficace solo se il venditore contestato accoglie tale reclamo o non fornisce
una documentazione idonea ed esaustiva a dimostrare che l’acquisizione del
cliente reclamante sia stata effettuata correttamente. È evidente che si tratta
di un rimedio meno efficace di
quello offerto dal Codice del Consumo, in quanto l’obiettivo che con esso
l’Autorità persegue non è quello di verificare l’esistenza di una fornitura non
richiesta ai sensi del Codice del Consumo e di sanzionarne le sottostanti pratiche commerciali scorrette con il mancato
pagamento di qualunque prestazione corrispettiva, ma, piuttosto, di favorire la composizione volontaria delle
controversie che insorgono tra imprese e clienti finali nei settori
dell’energia elettrica e del gas in materia di contratti. Da qui, pertanto, la
centralità dell’adesione al reclamo da parte del venditore non voluto e
l’imprescindibilità del pagamento della fornitura ricevuta, seppure al “prezzo
di tutela” (cioè quello indicato dall’Autorità) e scontato della quota di
remunerazione dell’attività del venditore.
UNO NON ESCLUDE L’ALTRO I due rimedi, infatti,
anche se agiscono su piani differenti, hanno efficacia e finalità diverse, sono tra loro complementari. La stessa
AEEGSI, d’altronde, ha precisato che il meccanismo del ripristino automatico
non costituisce una deroga dall’applicazione dell’articolo 66 quinquies del
Codice del Consumo, ma rappresenta un ulteriore
strumento di tutela del cliente finale, non sovrapponibile a quelli
previsti dall’ordinamento (quali la tutela giudiziaria e le disposizioni del
Codice del Consumo). Tale ampiezza di tutele, naturalmente, non deve esimere
gli operatori economici dal tenere comportamenti sempre trasparenti, corretti e
leali e dal non distorcere il mercato, né i consumatori dal prestare massima
attenzione alle offerte commerciali nonché quando comunicano i propri dati
personali o di fornitura e quando prestano il proprio consenso.
Avvocato
Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando