Non accade così spesso, specialmente quando i complimenti arrivano da un giudice. Eppure qualche giorno fa mi è capitato proprio questo. Non farò nomi ma credo che raccontarvi quanto mi è accaduto sia utile a tutti i colleghi avvocati che in questo periodo vorrebbero abbandonare la professione e dedicarsi a qualsiasi altra cosa che non sia la pratica del diritto. Certo, una volta tanto, in nome dello stile si potrebbe mandare al diavolo la privacy ma proprio non si può e, allora, vi basti sapere che c’è ancora qualcuno che il lavoro degli avvocati è capace di apprezzarlo. Quel lavoro che non si limita allo studio delle questioni processuali, delle norme contenute nelle leggi ma che va un po’ oltre, specie quando si tratta di famiglia e bambini e a prescindere dal compenso che, per inciso, nella circostanza è stato solo simbolico. Quell’approccio un po’ diverso che alla Facoltà di Giurisprudenza non insegnano ma che il volontariato, negli uffici dei giudici minorili, un pochino ti aiuta ad apprendere in modo silenzioso, ogni giorno, attraverso l’osservazione di tutti i soggetti coinvolti: famiglie, avvocati, magistrati, psicologi e assistenti sociali. Beh, devo dire che francamente ho provato piacere, specialmente sapendo quanto fosse apprezzabile la fonte di quel complimento. In breve, voglio raccontarvi questa storia…
STORIA DI RABBIA E RANCORI Ho assunto l’incarico di rappresentare Anna dopo che la separazione giudiziale era già stata pronunciata e si era appena concluso anche un procedimento di richiesta di modifica delle condizioni contenute nella stessa sentenza di separazione. Un conflitto accesissimo e terribile, al centro del quale vi era la vita del piccolo Marco, che adesso ha otto anni, affidato al Comune, dal giudice della separazione, ma con collocazione presso la madre e obbligo per i genitori di seguire un percorso finalizzato all’elaborazione della loro guerra. Anna, la più rabbiosa, almeno sino al mio intervento, reso necessario dal fatto che il terzo legale che la rappresentava era stata radiata dall’albo, aveva deciso che l’obiettivo della sua esistenza sarebbe stato quello di distruggere la vita di Carlo senza perdere nessuna occasione. Giustamente il Tribunale, in virtù della fortissima conflittualità e dell’incapacità della coppia genitoriale di metabolizzare in modo razionale la fine dell’unione, aveva optato, nell’interesse di Marco, per l’affido del bimbo ai servizi sociali in modo da deresponsabilizzare i genitori da un lato e dall’altro sostenerli nell’apprendimento e nella gestione del loro ruolo per aiutarli a non fallire anche su questo fronte.
COSA SIGNIFICA “AFFIDO AI SERVIZI SOCIALI” È un provvedimento che il giudice, anche in occasione del procedimento di separazione, può assumere nell’interesse della prole quando né il padre né la madre, a causa dei continui litigi, non sono in grado di provvedere all’interesse dei figli nel modo che sarebbe necessario per una loro crescita equilibrata. In tale circostanza il giudice conferisce al servizio sociale tutti i poteri per adottare ogni decisione che risulti utile alla vita dei bambini quale può essere, per esempio, quella che riguarda la regolamentazione delle visite giornaliere e periodiche tra i genitori, la scelta delle cure mediche o della scuola. Ciò significa che mamma e papà perdono di fatto i poteri che dovrebbero avere nei riguardi dei figli e hanno l’obbligo di confrontarsi con un soggetto imparziale che decide al posto loro fintanto che gli specialisti psicologi, che nel frattempo sostengono la coppia genitoriale, non ritengano che sia giunto il momento di dare la possibilità agli ex coniugi di svolgere l’unico e residuale ruolo che sopravvive al termine dell’unione, ovvero quello di genitori.
È INUTILE RECLAMARE LA DECISIONE DEL GIUDICE Il provvedimento, di per sé grave, assunto dal giudice della separazione, viene peraltro di solito confermato anche in sede di reclamo, proprio per salvaguardare l’interesse della prole. Nel caso di Anna il precedente legale aveva tentato di ottenere la revoca del provvedimento, a breve distanza dall’assunzione dello stesso, attraverso una richiesta di modifica, tuttavia infondata poiché mancante dei requisiti di “sopravvenienza di fatti nuovi” che giustificassero la revoca. In pratica attraverso tale richiesta, effettuata secondo il disposto normativo di cui all’art. 710 del codice di procedura civile, il precedente legale aveva tentato, di fatto, di reclamare il provvedimento assunto dal giudice della separazione. L’insuccesso era, tuttavia, pressoché scontato in assenza di una vera e sostanziale presa di coscienza da parte dei genitori che la condotta da loro assunta sino a quel momento era negativa per l’equilibrato sviluppo psico-fisico di Marco.
OCCORRE UN VERO E PROPRIO PERCORSO DI RIABILITAZIONE La storia di Anna e Carlo è indubbiamente una delle più drammatiche cui ho assistito ma non certo la peggiore. Ha avuto, infatti, un inizio decisamente terribile, combattuto a colpi di cannone, in cui soprattutto Anna non dava alcun segno di voler deporre le armi. La dinamica seguita dai precedenti legali, in parte peraltro destituiti dal loro incarico perché ritenuti non sufficientemente agguerriti, era tipicamente avversariale, fondata sull’approccio classico alla lite. Da ciò erano conseguite una serie di denunce reciproche che non avevano fatto altro che inasprire ed esacerbare ancor di più i rapporti già difficili. Il mio intervento ha modificato le cose, anche se ha necessitato di tempo e pazienza. All’accoglienza iniziale del disagio e del rancore è seguito un periodo di osservazione per comprendere le caratteristiche comportamentali di Anna. Il destino ha, peraltro, voluto che il percorso di Anna e Carlo venisse segnato da una specialista psicoterapeuta, facente parte dell’équipe del servizio sociale affidatario, preparata e sensibile, che ha lavorato sinergicamente con entrambi gli avvocati per segnare il passo alle modifiche più importanti. La collega che rappresentava e rappresenta Carlo, conosciuta al tempo del volontariato presso il Tribunale per i minorenni, ha anch’essa mutato atteggiamento nell’interesse del proprio assistito ma, soprattutto del piccolo Marco. Anna e Carlo hanno ricominciato, nel giro di qualche mese, a parlarsi per amore del figlio.
È IMPORTANTE OSSERVARE E DIALOGARE Nell’affrontare le vicende familiari, a mio avviso, noi avvocati non possiamo prescindere dall’osservazione del nostro assistito per conoscerlo e aiutarlo a comprendere, tenendo conto delle proprie personali caratteristiche, la differenza tra tutela di un diritto leso e strumentalizzazione della legge per il soddisfacimento di bisogni intimi che nulla hanno a che vedere con i processi nelle aule giudiziarie. In questo percorso di insegnamento il dialogo assume un’importanza fondamentale che richiede tempo e voglia di capire ma soprattutto amore per il ruolo che si sta svolgendo. A volte, oltre al riconoscimento professionale si ottiene anche il giusto compenso economico per l’impegno profuso; altre volte, oggi più spesso che in passato, resta soprattutto la soddisfazione di aver svolto bene il proprio compito nell’interesse di un soggetto debole che ha bisogno di genitori veri e non di nemici al fronte. In ogni caso ciò che conta, in tutto questo, è qualche scossone ben assestato per riportare l’attenzione sulla prole piuttosto che verso se stessi e soprattutto il dialogo quale confronto tra persone sinceramente intenzionate a sviscerare i problemi, a precisarne i termini e a chiarire gli eventuali equivoci. Persone disposte a mutare le proprie convinzioni, qualora si scoprano nuovi argomenti contro di esse.
IL SERVIZIO SOCIALE HA RITENUTO UTILE LA REVOCA Nell’ultima relazione di aggiornamento, periodicamente stilata dall’ente affidatario, la specialista, preso atto dei risultati raggiunti da Anna e Carlo ed al fine di non interrompere tale percorso evolutivo, ha così ritenuto che fosse giunto il momento di dare indicazioni diverse in ordine all’affidamento di Marco. Divenuti, nel frattempo, maturi i tempi per la domanda di divorzio, inizialmente sollecitata da Carlo, entrambi hanno, quindi, optato per una richiesta congiunta ponendo al centro la proposta di affido condiviso del piccolo Marco. Il collegio chiamato a svolgere il proprio ruolo di verifica, soprattutto nell’interesse di Marco, non ha potuto che prendere atto dei risultati raggiunti dalle parti, rappresentando grande compiacimento nei confronti delle stesse, e al contempo riconoscendo il ruolo di assistenza illuminata di noi legali. Insomma, a differenza di quanto accade nella generalità dei casi, ovvero che siano gli avvocati ad alzarsi in piedi per ascoltare la pronuncia della sentenza, nella circostanza ho assistito invece all’elogio dei procuratori con il medesimo gesto di rispettoso ossequio. Un brivido che mi induce ancora a credere che la giustizia non sia solo la somma di articoli e leggi ma qualcosa di più!
Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite