Ho appena finito di esaminare la meritevole pronuncia,
emessa dalla terza sezione civile della Suprema Corte, in tema di
responsabilità medica, di cui tanto si è parlato nelle ultime settimane e che
merita indubbiamente attenzione. Devo dire che in barba ai recenti, isolati e
inopportuni tentativi di scardinare l’attuale sistema risarcitorio (mi
riferisco, naturalmente, alla nota sentenza del giudice meneghino, Patrizio
Gattari, che ha impropriamente inquadrato la natura della responsabilità del
medico nell’ambito degli illeciti extracontrattuali, con negative ripercussioni
sulla tutela dei danneggiati), che individua correttamente la natura della responsabilità
dei sanitari nel noto criterio del “contatto sociale”, la decisione in questione
non solo ha il merito di riconfermare tale principio ma ha inoltre fatto
chiarezza su un altro importante capitolo di questa complicata materia. Finalmente
i giudici, con ammirevole processo logico e interpretativo, hanno affermato la
regola in base alla quale l’Azienda Sanitaria Locale (ASL), cui spetta il
compito di erogare ai cittadini i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), è
responsabile unitamente al medico generalista, vale a dire quello che
comunemente chiamiamo “di famiglia”, per gli errori professionali commessi da
quest’ultimo. Ma i passaggi logici che devono essere portati all’attenzione di
tutti, sono molteplici…
SECONDO I GIUDICI DELL’APPELLO L’ASL NON HA RESPONSABILITÀ I giudici della Corte D’Appello di Torino, ribaltando la
pronuncia del magistrato di prime cure, avevano ritenuto che l’ASL non fosse
responsabile insieme al medico di famiglia per l’errore professionale commesso
da quest’ultimo. Tale assunto si fondava sulla circostanza per la quale tra ASL e paziente non si instaura un
contratto dal momento che la prestazione viene domandata al medico di base.
Inoltre, a giudizio dei magistrati torinesi, non si crea un contatto sociale dal
momento che l’ASL non è neppure a
conoscenza della richiesta di prestazioni effettuata dal paziente e rivolta
unicamente al medico generico. Né ancora si può far ricorso al principio,
contenuto nell’art. 2049 del codice civile, per il quale l’ASL risponderebbe
per i fatti commessi dal medico
convenzionato essendo un preposto della stessa, ciò in quanto quest’ultimo è un libero professionista del tutto
autonomo, scelto dal paziente in piena libertà, sul quale la stessa ASL non
esercita alcun potere di vigilanza, controllo o direzione. Né, infine, si può
fare ricorso al rapporto di immedesimazione organica poiché il medico di base non è dipendente della
ASL, né è chiamato a estrinsecare all’esterno la volontà dell’ente o è
soggetto a direttive nell’ambito della sua peculiare attività professionale. L’inserimento
del medico di base nell’organizzazione territoriale della ASL si esaurisce,
dunque, sul piano organizzativo-amministrativo, ma non tocca “certamente il
contenuto squisitamente professionale della prestazione del medico di base”,
che non viene sindacata dalla stessa ASL, non essendovi alcuna norma che
attribuisce a quest’ultima “un potere di vigilanza e controllo sul contenuto
specifico della prestazione professionale medica del medico di base” (così
anche Cassazione penale, Sezione IV,
Sentenza del 23 settembre 2008, n. 36502; Cassazione penale, Sezione IV,
Sentenza del 16 aprile 2003, n. 34460).
LA CASSAZIONE RIBALTA TALE APPROCCIO Dopo aver esaminato il quesito posto dai ricorrenti, vale a
dire i parenti della vittima, i giudici di legittimità hanno totalmente accolto
la tesi difensiva di questi ultimi ed hanno, quindi, stabilito che l’ASL è
responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1228 del codice civile, del fatto
illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza
medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove
resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.S.N. in base ai
livelli stabiliti secondo la legge. In altre parole, i giudici della Suprema
Corte, partendo da un’attenta e rigorosa analisi della legislazione posta alla
base dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.), esercitato
proprio dalle ASL (vecchie U.S.L., Unità Sanitarie Locali), precisano con
chiarezza esemplare che le prestazioni curative effettuate dal medico di base
in convenzione non sono altro che l’espressione di quel dovere di assistenza, disciplinato dall’ordinamento giuridico, che
la ASL fornisce attraverso i propri dipendenti oppure attraverso i medici
parasubordinati, vale a dire quelli convenzionati proprio in virtù di una
convenzione. A differenza del libero professionista, dunque, il medico
convenzionato non viene direttamente retribuito dal cliente-paziente ma dalla
ASL che detiene appositi elenchi che il cittadino consulta per la scelta del
medico di fiducia. Una volta che l’utente abbia dichiarato la propria
preferenza, il medico convenzionato prescelto non può rifiutare la prestazione
sanitaria. In sintesi, dunque, la sentenza in esame ha ridefinito totalmente i
rapporti tra sistema sanitario e medico di famiglia ritenuto, sino a quel
momento, niente di più che un libero professionista esclusivamente responsabile
per gli errori commessi durante l’esercizio della propria attività
professionale.
LA LEGGE ISTITUTIVA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE TUTELA
LA SALUTE La Legge n. 833 del 23 dicembre 1978
rappresenta l’attuazione concreta del principio contenuto nell’art. 32 della
costituzione che espressamente tutela la salute della persona attraverso la
previsione di un sistema, ispirato al
principio della partecipazione democratica all’attuazione dello stesso
Servizio Sanitario (art. 1, comma terzo), di tutela indifferenziata (artt. 1 e 3) e globale (art. 2), anche tramite l’individuazione e la fissazione,
in sede di approvazione del Piano Sanitario Nazionale (art. 53), dei “livelli
delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i
cittadini” (art. 3).
LA PRESTAZIONE CURATIVA È UN OBBLIGO DI LEGGE A CARICO
DELL’ASL Nell’elenco delle prestazioni
“curative” la Legge n. 833 del 1978 include proprio l’assistenza
medico-generica prestata ai cittadini, quali utenti del S.S.N., attraverso le
U.S.L. (ora A.S.L.) sia in forma ambulatoriale sia in forma domiciliare
assicurando i livelli di prestazioni stabiliti dal Piano Sanitario Nazionale. Tale
prestazione curativa viene di fatto erogata
attraverso personale dipendente del servizio pubblico (laddove le A.S.L.
prevedano tale modulo organizzativo) oppure tramite il medico convenzionato operante nel Comune di residenza
dell’utente scelto tra quelli inseriti in apposito elenco. La preferenza viene,
quindi, manifestata nei confronti della A.S.L. e produce i suoi effetti nei
riguardi di quest’ultima e non del medico scelto in virtù del rapporto di
convenzionamento con la medesima azienda sanitaria locale. Del pari l’utente
può rinunciare alla scelta operata, ma sempre nei confronti dell’A.S.L., così
come il medico può ricusare l’utente, motivando tale atto, che resta comunque
sindacabile da parte dell’azienda. In ogni caso il medico convenzionato non può
in alcun modo rifiutare la prestazione curativa di medicina generica proprio in
virtù del convenzionamento. Tale sistema non è cambiato a seguito delle riforme
intervenute nel 1992 e, quindi, l’utente non ha alcun obbligo remunerativo nei
riguardi del medico di fiducia il quale viene appunto remunerato dalla ASL.
IL MEDICO CONVENZIONATO È UN PARASUBORDINATO Il rapporto di convenzionamento da luogo non già ad un
rapporto di lavoro subordinato (e, dunque, di pubblico impiego), bensì ad un
rapporto di lavoro autonomo “parasubordinato” (e, dunque, di “prestazione di
opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale”, ai sensi dell’art.
409 del codice di procedura civile, comma 1, n. 3), trattandosi, dunque, di un
rapporto professionale che si svolge, di norma, su un piano di parità, sebbene
sia comunque costituito “in vista dello scopo di soddisfare le finalità
istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute
pubblica” (così, tra le tante, Cassazione
civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 13 aprile 2011, n. 8457).
I CITTADINI FINANZIANO IL FONDO SANITARIO CON LE IMPOSTE L’assistenza medico-generica in quanto prestazione
curativa, assicurata e garantita dal S.S.N., secondo livelli definiti dal Piano
Sanitario Nazionale, rinviene le risorse finanziarie necessarie dal “fondo
sanitario nazionale” alimentato da un contributo
dei cittadini che la giurisprudenza ritiene essere di natura tributaria, quale imposta (e non già tassa per la
fruizione di un servizio), con destinazione del relativo gettito alla copertura
di spese pubbliche, nonché riconducibile, quale sovraimposta IRPEF, alle
imposte sui redditi, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, art. 2 (Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza del 6
febbraio 2009, n. 2871).
QUAL È LA NATURA DI TALE OBBLIGAZIONE? La natura dell’obbligazione che grava sulla A.S.L. di
rendere la prestazione curativa medico-generica non deriva, quindi, né da un
contratto né da un fatto illecito ma, come stabilito dall’art. 1173 del codice
civile, da ogni “altro atto o fatto idoneo a produrla in conformità dell’ordinamento
giuridico”. La disciplina applicabile è
dunque quella delle obbligazioni in
generale e cioè quella dettata dagli articoli 1173 e seguenti del codice
civile. Peraltro con riguardo agli effetti ultimi si tratterà di obbligazione
contrattuale e di conseguenza, segnatamente nella sua fase patologica si
applicheranno le norme contenute negli articoli 1218 e seguenti del codice
civile. In altri termini il cittadino-utente assume la veste di creditore nei
confronti della A.S.L. che essendo tenuta ad erogare la prestazione curativa
per conto del S.S.N. assume la veste di debitore. La responsabilità di chi si
avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della
propria obbligazione contrattuale trova allora radice non già in una colpa in
eligendo degli ausiliari o in vigilando circa il loro operato, bensì nel
rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione,
sul principio “cuius commoda, cuius et incommoda”, o, più precisamente,
dell’appropriazione o “avvalimento” dell’attività altrui per l’adempimento
della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni
che al creditore ne derivino (così Cassazione
civile, Sezione III, Sentenza del 6 giugno 2014, n. 12833).
IL MEDICO DI FAMIGLIA È SOLO UN AUSILIARIO Il medico generico convenzionato è ausiliario della A.S.L.
quanto all’adempimento da parte di quest’ultima, dell’obbligazione ex lege di
prestare assistenza medico- generica all’utente iscritto negli elenchi del
S.S.N.. Il medico convenzionato non è, infatti, parte di detto rapporto
giuridico obbligatorio, di durata, ma interviene nella fase del suo
svolgimento, per rendere la prestazione curativa che la USL è tenuta per legge
ad erogare secondo livelli prestabiliti normativamente. E l’adempimento dovrà avvenire nell’ambito
di tale predeterminata prestazione, come tale soggetto al controllo della stessa ASL rimanendo la prestazione
medesima, ovviamente, libera nei contenuti tecnici-professionali suoi propri
(come, del resto, lo è in tutti i casi in cui essa viene prestata, sia in
regime di subordinazione, che libero professionale), in quanto espressione di
opera intellettuale a carattere scientifico, oggetto di protezione legale (art.
2229 del codice civile).
MA RESTA OBBLIGATO ANCH’EGLI VERSO IL PAZIENTE PER IL
CONTATTO SOCIALE Con riguardo alla natura della
responsabilità del medico convenzionato nei confronti dell’utente con il quale
non sussiste alcun vincolo negoziale od obbligatorio, ex lege preesistente all’espletamento
in concreto della prestazione curativa, è sufficiente osservare che essa è da
ricondursi al “contatto sociale”, tenuto
conto dell’affidamento che egli crea per essere stato prescelto per rendere
l’assistenza sanitaria dovuta e sulla base di una professione protetta. La sua
prestazione (e per l’effetto il contenuto della sua responsabilità) per quanto
non derivante da contratto, ma da altra fonte (art. 1173 cod. civ.), ha un
contenuto contrattuale.
Avv. Patrizia Comite - Studio Comite