mercoledì 23 dicembre 2015

CONDOMINIO: DEBITI AI FORNITORI, DOVE ERAVAMO RIMASTI


Proseguendo il discorso iniziato con il precedente post, non si può fare a meno di ricordare un’altra novità della riforma del condominio che obbliga l’amministratore condominiale a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato allo stesso. Tra l’altro, ciascun condomino, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica. Il mancato rispetto di questo dovere può comportare la revoca giudiziale dell’incarico e questo ci fa subito capire che, con tale severo regime sanzionatorio, il Legislatore ha voluto garantire trasparenza e chiarezza nelle movimentazioni contabili nei confronti di tutti, in primis dei condomini. Prima le cose non stavano così…


PRIMA DELLA RIFORMA la Cassazione nella sua ultima decisione aveva affermato qualcosa che se da un lato confermava l’obbligo di apertura del conto dall’altro metteva in dubbio la legittimità della sanzione della revoca dell’amministratore per inadempimento. La giurisprudenza, specialmente di merito, era anch’essa orientata nell’affermare che l’amministratore pur in assenza di specifiche norme era tenuto a far affluire i versamenti delle quote condominiali su un apposito conto corrente separato intestato al condominio. Le controversie quindi generate da una lacuna normativa erano tante e la revoca dell’amministratore era possibile solo se, alla mancata apertura di un conto corrente intestato al condominio, si accompagnavano anche gravi irregolarità di carattere contabile e fiscale. Presa di posizione, in un certo qual modo, logica ma che poteva aprire una serie di interrogativi. La Legge, infatti, non stabiliva un obbligo di apertura del conto corrente e quindi l’imposizione veniva da una serie di considerazioni che portavano a quella conclusione. 

È POSSIBILE PIGNORARE IL CONTO CORRENTE CONDOMINIALE? Fatta questa premessa la risposta al quesito è affermativa. Infatti, considerata ora l’esistenza di un conto corrente condominiale stabilita dalla legge, il terzo creditore, a prescindere dalla parziarietà o meno dell’obbligazione, ha diritto di sottoporre a pignoramento le somme depositate sullo stesso, con evidente notevole risparmio di tempo e denaro. E infatti, se in fase di primo commento alla legge di riforma si era sostenuto erroneamente che il conto non fosse pignorabile, la prima giurisprudenza sul punto ha inesorabilmente smentito la tesi. Tanto è vero che prima il Tribunale di Reggio Emilia (con ordinanza del 15.05.2014), e poi quello di Milano (con ordinanza del 27.05.2014), hanno ritenuto che, nel momento in cui venga costituito un patrimonio intestato formalmente all’ente di gestione, si realizzi un’autonomia patrimoniale derivante proprio dalle attività di gestione che, per ciò solo, determinerebbe l’imputazione della titolarità di essi in capo esclusivamente al condominio. Secondo tale orientamento dal momento che le somme esistenti sono intestate formalmente all’ente di gestione, che ne può così disporre sulla base delle decisioni dell’organo assembleare, devono conseguentemente ritenersi sottratte alla disponibilità dei singoli condomini, con la conseguenza finale che si realizza quella evidenziata coincidenza tra soggetto debitore e titolare del patrimonio aggredito che consente l’attivazione della procedura esecutiva. 

IN ALTRE PAROLE i quattrini presenti sul conto corrente condominiale cessano di essere dei condomini singoli e diventano dell’ente di gestione. E infatti, negare la pignorabilità del conto corrente condominiale avrebbe comportato delle illegittime differenze di trattamento in casi sostanzialmente identici: si pensi al caso del pignoramento delle retribuzioni o la pensione del debitore, espropriabili nella misura di un quinto, salvo non confluiscano in un conto corrente bancario nel qual caso, perdono la loro specifica connotazione, rientrando nel patrimonio dell’obbligato, e sono pignorabili per intero. Esattamente come ritenuto dai Tribunali di Reggio Emilia e Milano.

LA DIFFICILE CONVIVENZA TRA PARZIARIETÀ E SOLIDARIETÀ Ciò detto, ritornando al concetto di parziarietà dell’obbligazione contratta dal condominio e, quindi, all’ipotesi di morosità dello stesso, si è da più parti osservato come questa evenienza dovrebbe riscontrarsi in casi residuali, che sfuggano alle varie garanzie ipotizzate (fondo per le opere straordinarie; obbligo di riscossione anche coattiva delle quote condominiali; pignorabilità del conto corrente condominiale) e che dovrebbero attenere essenzialmente alle spese cosiddette ordinarie, vale a dire quelle di manutenzione e conservazione delle parti comuni e alla prestazione di servizi comuni. La formulazione del novellato art. 63 delle disposizioni di attuazione al codice civile, purtroppo, non brilla per chiarezza, tanto da generare qualche dubbio, addirittura si è adombrata l’ipotesi della re-introduzione della solidarietà nelle obbligazioni condominiali. Si è anche già anticipato che la disposizione consente all’amministratore di riscuotere le quote condominiali sulla base del piano di ripartizione approvato dall’assemblea unitamente all’approvazione del preventivo, e di ottenere ingiunzione di pagamento, immediatamente esecutiva, senza alcuna autorizzazione della stessa, norma che  obbliga l’amministratore ad agire anche esecutivamente, entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio nel quale è maturato il credito.

SI TRATTA DI UNA DOPPIA GARANZIA Il passaggio che ha creato certe perplessità è il seguente: “I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”. La disposizione ha voluto apprestare una sorta di duplice garanzia, in favore del creditore e del condomino in regola con i pagamenti, disponendo il divieto per il creditore di agire nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti, se non dopo aver aggredito inutilmente il patrimonio degli effettivi debitori. In altri termini, il condomino in regola viene assimilato a un garante e infatti la norma in commento presenta dei caratteri di affinità con quella di cui all’art. 1944 del codice civile: “Il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale al pagamento del debito. Le parti però possono convenire che il fideiussore non sia tenuto a pagare prima dell'escussione del debitore principale”. Tuttavia, nel caso del fideiussore, la norma, contrariamente a quello che avviene in materia condominiale, parla espressamente di obbligato in solido, questo ad avvalorare la tesi che laddove il legislatore ha voluto disporre un vincolo di solidarietà, lo ha esplicitamente manifestato, e il beneficio dell’escussione è solo eventuale, dovendo essere concordato. Nel nostro caso, invece, l’obbligazione non risulta solidale e l’aggressione del patrimonio del condomino non moroso, diventa sussidiaria, eventuale e successiva a quella del patrimonio dell’effettivo debitore.

LA GARANZIA SECONDARIA PARZIALE Ora bisogna capire quando e quanto paga il condomino in regola nel caso in cui il fornitore agisca per recuperare i propri crediti. La funzione di garanzia prestata dal condomino in regola, sulla base della giurisprudenza formatasi ante riforma, ci porta a sostenere che tale garanzia è limitata al valore delle quote di proprietà. Pertanto il novellato art. 63 configura, per quelli in regola, una garanzia secondaria parziale che diviene operativa solo in caso di condomini morosi e con un patrimonio insufficiente, ma pur sempre limitata al valore millesimale della rispettiva quota. Ciò è vero ed è la regola a cui si sottraggono solo le eccezioni in merito alle obbligazioni solidali per cui la funzione di garanzia secondaria parziale del condomino in regola, cede il passo invece alla solidarietà disposta dal precetto normativo specifico, rendendo il credito del terzo esigibile per intero nei confronti anche del singolo condomino.

IN PRATICA COSA SUCCEDE? Il creditore del condominio, una volta ottenuto e notificato il titolo per agire esecutivamente nei confronti dello stesso dovrà attendere che l’amministratore, convocata l’assemblea, ripartisca il debito tra tutti i condomini in base ai rispettivi millesimi. Conseguentemente l’amministratore, incamerate le somme, dovrà versarle in favore del creditore, per estinguere il debito. Nel caso di condomino moroso, su richiesta del creditore insoddisfatto, l’amministratore dovrà necessariamente fornire i dati dello stesso. Tale adempimento è un vero e proprio obbligo di legge la cui violazione abilita il creditore ad agire giudizialmente per l’ottenimento dei dati richiesti, anche con la condanna alle spese di giudizio. In questi casi, gli strumenti giudiziari che l’ordinamento mette a disposizione del creditore potranno individuarsi nel giudizio ordinario, nel ricorso d’urgenza disciplinato dall’art. 700 del codice di procedura civile ovvero nello speciale procedimento regolato dagli artt. 702 bis e seguenti del codice di procedura civile. Una volta ottenuto il nominativo e i dati del condomino moroso, il creditore, dovrà notificare il titolo esecutivo e l’atto di precetto al condomino moroso. Questo passaggio è essenziale per il corretto avvio dell’eventuale esecuzione forzata e, infatti, il soggetto deve essere messo nelle condizioni di conoscere qual è il titolo ex art. 474 del medesimo codice, in virtù del quale viene minacciata in suo danno l’esecuzione, ma anche di potere adempiere l’obbligazione da esso risultante entro un termine previsto.

ATTENZIONE ALLA NOTIFICA Il titolo esecutivo giudiziale deve essere necessariamente notificato al medesimo condomino contro il quale si intende agire. L’omessa notifica consentirebbe al condomino l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi che risulterebbe assolutamente fondata. Altrettanto corretta sarebbe, quale logica conseguenza del principio di parziarietà, l’opposizione del condomino verso l’intimazione di pagamento dell’intero credito, considerato che lo stesso risponde esclusivamente nei limiti della quota millesimale di proprietà. In altri termini, l’importo del credito insoddisfatto, per essere correttamente esigibile, deve essere distribuito tra i condomini in regola con i pagamenti, in misura corrispondente ai millesimi di ognuno.

PRIMA BISOGNA AGIRE CONTRO I CONDOMINI MOROSI L’eventualità che anche i proprietari virtuosi debbano ripianare i debiti del condominio potrà avverarsi solo quando il creditore abbia esaurito infruttuosamente tutte le azioni possibili nei confronti di quei condomini che risultino essere gli effettivi debitori in mancanza, di giustificata opposizione da parte del condomino in regola con i pagamenti. In altri termini, per poter legittimamente richiedere il pagamento al condomino in regola, il creditore dovrà preventivamente intraprendere tutte le procedure, anche esecutive (mobiliari, immobiliari e presso terzi). Il creditore, quindi, dovrà dare la rigorosa prova di aver fatto tutto il possibile per soddisfare il proprio credito nei confronti del condomino moroso, prima di aggredire il patrimonio del condomino in regola, in mancanza, lo stesso potrebbe proficuamente opporsi all’esecuzione nei suoi confronti. Va da sé che il condomino che avrà assolto alla funzione di garanzia parziale secondaria, con il pagamento del debito di pertinenza del condomino moroso, avrà poi azione di regresso nei confronti dello stesso per la restituzione di quanto pagato per suo conto. Ovviamente con scarse possibilità di riuscire a riprendersi le somme versate.

A CHI SI PAGA? Quando si versi ancora nella fase pre-esecutiva, premesso che il condominio si pone, verso i terzi, come soggetto di gestione dei diritti e degli obblighi dei condomini, attinenti alle parti comuni, il pagamento da parte dei condomini della quota rispettiva, andrà necessariamente effettuato all’amministratore dello stabile e non in favore del creditore, dal momento che l’amministratore è rappresentante necessario della collettività dei partecipanti, sia quale assuntore degli obblighi per la conservazione delle cose comuni, sia quale referente dei relativi pagamenti. Proprio come afferma la Suprema Corte: “non è idoneo ad estinguere il debito “pro quota” il pagamento eseguito dal condomino direttamente a mani del creditore del condominio, se tale creditore non è munito di titolo esecutivo verso lo stesso singolo partecipante” (Cassazione civile, Sezione VI, Ordinanza del 17 febbraio 2014). Quindi attenzione: il pagamento effettuato direttamente al creditore del condominio, sempre che il creditore medesimo non si sia a sua volta munito di titolo esecutivo nei confronti del singolo condomino, non libererà lo stesso dal debito con il rischio di pagare due volte.


Dottor Massimo Botti – Studio Comite