Viviamo in un’epoca in cui l’informazione è sempre più spettacolarizzata, punta all’emotività del pubblico e viene controllata o influenzata da poteri economici e politici, perdendo così spesso di vista la sua funzione di stimolo e formazione di una corretta opinione e cultura pubblica. Perciò, ritengo sia quasi didattica una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, che ricorda i principi e le autentiche finalità che devono sorreggere l’informazione e che appare, dunque, molto interessante non solo dal punto di vista giuridico. L’occasione è data da una sentenza della Corte di Appello di Milano che, ribaltando la pronuncia del giudice di primo grado, aveva assolto un redattore e il direttore del quotidiano Libero, notoriamente provocatorio e sensazionalistico, escludendone la portata diffamatoria di un articolo sull’assunto che con esso si fosse esercitato solo il diritto di critica. Interpretazione totalmente respinta dalla Suprema Corte, che, cogliendo nella notizia contenuta nell’articolo una intenzionale alterazione della verità, non vi ha affatto visto quell’attività di critica che invece avevano ravvisato i giudici dell’appello, in quanto questa presuppone comunque sempre la rispondenza al vero del fatto criticato. Cerchiamo di capire meglio
IL DIRITTO DI MANIFESTARE LIBERAMENTE IL PROPRIO PENSIERO Tutto parte da qui! Infatti, quando si parla di informazione, viene spesso tirato in ballo, o per farsene scudo o per trarne legittimazione, questo principio sancito dall’articolo 21 della Costituzione che rientra, tra l’altro, tra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’articolo 2 della stessa Costituzione. Riferito allo specifico settore dell’informazione, infatti, il diritto viene inteso come libertà di espressione del pensiero usata a fini informativi, configurando in capo a chi la esercita quasi un diritto/dovere di informare a qualunque costo, con qualunque mezzo, sempre e comunque. Ma, non è così. Come ogni altro diritto, anche il diritto di cronaca deve sottostare a limiti che consentono di precisarne il contenuto e di delimitarne l’ambito di esercizio, per non confliggere e per bilanciarsi con i diritti e gli interessi altrui, altrettanto meritevoli di tutela (quali il diritto all’onore e alla dignità personale). Ebbene, tali limiti, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione ribadita anche nella sentenza in esame, sono la pertinenza (cioè, i fatti narrati devono rivestire un oggettivo interesse per l’opinione pubblica), la continenza (cioè, l’esposizione dei fatti deve essere effettuata con modalità espressive adeguate allo scopo informativo, senza espressioni offensive, inutili e gratuite) e la verità (cioè, vi deve essere sostanziale corrispondenza tra i fatti come sono accaduti e i fatti come sono narrati) (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 17 febbraio 2016, n. 6463; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 22 luglio 2015, n. 15360; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 19 gennaio 2010, n. 690).
NON C’È INFORMAZIONE SENZA VERITÀ… Per i giudici di legittimità, è un fatto indiscutibile e valevole per il diritto di cronaca come anche per il diritto di critica. La critica, infatti, pur se aspra, corrosiva, distruttiva, radicale, impietosa, estrema, eccessiva, non può comunque prescindere mai dal presupposto della verità del fatto criticato. In caso contrario, la critica, oltre a determinare disinformazione, non è lecita, in quanto rischia di sfociare in un contesto diffamatorio e lesivo degli altrui diritti della personalità. Ma, qual è la verità che consente di distinguere ciò che è cronaca-critica da ciò che non lo è? Certamente, la verità oggettiva dei fatti riferiti. Ma anche quella che viene definita come verità putativa, ossia ritenuta tale dal giornalista in buona fede, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, e sempre se accompagnata dall’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (pertinenza) e dalla correttezza formale dell’esposizione (continenza).
…E NON C’È INFORMAZIONE SE LA VERITÀ È ALTERATA E MODIFICATA in maniera sottile attraverso la sapiente insinuazione, l’accostamento tendenzioso tra notizie e la maliziosa insinuazione (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 17 febbraio 2016, n. 6463). Infatti, secondo i giudici di legittimità, sono tutti comportamenti deprecabili e condannabili e che nulla hanno a che fare con un giornalismo degno di dirsi tale. Raccontare o criticare un fatto non vero o alterato costituisce non solo un inescusabile danno nei confronti del soggetto a cui viene ingiustamente attribuito un comportamento nella realtà non tenuto o diverso, ma determina anche una falsa comunicazione nei confronti dei destinatari della notizia di critica-cronaca e dei lettori di testate giornalistiche, che così vedono mortificato il loro diritto di essere informati correttamente.
I LETTORI VANNO SEMPRE TUTELATI sia perché al diritto di informare corrisponde un pari diritto ad essere correttamente informati sia perché la sentenza in esame rifiuta il concetto, spesso abusato, di lettore medio inteso come categoria di lettori che, quasi fossero culturalmente inferiori o limitati, sono meritevoli solo di una informazione approssimativa, imprecisa, all’ingrosso. Ammettere una simile tipologia di lettore, infatti, significherebbe legittimare una sorta di populismo della informazione, cioè un giornalismo riservato a lettori quasi di serie B e consistente in un’informazione scandalistica, che accomuna persone e fatti, impedendo all’opinione pubblica di formarsi su notizie che invece devono essere sempre chiare, distinte e puntuali, seppure usando un linguaggio volta per volta adeguato all’argomento trattato ed al pubblico a cui si rivolge.
IN CONCLUSIONE bisogna evitare un giornalismo troppo facile e sensazionalistico, un non-giornalismo che, invece di informare nel senso sopra precisato, mira unicamente ad esaltare la carica emotiva e provocatoria del fatto narrato, per portare il pubblico nella direzione che vuole e privarlo della possibilità di formarsi autonomamente e coscientemente una propria opinione, costruendo una notizia interessante solo ai fini commerciali attraverso l’utilizzo di un linguaggio ora eccessivamente semplificato ora arricchito di notizie sovrabbondanti ma inutili ai fini informativi e persino fuorvianti. Mi auspico che questa tirata di orecchie della Corte di Cassazione riporti sulla corretta via il mondo della comunicazione in genere, oggi così svilito e spesso affidato a mani inesperte.
Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando