Tra le numerose modifiche introdotte dal Decreto Legge n.
83, pubblicato in Gazzetta Ufficiale sabato 27 giugno, meritano uno sguardo di
attenzione anche quelle che riguardano il pignoramento del conto corrente
bancario intestato al debitore, sino ad ora possibile senza limiti.
L’intenzione del Legislatore sembra essere quella di salvaguardare sia gli
interessi dei creditori a vedere soddisfatto il proprio legittimo diritto di
riscossione sia quelli dei debitori a non essere privati dei mezzi economici
per sopravvivere. A dirla tutta la normativa in questione non fa altro che
recepire un’esigenza più volte evidenziata dai giudici e dalle associazioni
rappresentative di alcune parti sociali, ovvero pensionati e lavoratori. Sembra,
dunque, essere il frutto di una concertazione che contempera esigenze
contrapposte per non scontentare nessuno. A mio avviso è necessario, allora,
chiarire e porre bene in evidenza in che modo si possa d’ora innanzi procedere
al blocco del conto corrente e con quali limiti, laddove lo stesso sia
alimentato con denari provenienti da pensione, o altre indennità assimilabili
ad essa, e da stipendio. Peraltro, quest’ultima espressione sembra richiamare
unicamente i proventi da lavoro dipendente, lasciando intendere che, invece, i
redditi da lavoro autonomo non siano sottoposti ad alcun limite, creando una
sperequazione di trattamento, contraria ai criteri di ragionevolezza stabiliti
dalla nostra Costituzione, che ci si auspica venga corretta al più presto e
magari già in occasione della prossima discussione che si terrà in Parlamento
finalizzata alla conversione in legge delle norme appena varate in via
d’urgenza dal Governo. Ma, in concreto cosa cambia? Vediamolo insieme …
LA VECCHIA DISCIPLINA ANDAVA CAMBIATA Alcuni giudici, sollecitati in tal senso anche dalle difese
e dalle argomentazioni di noi avvocati, hanno accolto le eccezioni di incostituzionalità delle norme che sostanzialmente stabilivano o comportavano un trattamento diverso per i pignoramenti
effettuati alla fonte, vale a dire presso il datore di lavoro, e quelli effettuati invece sulle somme
confluite sul conto corrente bancario o postale dei debitori, sottoponendo
la questione alla Corte Costituzionale. Emblematica, in proposito, risulta
l’ordinanza emessa dal dott. Alessandro Maggiore, giudice del Tribunale di
Lecce, la quale ha bene evidenziato l’illegittimità, sotto il profilo dei
principi dettati dalla nostra Carta costituzionale, dei disposti normativi
richiamati (art. 12 del Decreto Legge n. 201/2011, poi convertito nella Legge
n. 214/2011 e art. 3, comma 5, del Decreto Legge n. 16/2012, poi convertito
nella Legge44/2012 che avrebbero dovuto prevedere una modifica dell’art. 545
del codice di procedura civile). Tali norme violerebbero i principi di ragionevolezza (art. 3 della
costituzione) e solidarietà sociale
(art. 38 della costituzione) e, pertanto, ad avviso del giudicante, andavano necessariamente
sottoposte al vaglio del Giudice delle Leggi (Tribunale di Lecce, Sezione Commerciale, GOT dott. Alessandro Maggiore,
Ordinanza del 12 febbraio 2014).
I LIMITI PRIMA DELLA RIFORMA Prima delle recenti modifiche i redditi derivanti da
pensione o altre indennità e dagli stipendi, una volta confluiti sul conto
corrente del debitore, potevano essere pignorati dal creditore al 100%. Ciò
significa che quest’ultimo poteva bloccarli notificando alla banca, e al
debitore, un atto chiamato letteralmente pignoramento
presso terzi in modo tale da rendere inutilizzabili
le somme presenti sul conto corrente, quanto meno per l’ammontare del
credito vantato oltre alla metà, per esigenze
personali del debitore. Questa situazione di stallo permaneva fino all’assegnazione al creditore delle
somme a questi spettanti da parte del giudice del processo esecutivo. È
chiaro che in tale situazione il creditore, una volta individuato il conto
corrente (diventato obbligatorio per la tracciabilità dei pagamenti superiori a
mille euro), godeva di una speciale tutela che gli consentiva di appropriarsi
anche di tutto ciò che era, fino a tale momento, confluito sul conto corrente
(tra le tante Cassazione Civile, Sezione
Lavoro, Sentenza del 9 ottobre 2012, n. 17178). Gli unici limiti erano
costituiti dal fatto che non si potevano pignorare i singoli versamenti ma solo il saldo positivo presente sul conto
corrente, né si poteva aggredire il massimo scoperto, vale a dire la quota
utilizzabile di fido concesso dalla banca al correntista. Qualora, inoltre, il
conto corrente fosse risultato cointestato a due o più soggetti, il
pignoramento poteva e può essere efficace solo nei limiti della metà o della percentuale
calcolata in base al numero degli intestatari, in quanto il saldo esistente al
momento della notifica del pignoramento si presume, in mancanza di prova
contraria, di proprietà di tutti gli intestatari solidalmente in misura uguale.
DA QUANDO ENTRANO IN VIGORE LE NUOVE NORME? Occorre tenere presente che le disposizioni del Decreto
Legge n. 83/2015, riguardanti il pignoramento sono entrate in vigore lo stesso giorno della pubblicazione in Gazzetta
ufficiale, ovvero il 27 giugno
appena passato. Ciò significa che si applicano alle procedure esecutive in
corso e, quindi, qualora non sia ancora trascorso il termine assegnato dalla
legge per l’opposizione al provvedimento di assegnazione delle somme, ovvero
venti giorni decorrenti da quando si è avuta conoscenza del provvedimento, è
possibile ricorrere al giudice dell’esecuzione per chiedere e ottenere la
rideterminazione degli importi assegnati secondo la nuova disciplina.
ORA È FONDAMENTALE IL MOMENTO IN CUI LE SOMME VENGONO
ACCREDITATE SUL CONTO CORRENTE DEL DEBITORE
L’art. 13 del Decreto Legge n. 83 ha modificato ed integrato l’art. 545 del
codice di procedura civile regolamentando le ipotesi in cui pensioni e salari
non sono ancora stati pagati al debitore e sono, dunque, ancora nella
disponibilità del datore di lavoro o dell’Ente Previdenziale e ipotesi, invece,
in cui le somme dovute a titolo di stipendio,
salario, altre indennità relative al
rapporto di lavoro o di impiego, comprese
quelle dovute a causa del licenziamento, nonché a titolo di pensione, o di assegni di quiescenza siano già confluite sul conto corrente
bancario o postale intestato al debitore. In tale ultima circostanza il
Legislatore detta una disciplina diversa a
seconda del momento in cui vengono accreditate tali somme e, quindi,
qualora il conferimento sia avvenuto prima
della notifica del pignoramento possono,
a far data dal 27 giugno, essere
pignorate per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale (448,52 x
3), vale a dire oltre l’importo di euro 1.345,56. Qualora, invece, gli
importi, per tali titoli, giungano sul conto contestualmente al pignoramento o successivamente allo stesso saranno
pignorabili solo entro i limiti dettati dal terzo, quarto, quinto e settimo
comma del nuovo art. 545 nonché dalle speciali disposizioni di legge e
quindi per crediti alimentari (si pensi al contributo al mantenimento per
coniuge e figli determinato a seguito di separazione e divorzio) entro i limiti
autorizzati dal giudice ma non oltre il quinto di tali importi, in caso di
concorso di causali (stipendio + pensione) non oltre la metà degli importi
pervenuti sul conto corrente, nel caso di pensione (o indennità che tengono
luogo di pensione o assegni di quiescenza) nella misura massima della pensione
sociale aumentata della metà (448,52 + 224,26) ovvero euro 672,78.
MA ANCHE LA PROVA DELLA CAUSALE DEGLI IMPORTI Tenendo conto del contenuto delle nuove norme, si comprende
come oggi risulti quanto mai utile per il terzo che riceve l’atto di
pignoramento, vale a dire banca o ufficio postale, avere traccia delle causali
delle somme pervenute sul conto corrente del pignorato poiché tali istituti di
credito potranno bloccare i conti entro i predetti limiti solo se le somme
confluite derivino da pensioni (e simili) o stipendi e salari. Ne deriva che, fuori da tali causali, il conto corrente del debitore resta
aggredibile senza limiti. L’estratto conto, con l’indicazione delle causali
che tracciano la provenienza delle entrate, diventa allora fondamentale per
stabilire se banca o posta hanno bloccato il conto nella misura corretta ed
indicata dalle nuove norme.
OLTRE I NUOVI LIMITI IL PIGNORAMENTO È PARZIALMENTE
INEFFICACE Il pignoramento eseguito in violazione
dei divieti e oltre i limiti previsti dalle norme appena varate e da quelle già
esistenti, ovvero dalle speciali disposizioni di legge, è parzialmente
inefficace e l’inefficacia (parziale) è
rilevata dal giudice dell’esecuzione anche d’ufficio, vale a dire anche
senza che siano i soggetti interessati a far valere l’erroneità del
pignoramento. Ciò significa, per esempio, che qualora venga bloccato un importo
superiore a quello che la legge consente possa essere pignorato, il giudice lo
rimetterà nella disponibilità del debitore senza che il creditore possa dire
nulla in proposito.
Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite