Sebbene si tratti di un banalissimo decreto ingiuntivo,
emesso per il recupero di una somma altrettanto banale e nell’ambito di un
contratto di fornitura gas e luce come tantissimi altri, quello emesso qualche
mese fa dal Giudice di Pace di Venezia ha fatto, e fa ancora, notizia. Il
clamore deriva non tanto dal fatto che il soggetto ingiunto non è un cliente
moroso ma la società, rappresentata dal più grande operatore nazionale, ma dal fatto che con esso si è accolta la richiesta di
rimborso dell’IVA pagata da un cliente sulle accise di alcune fatture luce e
gas. È la famigerata “tassa sulla tassa”, ben nota agli operatori del settore:
la doppia tassazione delle bollette è uno dei motivi di reclamo più frequenti,
a cui gli operatori hanno sempre ed efficacemente risposto evidenziando il loro
ruolo di meri sostituti di imposta (in pratica incamerano imposte che versano
poi all’erario). Almeno finora. Le potenzialità di questo precedente, infatti,
sono state subito colte dalle associazioni di consumatori che, prefigurando
ricorsi massivi evocativi quasi di una class
action, già assaporano la prospettiva di future pronunce analoghe, con
effetti eclatanti. Ma, al di là dell’inevitabile demagogismo, è proprio così?
PER COMPRENDERE LA QUESTIONE credo che, prima di tutto, sia indispensabile sapere come
si compone una bolletta, il cui
dettaglio risulta quasi sempre di difficile lettura e comprensione per i non
addetti, a causa delle numerose informazioni che deve necessariamente includere
per garantirne la trasparenza ai consumatori. In questo, è di aiuto l’Autorità
di settore, l’AEEGSI (Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema
idrico), che, nel proprio sito, spiega in maniera semplice che la bolletta tipo
si compone di tre voci di spesa.
Sono i servizi di vendita, cioè il
prezzo del gas consumato o dell’energia; i servizi
di rete, cioè i costi per il trasporto, lo stoccaggio, la distribuzione e
la gestione del contatore gas o per il trasporto dell’elettricità dalle centrali
alle abitazioni e per la gestione del contatore; le imposte, che, nella bolletta elettrica, sono l’accisa (imposta
nazionale erariale di consumo) e l’IVA (imposta sul valore aggiunto), a cui
nella bolletta gas si aggiunge l’addizionale regionale. L’accisa e l’addizionale
regionale (spesso definite genericamente come accise) sono collegate al
consumo effettuato, mentre l’IVA si
applica alla somma di tutte le voci della bolletta, e cioè al costo dei servizi
di vendita, al costo dei servizi di rete e alle accise, appunto.
LA LEGITTIMITÀ DELL’APPLICAZIONE DI UN’IMPOSTA AD UN’ALTRA trova fondamento nella norma, tuttora vigente, contenuta
nell’articolo 13 del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,
n. 633, che, nel definire la base imponibile dell’IVA delle cessioni di beni e
delle prestazioni di servizi, fa riferimento all’ammontare complessivo dei
corrispettivi dovuti al cedente o prestatore, secondo le condizioni
contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti
o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente. Norma,
questa, confermata nel contenuto e rafforzata, dalla Sesta direttiva 77/388/CEE
del Consiglio, del 17 maggio 1977, il cui articolo 11, dopo aver chiarito al
comma 1, che la base imponibile per le
forniture di beni e le prestazioni di servizi è data dal corrispettivo versato
o da versare al fornitore o al prestatore da parte dell’acquirente, del
destinatario o di un terzo, al successivo comma 2, lettera A), espressamente
aggiunge che nella base imponibile si
devono comprendere anche le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad
eccezione della stessa imposta sul valore aggiunto. E non c’è dubbio che le
bollette gas e luce ricadano sotto la disciplina di queste norme, dal momento
che l’articolo 5 della Direttiva espressamente colloca le somministrazioni di
gas ed energia elettrica nella nozione di cessioni di beni, che a loro volta
costituiscono operazioni imponibili nel modo sopra illustrato.
IL DECRETO INGIUNTIVO IN QUESTIONE invece giunge a conclusione diversa rifacendosi a tal fine
ad una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, chiamate a
decidere sulla questione specifica riguardante la determinazione della base
imponibile della tassa di lotteria di cui all’articolo 52 del Regio Decreto
Legge del 19 ottobre 1938, n. 1933, avevano sancito il principio secondo cui, in
assenza di apposita previsione normativa, la componente fiscale non costituisce
prezzo e quindi non fa parte della base imponibile (Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza del 29 aprile 1997, n. 3671).
Per la verità, anche la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione,
all’epoca in cui è stata emessa, ha rappresentato una sorta di precedente, in
quanto, seguendo un iter argomentativo diverso, ha deviato dall’orientamento
prevalente tracciato sul medesimo argomento da sentenze precedenti della stessa
Corte di Cassazione che, ritenendo non estraneo né contrario all’ordinamento
tributario la situazione di un’imposta gravante su un’altra imposta, avevano
invece affermato che solo su specifica previsione normativa si può determinare
la base imponibile del tributo al netto di un altro tributo (Cassazione, sentenza del 28 luglio 1194, n.
7067; Cassazione, sentenza 16 marzo 1994, n. 3061).
MA UNA SENTENZA NON È UNA LEGGE Infatti, seppure fossero corretti e condivisibili il
ragionamento seguito dal Giudice di Pace di Venezia ed il suo richiamo al
principio generale enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione con
riferimento ad una specifica tassa disciplinata da una normativa che non è il
Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972, il suo decreto ingiuntivo
vale comunque solo nel caso trattato ed al più può rappresentare un precedente
giurisprudenziale, più o meno percorribile dai giudici che in futuro potrebbero
trattare la medesima questione. Nulla più. Senza
un intervento legislativo che incida sulla normativa fiscale vigente, gli
operatori energetici continueranno ad emettere fatture con l’applicazione
dell’IVA nei termini sopra illustrati, come peraltro ci conferma
l’esperienza recente in materia di imposte sui rifiuti. Infatti, per eliminare
definitivamente l’applicazione dell’IVA alla TIA, Tariffa di Igiene Ambientale
(già TARSU), a nulla sono valse una sentenza della Corte Costituzionale ed una
sentenza della Corte di Cassazione, che riconoscendone la natura di “tassa” e
non di “tariffa”, avevano sancito l’inapplicabilità dell’IVA e l’illegittimità
della doppia imposizione effettuata dai Comuni (Corte Costituzionale, sentenza del 24 luglio 2009, n. 238; Cassazione Civile,
sezione V, sentenza del 9 marzo 2012, n. 3756). Si è dovuto, infatti,
attendere l’intervento del legislatore, che recependo le istanze provenienti da
più parti, ha introdotto con la Legge di stabilità 2014 del 27 dicembre 2013,
n. 147, la nuova TARI, che non prevede più il pagamento dell’imposta sul valore
aggiunto.
CONCLUDENDO quindi
sembra che, al di là dell’ampio risalto che ha avuto, in realtà il decreto
ingiuntivo prometta più di quanto possa in realtà dare. Ancor più se si pensa
che le imposte delle fatture gas e luce, oggetto del contendere, afferiscono ad
un servizio (di erogazione), che la lettera b) del quinto comma dell’articolo 4
del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972 considera espressamente
soggetto ad IVA, in quanto servizio commerciale, anche quando esercitato da
enti pubblici, con ciò configurandone le accise quasi come una componente
tariffaria legata al consumo effettuato dal cliente e quindi soggetta ad IVA,
conformemente a quanto sancito dall’art. 11 comma 2, lettera A), della Direttiva Comunitaria già ricordata.
Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente
parlando