martedì 21 luglio 2015

AGENZIA DELLE ENTRATE: PRELIEVI AL BANCOMAT NON DOCUMENTATI, PROFESSIONISTI BASTONATI!


Vero, verissimo! Quando ho letto la notizia su alcuni quotidiani on line non volevo crederci e, quindi, ho cercato conferme. Ebbene, si tratta proprio di questo. L’attuale Governo, in virtù di una Legge delega, denominata delega fiscale, emanata nel 2014 dal nostro Parlamento, ha appena sottoposto al vaglio, obbligatorio ma non vincolante, della commissione parlamentare competente per materia, alcuni decreti legislativi che di fatto regolamentano, entro i limiti dettati appunto dalla delega, la materia fiscale. Tra questi decreti legislativi ve n’è uno che si occupa di rivedere il sistema sanzionatorio in caso di violazione delle norme che disciplinano il nostro sistema fiscale e tributario. Vi assicuro che non è stato semplice scovare il codicillo e, dopo aver seguito alcune delle indicazioni seminate nei vari articoli che ho esaminato, ho impiegato oltre un’ora per individuare la famigerata norma che, se confermata dopo il parere parlamentare, creerà non pochi problemi a tutti i liberi professionisti e lavoratori autonomi già vessati da un sistema fiscale impositivo il quale, soprattutto negli ultimi otto anni, ha sostanzialmente ridotto alla fame l’intera categoria. Quello di oggi, quindi, oltre ad essere uno sfogo ed un appello accorato rivolto ai nostri ministri, innanzitutto al rispetto di principi giuridici fondamentali e poi in ogni caso al buon senso, vuole essere un invito indirizzato a tutti coloro che abbiano voglia di leggere queste poche righe a porre l’attenzione su una tematica intricata e subdolamente ricca di trappole, talvolta letali… 

DOVE SI TROVA LA NORMA IN QUESTIONE? L’art. 15 dello schema di decreto legislativo n. 183 (uno dei tanti attuativi della delega), presentato il 27 giugno appena trascorso (insieme ad altri quattro schemi) dal Governo al Parlamento perché esprima il proprio parere, ripeto obbligatorio ma non vincolante per il Consiglio dei Ministri, aggiunge un comma 7 bis all’art. 11 del decreto legislativo n. 471 del 1997, il quale dispone che “La mancata o inesatta indicazione del soggetto beneficiario delle somme prelevate o degli importi riscossi nell’ambito dei rapporti e delle operazioni di cui all’artico 32, primo comma n. 2 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è punita con sanzione dal 10 al 50% delle predette somme, salvo che non risultino dalle scritture contabili”. 

COSA COMPORTEREBBE SE CONFERMATA In parole semplici, dal momento in cui tale norma verrà introdotta nel nostro ordinamento giuridico, ovvero nell’ipotesi scellerata in cui il nostro Governo, per i poteri legislativi che gli sono stati delegati, dovesse confermarla, dopo il parere della commissione parlamentare cui ora è sottoposta, i professionisti e i lavoratori autonomi (vale a dire coloro che posseggono una partita IVA) che dovessero prelevare somme in contanti allo sportello bancomat dovranno annotarsi, con rigore certosino, come spendono tali denari. Qualora, infatti, in caso di accertamento fiscale mancasse la prova relativa alla modalità di utilizzo di tali prelievi (fino a cinque anni indietro), l’Agenzia delle Entrate, capitanata ora da Rossella Orlandi, cui probabilmente si deve l’abile mossa, presumerebbe che il nero produca altro nero. Ciò significa che se il contribuente con partita IVA preleva troppo, probabilmente sta alimentando traffici in nero e quindi deve essere colpito da tassazione (sanzione che va da un minimo del 10% ad un massimo del 50% delle somme prelevate e non giustificate) proprio come se avesse avuto un ricavo. È assurdo, iniquo e antigiuridico ma è proprio quanto madame Rossella Orlandi sta tentando di far passare con la complicità, immagino consapevole, del nostro Consiglio dei Ministri. 

UNA MOSSA DIABOLICA… Quando ho letto la notizia, pensando alla suprema Agenzia delle Entrate, ho avuto la sensazione di trovarmi in un film dell’orrore ed ho visualizzato in modo netto innanzi a me l’immagine di un personaggio maligno dal ghigno crudele e assassino. Scusate la digressione ma non potevo fare a meno di condividere con i miei affezionati lettori questa fantasia, tanto era forte e nitida. Eh sì, perché se la questione fosse circoscritta alla sanzione legata ai prelievi di denaro privi di giustificazione ed alla richiamata presunzione di alimentare l’evasione fiscale, qualcuno di voi potrebbe obiettare che si tratta della solita indignazione dello spocchioso libero professionista cui è stata pestata la coda e che protesta per mantenere i propri privilegi. Ma non è così! Come si desume dalle azzeccatissime considerazioni del giornalista Nicola Porro si tratta di un metodo praticamente sistematico, certo e travestito di legalità per somministrare l’ennesimo balzello ingiusto, e soprattutto ingiustificato, ad una categoria di lavoratori e contribuenti che è oramai esangue per essere già stata ampiamente tartassata (rectius: tassata). 

…DA CUI NON SI POTRÀ USCIRE! Mi spiego meglio: annotare da bravi ragionieri le causali delle spese e i beneficiari delle stesse non sarebbe sufficiente poiché in caso di accertamento il contribuente è tenuto a documentare tali spese. In pratica ciò significa che a fronte del rilascio di ogni mancia occorrerebbe farsi rilasciare una ricevuta dal ricevente che attesta nome e cognome della persona che ha avuto l’elargizione, per la cortesia che è stata capace di profondere (carino no?), la data in cui questo piccolo dono è stato ricevuto e naturalmente i dati anagrafici del soggetto che ha avuto il buon cuore di erogare la sommetta. Ancora, quando si tenterà la fortuna acquistando un grattino occorrerà farsi rilasciare oltre allo scontrino una dichiarazione che attesta che chi ha acquistato siete proprio voi e non un altro; così per il pacchetto di sigarette visto che lo scontrino che ci viene rilasciato non è parlante (come accade per esempio per i farmaci qualora si voglia portare in deduzione tale spesa) e non indica quindi il codice fiscale di chi ha acquistato. Questo significa che lo scontrino, tanto accuratamente conservato, magari facendone copia perché la carta chimica dopo un po’ sbiadisce (alla faccia della salvaguardia dell’ambiente), non vale a niente poiché non prova che quell’acquisto sia stato fatto proprio dalla persona che ha prelevato il contante al bancomat. Insomma l’intellighèntzia del nostro Governo, e della sua abile consigliera, ha partorito una norma senza dire nulla sulle modalità concrete attraverso cui sarebbe possibile rispettarla. Ma non facevano prima a chiamarla “tassa sul prelievo bancomat” anziché travestirla da sanzione per i contribuenti furbetti? 

ANCORA QUALCHE RIFLESSIONE IMPORTANTE Quanto ho evidenziato purtroppo non basta. Qualora il Governo non facesse dietrofront, la norma sarebbe praticamente applicabile in ogni caso di accertamento fiscale poiché non fa alcun riferimento al concetto di “netta sproporzione tra reddito e prelievi”. L’Agenzia delle Entrate potrebbe dunque utilizzare questo grimaldello nel corso di qualunque accertamento decida di intraprendere chiedendo a migliaia di piccoli imprenditori ed artigiani nonché liberi professionisti di esibire le prove su come siano stati spesi i contanti dei prelievi bancomat degli ultimi cinque anni. Poiché è praticamente impossibile fornire ciò che il fisco chiede, i contribuenti finirebbero con il pagare qualcosa che in realtà hanno già pagato come tassa sul reddito. Insomma è già deprecabile che si debbano pagare imposte su ciò che si è sudato e guadagnato lavorando per quattordici ore al giorno ma pensare di tassare nuovamente quel poco che resta è davvero ignobile! 

STORIA VECCHIA CHE SI RIPROPONE La norma in questione per la verità era già presente nel nostro ordinamento, anche se scritta in un modo un po’ diverso. Mi riferisco al comma 402, lettera a) n. 1) dell’unico articolo di cui si compone la Legge finanziaria del 2005 (Legge 30 dicembre 2004, n. 311) in relazione ai titolari di reddito da lavoro autonomo. Tale norma, tuttavia, dopo aver succhiato il sangue di molti contribuenti per circa dieci anni, è stata dichiarata contraria ai principi della nostra Carta costituzionale. Il giudice delle leggi ha infatti rilevato che la presunzione contenuta nella norma è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito, con conseguente dichiarazione di illegittimità dell’art. 32 comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge 30 dicembre 2004, n. 311. Il disposto normativo introdotto dalla finanziaria del 2005 peraltro pur riferendosi ai soli lavoratori autonomi titolari di reddito d’impresa veniva di fatto applicato dai giudici tributari anche ai professionisti a nulla valendo i ricorsi in Cassazione, quasi tutti favorevoli all’Agenzia delle Entrate. È per tale motivo che la Consulta ha decretato l’illegittimità di tale norma messa in dubbio dalla Commissione Tributaria della Regione Lazio (ordinanza di rimessione n. 27/29/2013). Tra gli altri motivi di illegittimità la Corte ha rilevato tra l’altro che il principio contenuto nella norma era contrario agli articoli 53 e 3 della Costituzione poiché per il reddito da lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa (Corte Costituzionale, Sentenza del 6 ottobre 2014, n. 228). Viene, dunque, da chiedersi come sia possibile tanta sfrontatezza: ciò che è uscito rumorosamente dalla porta sta per rientrare dalla finestra in nome, oggi come allora, della lotta all’evasione fiscale. Ma si tratta davvero di questo?

ALLA FACCIA DEL FISCO AMICOVogliamo un fisco amico”, tuona ripetutamente il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. È uno dei suoi slogan politici preferiti, alla base della riforma fiscale da lui propugnata secondo cui il fisco si dovrebbe trasformare da controllore a consulente. E, così, il fisco amico perseguirà le irregolarità ma avrà anche un occhio di riguardo verso chi fatica a pagare le tasse, gli atti di accertamento diventeranno avvisi bonari ed i concordati con i contribuenti non dovranno essere considerati condoni perché le tasse vanno comunque pagate per il bene del Paese. Questa è una piccola parte della favola, attraverso cui si edulcorano le solite fregature e, soprattutto le medesime metodologie. Anzi, per la verità ora se vogliamo è anche peggio poiché al “Grande Fratello” sono stati conferiti poteri di spionaggio (leggasi: lotta all’evasione) come mai prima d’ora era accaduto. Poteri che, a dirla tutta, nulla hanno a che vedere con il benessere dei cittadini e che mirano unicamente ad ingrassare le casse dello Stato per ripianare il debito pubblico. Quel debito che, a mio avviso, i governanti degli ultimi vent’anni dovrebbero contribuire a colmare in modo sostanzioso in virtù della loro pacifica incapacità di amministrare la cosa pubblica. Ma si sa: “chi sbaglia paga” è, purtroppo, una regola a senso unico che riguarda solo i governati e mai i governanti! Lascio a voi ogni altra considerazione, umana prima ancora che giuridica… 


Avvocato Patrizia Comite  - Studio Comite