lunedì 29 febbraio 2016

SCUOLA: SCHIAFFEGGIARE L’ALUNNO È MALTRATTAMENTO, NON ABUSO DI MEZZI DI CORREZIONE


Se la questione è finita nuovamente nelle aule di Tribunale, al vaglio dei giudici, è perché purtroppo si è drammaticamente ripetuta e ha coinvolto soggetti indifesi che avrebbero dovuto, invece, essere protetti. L’ambiente scolastico, infatti, al pari di quello familiare, dovrebbe garantire lo sviluppo psico-fisico equilibrato dei bambini e dei giovani che ne fanno parte. Al di là, quindi, dello sgomento che si prova di fronte all’apprendimento del verificarsi di certi eventi, ciò che mi pare interessante segnalare, è l’approccio autorevole della magistratura di legittimità che ha stabilito, in sintesi, che gli schiaffi del docente non vanno inquadrati nel reato di abuso dei mezzi di correzione ma in quello diverso, e più severamente punito, dei maltrattamenti. La questione non è di poco conto poiché, a differenza di quanto avevano ritenuto i giudici del merito, la Suprema Corte ha non solo stabilito tale principio ma ha colto l’occasione per precisare che i due reati sono nettamente distinti tra loro. Ma vediamo nel dettaglio… 


IL FATTO Una maestra era stata condannata dal Tribunale alla pena prevista per il reato di maltrattamenti per aver inferto degli schiaffi a un alunno, condanna che era stata poi modificata dalla Corte d’Appello di Brescia e diversamente inquadrata nel reato di abuso dei mezzi di correzione per il quale è prevista una pena inferiore. La Cassazione ha, invece, accolto il ricorso della Procura Generale di Brescia che ha ritenuto appunto erronea la sentenza dei giudici dell’appello stabilendo che la condotta in questione doveva essere qualificata come maltrattamento. La Corte, nell’accogliere il solo ricorso della Procura Generale, rigettando invece quello della difesa, ha segnato una linea di confine tra i due istituti di diritto penale che, pur avendo qualche potenziale area di sovrapposizione, rimangono diversi. In particolare gli Ermellini hanno valorizzato con una certa incisività la circostanza per la quale la Corte d’Appello aveva operato una qualificazione della condotta materiale facendo leva sulla condotta materiale del colpevole ovvero “sull’intento con il quale le condotte violente erano state tenute” (Cassazione penale, Sezione IV, Sentenza del 10 febbraio 2016, n. 4170).

È COME SE SI TRATTASSE DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA Piuttosto stringata e risolta in un rinvio a una precedente sentenza della stessa Corte, la motivazione sottolinea, tuttavia, che lo spirito correttivo del docente non può arrivare a ricomprendere l’uso sistematico della violenza, sia fisica che morale, che rende, invece, la condotta pienamente assimilabile a quella prevista e punita dall’art. 572 codice penale (maltrattamenti in famiglia). Infatti, al pari del reato proprio dei maltrattamenti in famiglia, l’elemento caratterizzante è la continuità della condotta (non episodi singoli o isolati, ma il ripetersi delle condotte con apprezzabile continuità in un arco di tempo non necessariamente ristretto) e il rapporto tra chi compie il reato e l’alunno. 

UN RAPPORTO DI CONVIVENZA PROLUNGATA Il rapporto di convivenza prolungata che caratterizza il reato di maltrattamenti in famiglia è riconosciuto non solo all’interno del contesto familiare in senso stretto, ma in qualsiasi contesto nel quale vi sia una condivisione di spazi e tempi in soluzione continuativa; del pari, infatti, si è riconosciuto che ricorresse il reato di maltrattamento anche in relazione ad un ambito lavorativo nel quale tra colleghi o tra datore di lavoro e lavoratori si instauri una prolungata permanenza negli stessi spazi (Cassazione penale, Sezione VI, Sentenza n. 53425 del 2014). 

IN SINTESI l’elemento specifico che determina la differenza tra abuso dei mezzi di correzione e maltrattamento è la protrazione nel tempo. Se, infatti, è possibile che vi sia una pluralità di fatti anche nel reato di abuso di mezzi di correzione, laddove invece vi siano più episodi in un lasso di tempo, ristretto o prolungato, poco importa, allora si verserà nella più grave condotta di maltrattamento. La Corte, nel caso sottoposto alla sua attenzione, quindi ha ritenuto che la condotta tenuta dalla maestra rientrasse nel reato di maltrattamento in famiglia (ex art. 572 codice penale) e non in quello di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (ex art. 571 codice penale). La conseguenza è stata la conferma della responsabilità penale della maestra per il delitto di maltrattamento e l’annullamento della sentenza della Corte d’appello con rinvio ad altra sezione della stessa Corte territoriale per la rideterminazione della pena, stante appunto il reato di maltrattamento assai più grave sotto il profilo sanzionatorio dell’abuso di mezzi di correzione, il primo punito con la reclusione da due a sei anni, il secondo con la reclusione fino a sei mesi.


Avvocato Glauco Gasperini – Studio Comite