mercoledì 17 dicembre 2014

CYBERBULLISMO: UN LATO OSCURO DELLA RETE


Purtroppo le cronache attuali riportano, pressoché quotidianamente, episodi più o meno riprovevoli e drammatici di cyberbullismo, ossia un fenomeno sociale particolarmente diffuso soprattutto tra gli adolescenti e consistente in atteggiamenti e comportamenti finalizzati ad offendere, spaventare, umiliare ed intimidire la vittima prescelta tramite i mezzi elettronici quali, ad esempio, la posta elettronica, i messaggi sms e mms ed i social network, oltre alla messaggeria istantanea (nota ai più come chat), i blog ed i siti web. Tale fenomeno si è sviluppato negli ultimi anni per ovvie ragioni, dal momento che nell’era della comunicazione 2.0 basta davvero poco per raggiungere ogni lato del globo con post, tweet, commenti e simili, usando internet, più o meno volontariamente, come una vera e propria cassa di risonanza. Credo allora utile analizzare nel dettaglio i profili giuridici di questo fenomeno…

CYBERBULLISMO: IL BULLISMO ENTRA NEL WEB Il fenomeno del cyberbulllismo, termine peraltro coniato dal più che famoso educatore canadese Bill Belsey, discende da quello del bullismo tradizionale, che si verifica nella vita reale, ma, proprio in ragione della peculiarità delle modalità di concretizzazione, acquista caratteristiche proprie, così riassumibili:

anonimato del molestatore: di fatto, tuttavia, tale connotato è solo apparente, dal momento che ogni comunicazione elettronica lascia delle tracce, ma è evidente che per la vittima risulti comunque difficile risalire al proprio molestatore, a meno che non si rivolga alle autorità;

difficile reperibilità: se il cyberbullismo avviene via sms, messaggistica istantanea o mail indirizzate a persone terze, oppure in forum privati con ingresso controllato, è più difficile individuarlo e porvi rimedio, in quanto la vittima non è a conoscenza dell’attività diffamatoria svolta a suo danno;

assenza di sensibilità etica: il più delle volte, l’anonimato e la difficile reperibilità delle condotte moleste, unite alla possibilità di essere un’altra persona online, conferiscono una sorta di sicurezza nel molestatore, che difficilmente nella vita reale si comporterebbe nello stesso modo, con il rischio di essere individuato e denunciato;

assenza di limiti spaziali e temporali: mentre il bullismo tradizionale avviene, di solito, in luoghi e momenti specifici (ad esempio, nel contesto scolastico o lavorativo), il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo, a prescindere dal luogo in cui si trovano i soggetti coinvolti.

IL CYBERBULLISMO È REATO? Il fenomeno del cyberbullismo, soprattutto alla luce delle recenti riforme legislative, viene ricondotto alla fattispecie penale codificata all’art. 612 bis del codice penale, rubricato Atti persecutori, meglio conosciuto con il termine di stalking (dal termine anglosassone to stalk, ovvero “fare la posta alla preda”), che così dispone: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici

VIOLENZA INFORMATICA = AGGRAVAMENTO DELLA PENA I casi di cronaca recenti, che hanno visto come protagonisti non solo adolescenti, che hanno deciso di togliersi la vita perché incapaci di sopportare il peso delle angherie e delle vessazioni subite da coetanei compagni di scuola, ma anche donne, dapprima tormentate e poi barbaramente uccise, hanno dunque spinto il Legislatore ad intervenire, al fine di combattere tale dilagante mal costume, mediante l’inasprimento delle pene previste per il reato di stalking laddove questo venga commesso mediante strumenti informatici e telematici. A tal proposito, infatti, il 17 Agosto 2013 è entrato in vigore il Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93, recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, convertito, poi, nella Legge 15 ottobre 2013, n. 119, il quale, contemplando tra l’altro nuove aggravanti anche per il reato di stalking, si poneva l’obiettivo fondamentale di prevenire la violenza di genere, punendola in modo certo laddove la prevenzione non fosse bastata, proteggendo le vittime da ulteriori violenze e soprusi. Fra le disposizioni contenute nel Decreto Legge n. 93/2013, rileva appunto, ai fini del presente contributo, la modifica del secondo comma del succitato art. 312 bis del codice penale, in quanto è stato previsto un aumento di pena laddove vi sia utilizzo di strumenti informatici o telematici. 

LA GIURISPRUDENZA: POCHE PRONUNCE, MOLTI SPUNTI DI APPROFONDIMENTO Ovviamente, essendo il fenomeno in commento recentissimo in termini di riconoscimento legislativo, anche il panorama giurisprudenziale, sia di merito sia di legittimità, risulta limitato, in quanto le pronunce in materia sono ancora pochissime; nonostante ciò, tuttavia, gli spunti di riflessione sono in continuo aumento, dal momento che la delicatezza della tematica necessariamente suscita l’esigenza di concretizzare la tutela dovuta alle vittime. Una pronuncia degna di nota è sicuramente la sentenza n. 18/2012 del Tribunale di Teramo, nella quale i Giudici ritenevano responsabili i genitori dei cyberbulli ai sensi dell’art. 2048 del codice civile (secondo cui i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi, sia per quanto concerne gli illeciti comportamenti che scaturiscano da omessa o carente sorveglianza sia con riguardo agli illeciti riconducibili ad oggettive carenze educative che si manifestino nel mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare), dal momento che non avevano impedito che i propri figli creassero un apposito gruppo su Facebook per denigrare una compagna di scuola, evidentemente venendo meno ai propri doveri genitoriali in ordine alla vigilanza sull’effettiva acquisizione dei valori educativi da parte dei figli. Recentemente, poi, è intervenuta la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla presenza sul web di un video in cui un ragazzo disabile veniva schernito e picchiato dai compagni di scuola. In tale circostanza, i giudici hanno affermato che la responsabilità del reato ricade unicamente su chi ha realizzato e caricato in rete il video, in violazione del divieto di diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute (dato sensibile) di un persona (Cassazione penale, Sezione III, Sentenza del 3 febbraio 2014, n. 5107).

CODICE DI AUTOREGOLAMENTAZIONE: LA BOZZA È STATA APPROVATA A tal proposito, pare opportuno segnalare ai nostri lettori il fatto che è stata approvata, lo scorso 8 gennaio 2014, la prima bozza del Codice di Autoregolamentazione sul cyberbullismo, alla cui stesura hanno collaborato il Ministero dello Sviluppo Economico, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la Polizia postale e delle comunicazioni, la Direzione Centrale della Polizia Criminale, l’Autorità per la privacy, il Garante per l’infanzia e Comitato media e minori, nonché diverse Associazioni (Confindustria digitale, Assoprovider) e operatori (Google, Microsoft), segno evidente della crescente attenzione che il fenomeno del cyberbullismo sta suscitando, definito nella bozza medesima come l’insieme di atti di bullismo e di molestia effettuati tramite mezzi elettronici come l’e-mail, la messaggistica istantanea, i blog, i telefoni cellulari e/o i siti web posti in essere da un minore, singolo o in gruppo, che colpiscono o danneggiano un proprio coetaneo incapace di difendersi

L’IMPEGNO DEGLI OPERATORI Nell’art. 1 del codice, gli operatori che forniscono servizi di social networking, i fornitori di servizi on line, di contenuti, di piattaforme e social network che aderiscono al Codice stesso si impegnano ad attivare appositi meccanismi di segnalazione di episodi di cyberbullismo, al fine di prevenire e contrastare il proliferare del fenomeno possiamo ribadire che si tratti di un tema tanto attuale quanto delicato, del quale sicuramente torneremo a discutere in futuri post, in ragione della rilevanza non solo emotiva, ma soprattutto giuridica delle conseguenze che un utilizzo sbagliato dei nuovi media può produrre sulla vita delle persone, soprattutto di quelle più fragili come gli adolescenti.

PER CONCLUDERE… non resta che aspettare gli effetti di detta sinergia, nonché l’evoluzione giurisprudenziale della lotta al cyberbullismo, becero strumento di denigrazione usato da chi è talmente misero a livello umano da dover annientare il prossimo per realizzare un’illusoria migliore percezione di sé.


Dottoressa Roberta Bonazzoli – Studio Comite