lunedì 6 luglio 2015

PIGNORAMENTO: BLOCCO DEL CONTO CORRENTE IN BANCA OK, MA PENSIONE E STIPENDIO NON SI TOCCANO (O QUASI)


Tra le numerose modifiche introdotte dal Decreto Legge n. 83, pubblicato in Gazzetta Ufficiale sabato 27 giugno, meritano uno sguardo di attenzione anche quelle che riguardano il pignoramento del conto corrente bancario intestato al debitore, sino ad ora possibile senza limiti. L’intenzione del Legislatore sembra essere quella di salvaguardare sia gli interessi dei creditori a vedere soddisfatto il proprio legittimo diritto di riscossione sia quelli dei debitori a non essere privati dei mezzi economici per sopravvivere. A dirla tutta la normativa in questione non fa altro che recepire un’esigenza più volte evidenziata dai giudici e dalle associazioni rappresentative di alcune parti sociali, ovvero pensionati e lavoratori. Sembra, dunque, essere il frutto di una concertazione che contempera esigenze contrapposte per non scontentare nessuno. A mio avviso è necessario, allora, chiarire e porre bene in evidenza in che modo si possa d’ora innanzi procedere al blocco del conto corrente e con quali limiti, laddove lo stesso sia alimentato con denari provenienti da pensione, o altre indennità assimilabili ad essa, e da stipendio. Peraltro, quest’ultima espressione sembra richiamare unicamente i proventi da lavoro dipendente, lasciando intendere che, invece, i redditi da lavoro autonomo non siano sottoposti ad alcun limite, creando una sperequazione di trattamento, contraria ai criteri di ragionevolezza stabiliti dalla nostra Costituzione, che ci si auspica venga corretta al più presto e magari già in occasione della prossima discussione che si terrà in Parlamento finalizzata alla conversione in legge delle norme appena varate in via d’urgenza dal Governo. Ma, in concreto cosa cambia? Vediamolo insieme …

LA VECCHIA DISCIPLINA ANDAVA CAMBIATA Alcuni giudici, sollecitati in tal senso anche dalle difese e dalle argomentazioni di noi avvocati, hanno accolto le eccezioni di incostituzionalità delle norme che sostanzialmente stabilivano o comportavano un trattamento diverso per i pignoramenti effettuati alla fonte, vale a dire presso il datore di lavoro, e quelli effettuati invece sulle somme confluite sul conto corrente bancario o postale dei debitori, sottoponendo la questione alla Corte Costituzionale. Emblematica, in proposito, risulta l’ordinanza emessa dal dott. Alessandro Maggiore, giudice del Tribunale di Lecce, la quale ha bene evidenziato l’illegittimità, sotto il profilo dei principi dettati dalla nostra Carta costituzionale, dei disposti normativi richiamati (art. 12 del Decreto Legge n. 201/2011, poi convertito nella Legge n. 214/2011 e art. 3, comma 5, del Decreto Legge n. 16/2012, poi convertito nella Legge44/2012 che avrebbero dovuto prevedere una modifica dell’art. 545 del codice di procedura civile). Tali norme violerebbero i principi di ragionevolezza (art. 3 della costituzione) e solidarietà sociale (art. 38 della costituzione) e, pertanto, ad avviso del giudicante, andavano necessariamente sottoposte al vaglio del Giudice delle Leggi (Tribunale di Lecce, Sezione Commerciale, GOT dott. Alessandro Maggiore, Ordinanza del 12 febbraio 2014).

I LIMITI PRIMA DELLA RIFORMA Prima delle recenti modifiche i redditi derivanti da pensione o altre indennità e dagli stipendi, una volta confluiti sul conto corrente del debitore, potevano essere pignorati dal creditore al 100%. Ciò significa che quest’ultimo poteva bloccarli notificando alla banca, e al debitore, un atto chiamato letteralmente pignoramento presso terzi in modo tale da rendere inutilizzabili le somme presenti sul conto corrente, quanto meno per l’ammontare del credito vantato oltre alla metà, per esigenze personali del debitore. Questa situazione di stallo permaneva fino all’assegnazione al creditore delle somme a questi spettanti da parte del giudice del processo esecutivo. È chiaro che in tale situazione il creditore, una volta individuato il conto corrente (diventato obbligatorio per la tracciabilità dei pagamenti superiori a mille euro), godeva di una speciale tutela che gli consentiva di appropriarsi anche di tutto ciò che era, fino a tale momento, confluito sul conto corrente (tra le tante Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 9 ottobre 2012, n. 17178). Gli unici limiti erano costituiti dal fatto che non si potevano pignorare i singoli versamenti ma solo il saldo positivo presente sul conto corrente, né si poteva aggredire il massimo scoperto, vale a dire la quota utilizzabile di fido concesso dalla banca al correntista. Qualora, inoltre, il conto corrente fosse risultato cointestato a due o più soggetti, il pignoramento poteva e può essere efficace solo nei limiti della metà o della percentuale calcolata in base al numero degli intestatari, in quanto il saldo esistente al momento della notifica del pignoramento si presume, in mancanza di prova contraria, di proprietà di tutti gli intestatari solidalmente in misura uguale.

DA QUANDO ENTRANO IN VIGORE LE NUOVE NORME? Occorre tenere presente che le disposizioni del Decreto Legge n. 83/2015, riguardanti il pignoramento sono entrate in vigore lo stesso giorno della pubblicazione in Gazzetta ufficiale, ovvero il 27 giugno appena passato. Ciò significa che si applicano alle procedure esecutive in corso e, quindi, qualora non sia ancora trascorso il termine assegnato dalla legge per l’opposizione al provvedimento di assegnazione delle somme, ovvero venti giorni decorrenti da quando si è avuta conoscenza del provvedimento, è possibile ricorrere al giudice dell’esecuzione per chiedere e ottenere la rideterminazione degli importi assegnati secondo la nuova disciplina.

ORA È FONDAMENTALE IL MOMENTO IN CUI LE SOMME VENGONO ACCREDITATE SUL CONTO CORRENTE DEL DEBITORE L’art. 13 del Decreto Legge n. 83 ha modificato ed integrato l’art. 545 del codice di procedura civile regolamentando le ipotesi in cui pensioni e salari non sono ancora stati pagati al debitore e sono, dunque, ancora nella disponibilità del datore di lavoro o dell’Ente Previdenziale e ipotesi, invece, in cui le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa del licenziamento, nonché a titolo di pensione, o di assegni di quiescenza siano già confluite sul conto corrente bancario o postale intestato al debitore. In tale ultima circostanza il Legislatore detta una disciplina diversa a seconda del momento in cui vengono accreditate tali somme e, quindi, qualora il conferimento sia avvenuto prima della notifica del pignoramento possono, a far data dal 27 giugno, essere pignorate per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale (448,52 x 3), vale a dire oltre l’importo di euro 1.345,56. Qualora, invece, gli importi, per tali titoli, giungano sul conto contestualmente al pignoramento o successivamente allo stesso saranno pignorabili solo entro i limiti dettati dal terzo, quarto, quinto e settimo comma del nuovo art. 545 nonché dalle speciali disposizioni di legge e quindi per crediti alimentari (si pensi al contributo al mantenimento per coniuge e figli determinato a seguito di separazione e divorzio) entro i limiti autorizzati dal giudice ma non oltre il quinto di tali importi, in caso di concorso di causali (stipendio + pensione) non oltre la metà degli importi pervenuti sul conto corrente, nel caso di pensione (o indennità che tengono luogo di pensione o assegni di quiescenza) nella misura massima della pensione sociale aumentata della metà (448,52 + 224,26) ovvero euro 672,78.

MA ANCHE LA PROVA DELLA CAUSALE DEGLI IMPORTI Tenendo conto del contenuto delle nuove norme, si comprende come oggi risulti quanto mai utile per il terzo che riceve l’atto di pignoramento, vale a dire banca o ufficio postale, avere traccia delle causali delle somme pervenute sul conto corrente del pignorato poiché tali istituti di credito potranno bloccare i conti entro i predetti limiti solo se le somme confluite derivino da pensioni (e simili) o stipendi e salari. Ne deriva che, fuori da tali causali, il conto corrente del debitore resta aggredibile senza limiti. L’estratto conto, con l’indicazione delle causali che tracciano la provenienza delle entrate, diventa allora fondamentale per stabilire se banca o posta hanno bloccato il conto nella misura corretta ed indicata dalle nuove norme.

OLTRE I NUOVI LIMITI IL PIGNORAMENTO È PARZIALMENTE INEFFICACE Il pignoramento eseguito in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dalle norme appena varate e da quelle già esistenti, ovvero dalle speciali disposizioni di legge, è parzialmente inefficace e l’inefficacia (parziale) è rilevata dal giudice dell’esecuzione anche d’ufficio, vale a dire anche senza che siano i soggetti interessati a far valere l’erroneità del pignoramento. Ciò significa, per esempio, che qualora venga bloccato un importo superiore a quello che la legge consente possa essere pignorato, il giudice lo rimetterà nella disponibilità del debitore senza che il creditore possa dire nulla in proposito.


Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite