Crescere un figlio non è semplice.
Occorre tanta pazienza ed essere costantemente attenti a tutto quello che lo
circonda, aiutandolo a compiere le scelte migliori sempre tenendo conto della sua
personalità. È come camminare su un filo che collega due grattacieli altissimi:
bisogna valutare ogni singolo passo e le implicazioni che lo stesso potrebbe
avere, perché camminare troppo velocemente o troppo piano o andare più sulla
sinistra che sulla desta o viceversa, potrebbe farci cadere e farci tanto male.
Essere genitori, ripeto, non è semplice specialmente in alcune situazioni
ambientali e sociali. Proprio per far fronte a quelle situazioni di difficoltà
in cui, per i più svariati motivi, due persone non sono in grado di fare da
madre e da padre, il nostro legislatore ha voluto tutelare il più possibile
l’interesse del figlio con la Legge 184 del 1983 rubricata “Diritto del minore
a una famiglia”. Cerchiamo di apprendere insieme i contenuti di questa
normativa e di conoscere la recente sentenza della Corte di Cassazione che si è
pronunciata su un caso alquanto particolare…
QUATTRO SONO I MODELLI DI ADOZIONE previsti
dal nostro legislatore, distinti a seconda dei presupposti richiesti dalla
legge. Il codice civile regolamenta l’adozione di persone maggiori di età; la
l. 184/1983 quella dei minori. In quest’ultima categoria, però, si è soliti
distinguere tra l’adozione dei minori legittimante, dei minori internazionale
e, infine, dei minori in casi particolari. Se l’adozione disciplinata nel
codice civile era stata ideata per consentire a coloro che non avessero
discendenti legittimi o legittimati di tramandare il proprio nome nel tempo
(oggi non è più così perché adottante può essere anche chi ha discendenti
purché maggiorenni), l’adozione dei minori si fonda su un diverso presupposto. L’art
1, al comma 4 della legge del 1983, infatti, prevede che un bambino possa
essere adottato quando la famiglia non è
in grado di provvedere alla sua educazione e al suo mantenimento, così come
richiesto anche dall’art 30 Cost. Presupposto è, pertanto, la necessità di
assicurare al minore la migliore crescita e il migliore sviluppo psico-fisico
possibile, senza l’intromissione di fattori negativi. Soffermandoci
sull’adozione legittimante, la legge richiede che il minore venga dichiarato in stato di adottabilità da
parte del Tribunale per i minorenni. Ciò avviene quando il figlio non riceve
un’adeguata assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti,
purché tale situazione non derivi da forza maggiore avente carattere
transitorio. Trattasi di uno status che si attribuisce solo quando altre
soluzioni non sono idonee a realizzare l’esigenza del minore di vivere in un
contesto familiare sano e adeguato, in quanto principio generale della l. 184
(intuibile già dalla sua rubrica) è il diritto
del figlio a crescere ed essere educato nella propria famiglia di origine.
LA VICENDA da
cui trae spunto questo mio articolo ha per protagonisti due fratelli dichiarati
in stato di adottabilità poiché i genitori non erano in grado di prendersi cura
di loro, essendo dediti al consumo di stupefacenti e avendo problemi
psicologici. A tale decisione si erano opposti i nonni paterni, intesi a dare una
casa e una serenità familiare ai due bambini. Nelle more del processo, però, si
è scoperto che uno dei due minori non era figlio biologico del padre e ciò ha
inciso sulla decisione dei giudici. Infatti è stata confermata la dichiarazione di adottabilità per entrambi i fratelli,
seppur con motivazioni differenti. Per il bambino non legato da alcun vincolo
genetico, i magistrati hanno ritenuto che i nonni non potessero opporsi allo
stato di adottabilità non potendosi ritenere parenti entro il quarto grado e,
pertanto, privi della legittimazione
processuale ad agire (così come richiede la L. 184). Per l’altro minore,
invece, si è preferito dichiararlo comunque adottabile per non dividerlo dal
fratello a cui era molto legato e, così, consentir loro di vivere insieme in
una nuova famiglia. Anche tale decisione, tuttavia, è stata impugnata dai due
nonni e portata dinanzi la Corte di Cassazione che, a sua volta, ha fornito una
soluzione differente per i due figli seppur motivando diversamente.
PER IL NIPOTE BIOLOGICO è
stato applicato il principio ispiratore della l. 184, ossia il diritto del minore a crescere nella propria
famiglia. Conseguentemente, è stata annullata la dichiarazione di adottabilità
e il minore potrà crescere con i nonni se questi saranno ritenuti idonei dal
giudice del rinvio. Tale annullamento deriva dalla circostanza per cui,
applicando l’assunto sopra detto, l’adozione diventa una strada percorribile solo ove diverse soluzioni non possano
essere adottate. Così come più volte affermato dalla nostra giurisprudenza,
infatti, il diritto del minore a crescere nella propria famiglia di origine può
soccombere solo ed esclusivamente quando quel clima familiare comprometterebbe
irrimediabilmente il normale sviluppo psico-fisico del bambino. Solo a seguito
di un rigoroso accertamento sulla stabilità del contesto familiare e
sull’idoneità dei membri a esercitare al meglio la responsabilità genitoriale
sarà possibile, eventualmente, sradicare il figlio da quel nucleo e porlo in
uno diverso e migliore. Tutto ciò è dimostrato, altresì, dalla predisposizione
da parte del legislatore di una serie di interventi volti a rimuovere, se
possibile, o contenere le situazione di difficoltà. L’art 1, al comma 3, L.184
sancisce infatti che lo Stato e le sue articolazioni hanno il dovere di
sostenere i nuclei familiari a rischio e ciò per evitare che i figli minori
possano essere abbandonati e non educati.
PER L’ALTRO FRATELLO
invece, i giudici hanno ritenuto di dover confermare
lo stato di adottabilità non tenendo conto dell’esigenza di non separare i
due bambini. Tale soluzione deriva da un’applicazione letterale della L. 184 e
dell’art 74 cod. civ., in forza dei quali possono opporsi alla dichiarazione di
adottabilità solo i genitori o i parenti entro il quarto grado. In tale ultima
categoria non rientravano i ricorrenti, poiché si era scoperto, come già detto,
che il loro figlio non era il padre del minore e, conseguentemente,
l’adottabilità è stata confermata anche dai giudici di legittimità. La norma,
seppur apparentemente ingiusta in tali casi, non può essere elusa perché si
fonda sulla presunzione che solo chi è legato da un vincolo di sangue possa avere
dei “diritti” e degli oneri nei confronti di una qualsiasi persona. Ecco perché
i due fratelli sono stati separati. I giudici, però, suggeriscono altre strade per riunirli. Secondo
quanto previsto dalla L. 184, infatti, i “non parenti” possono percorrere
l’ordinaria strada dell’adozione minorile o dell’adozione in casi particolari,
cosicché i nonni potranno ancora avere entrambi i nipoti sotto lo stesso tetto
rispettando, allo stesso tempo, la legge (Cassazione
civile, Sezione I, Sentenza del 24 novembre 2015, n. 23979).
IN CONCLUSIONE
tale sentenza ribadisce il principio fondante la L. 184 del 1983 secondo cui un
minore non può essere dichiarato adottabile se sussistono parenti, entro il
quarto grado, idonei ad assicuragli un corretto sviluppo psico-fisico. Non può,
pertanto, darsi rilievo a legami che seppur forti non si fondino su vincoli di
sangue. Principio di per sé corretto. In altre parole, la Suprema Corte pur
richiamando il rispetto delle norme vigenti, indica una possibile soluzione,
aderente al sistema vigente e allo stesso tempo soddisfacente per le esigenze
del caso concreto.
Avvocato
Licia Vulnera – Redazione Giuridicamente parlando