Una recentissima pronuncia della Suprema Corte mi offre lo spunto per approfondire un tema tanto delicato quanto gettonato, ossia la ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge ed ex coniuge, vale a dire tra coniuge (di solito moglie) superstite in base al più recente matrimonio ed ex coniuge poiché dichiarato tale da una sentenza di scioglimento del matrimonio (emessa in caso di matrimonio civile) o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (emessa, invece, nel caso di matrimonio civile e religioso al contempo). Per farla breve può accadere che a seguito del decesso di un individuo, percettore di pensione di vecchiaia, moglie ed ex mogli si mettano a litigare con riguardo all’ammontare loro spettante della pensione di reversibilità. In particolare, la Corte afferma, uniformandosi in tal modo alla costante giurisprudenza di legittimità sul punto, che tale ripartizione debba essere effettuata sulla base della rispettiva durata del matrimonio, dunque dividendo sulla base di tale criterio, in percentuale, l’importo della pensione in parola. Ma per comprendere esattamente la portata della decisione in questione occorre innanzitutto capire cosa si intende per pensione di reversibilità e ciò che nel tempo ha stabilito la giurisprudenza in materia…
PENSIONE DI REVERSIBILITÀ: COS’È E A CHI SPETTA? La pensione di reversibilità rientra nella categoria più ampia delle pensioni ai superstiti e consiste in una prestazione economica erogata, a domanda, dall’ente previdenziale in favore dei familiari del pensionato deceduto. Chi può riceverla legittimamente?
1) il coniuge superstite, anche se separato: se il coniuge superstite è separato con addebito (dunque, la separazione occorsa dipende dalla condotta non conforme ai doveri derivanti dal matrimonio posti in essere da quest’ultimo), la pensione spetta a condizione che gli sia stato riconosciuto dal Tribunale, in sede di separazione ovviamente, quanto meno il diritto agli alimenti;
2) il coniuge divorziato, se titolare di assegno divorzile;
3) i figli a prescindere che si tratti di figli legittimi o legittimati, adottivi o affiliati, naturali, riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio i quali, alla data della morte del genitore, fossero non solo minorenni, inabili, studenti o universitari, ma anche a carico del medesimo alla data della morte dello stesso;
4) i nipoti minori (equiparati, dunque, ai figli), se a totale carico degli ascendenti (nonno o nonna) alla data della morte dei medesimi;
In mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti la pensione può essere erogata ai genitori di età non inferiore a 65 anni, non titolari di pensione, che alla data di morte del pensionato fossero a carico del medesimo. Infine, in mancanza del coniuge, dei figli, dei nipoti e dei genitori la pensione può essere erogata ai fratelli celibi inabili e a sorelle nubili inabili, non titolari di pensione, che alla data di morte del pensionato fossero a carico di quest’ultimo.
LA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ È UNA TUTELA ECONOMICA PER I SUPERSTITI… La domanda, che oggi, peraltro, può essere inoltrata solo ed esclusivamente in via telematica, vale anche come richiesta dei ratei di pensione maturati e non riscossi dal deceduto. La stessa spetta ai superstiti del pensionato a far data dal 1° giorno del mese successivo a quello del decesso di quest’ultimo, indipendentemente dalla data di presentazione della domanda. L’importo dovuto, poi, è calcolato sulla base della pensione in pagamento al pensionato deceduto, applicando le percentuali previste dalla Legge 8 agosto 1995, n. 335 recante norme in tema di Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare. La pensione di reversibilità viene corrisposta agli aventi diritto calcolando una percentuale sull’importo della pensione percepita dal defunto, diversa a seconda del legame intercorrente tra lo stesso ed il superstite, come di seguito meglio specificato:
- 60%, solo coniuge;
- 70%, solo un figlio;
- 80%, coniuge e un figlio ovvero due figli senza coniuge;
- 100% coniuge e due o più figli ovvero tre o più figli;
- 15% per ogni altro familiare, avente diritto, diverso dal coniuge, figli e nipoti.
…MA CESSA IN CASI PRESTABILITI, QUALI?
1) per il coniuge superstite, qualora contragga nuovo matrimonio. In questo caso al coniuge spetta solo l’una tantum pari a due annualità della sua quota di pensione, compresa la tredicesima mensilità, nella misura spettante alla data del nuovo matrimonio. Nel caso che la pensione risulti erogata, oltre che al coniuge, anche ai figli, la pensione deve essere riliquidata in favore di questi ultimi applicando le aliquote di reversibilità previste in relazione alla mutata composizione del nucleo familiare;
2) per i figli minori, al compimento del 18° anno di età;
3) per i figli studenti di scuola media o professionale che terminano o interrompono gli studi e comunque al compimento del 21° anno di età. La prestazione di un’attività lavorativa da parte dei figli studenti, il superamento del 21° anno di età e l’interruzione degli studi non comportano l’estinzione, ma soltanto la sospensione del diritto alla pensione;
4) per i figli studenti universitari che terminano o interrompono gli anni del corso legale di laurea e comunque al compimento del 26° anno di età. La prestazione di un’attività lavorativa da parte dei figli universitari e l’interruzione degli studi non comportano l’estinzione, ma soltanto la sospensione del diritto alla pensione;
5) per i figli inabili qualora venga meno lo stato di inabilità;
6) per i genitori del defunto, qualora conseguano altra pensione;
7) per i fratelli e le sorelle qualora conseguano altra pensione, o contraggano matrimonio, ovvero venga meno lo stato di inabilità;
8) per i nipoti minori, equiparati ai figli legittimi, valgono le medesime cause di cessazione e/o sospensione dal diritto alla pensione ai superstiti previste per i figli.
Resta inteso, ovviamente, che la cessazione della contitolarità di uno o più soggetti aventi diritto determina la riliquidazione della prestazione nei confronti dei restanti beneficiari, calcolando la pensione dalla decorrenza originaria con gli incrementi perequativi e di legge intervenuti nel tempo, in base alle aliquote di pertinenza dei restanti contitolari.
DURATA DEL MATRIMONIO: PARAMETRO FONDAMENTALE MA NON L’UNICO Tornando alla pronuncia da cui ho tratto spunto per questo breve riepilogo sul significato del concetto di pensione di reversibilità è necessario ora affrontare la questione della ripartizione, in termini percentuali, tra coniuge ed ex coniuge di tale beneficio previdenziale. La Suprema Corte nella decisione di pochi giorni addietro (Cassazione civile, Sezione VI, Ordinanza del 30 ottobre 2014, n. 23102) compie innanzitutto un richiamo sia alla propria giurisprudenza sul punto (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 21 giugno 2012, n. 10391; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 9 maggio 2007, n. 10638; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 18 agosto 2006, n. 18199), sia a quella di rango costituzionale (Corte Costituzionale, Sentenza del 4 novembre 1999, n. 419), affermando che nella determinazione della quota di pensione di reversibilità di spettanza sia al coniuge sia all’ex coniuge bisogna tener conto della durata dei rispettivi matrimoni, e valutare altresì “la eventuale esistenza di criteri correttivi (convivenza prematrimoniale, entità dell’assegno divorzile, condizioni economiche e personali)”, che, laddove risultassero non rilevati, soccomberebbero rispetto al criterio principe della durata del matrimonio. Tale impostazione, peraltro oltremodo condivisibile, era già stata recentemente ribadita da un’altra pronuncia in cui si è affermato che “nella ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l’ex coniuge, occorre tener conto della durata del matrimonio, nel senso che non è possibile prescindere dall’elemento temporale; ma tale criterio, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, non si pone come unico ed esclusivo parametro cui conformarsi automaticamente ed in base ad un mero calcolo matematico, potendo essere corretto da altri criteri, da individuare nell’ambito dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, in relazione alle particolarità del caso concreto” (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 5 marzo 2014, n. 5136). La durata del rapporto di coniugio, dunque, costituisce il criterio preponderante, sebbene non esclusivo, per la ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l’ex coniuge divorziato, anche se tale criterio deve essere necessariamente integrato con correttivi di carattere equitativo, da applicarsi con discrezionalità ad opera del giudice di merito, dal momento che la divisione dell’importo non può prescindere dal tempo trascorso insieme, quindi dal percorso di vita comune trascorso tra il defunto e gli aventi diritto.
CI SONO ALTRI CRITERI CORRETTIVI Ancor più recentemente ma anteriormente alla decisione di qualche giorno fa, i giudici della Suprema Corte hanno precisato, che tra gli elementi correttivi di cui tenere conto, da individuarsi nell’ambito dell’art. 5 della Legge 898 del 1975, assumono specifico rilievo l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge, le condizioni di vita dei soggetti coinvolti nella vicenda e, infine, l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 14 marzo 2014, n. 6019). Assume, inoltre, rilievo anche il contributo dato da ciascun coniuge alla famiglia, durante i rispettivi matrimoni (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 30 marzo 2004, n. 6272).
MA UNA REGOLA COSTANTE NON C’È La correzione del criterio di riferimento espressamente dettato dal legislatore, della durata del matrimonio, attraverso gli altri elementi esaminati, può essere compiuta a vantaggio del coniuge divorziato, nei limiti necessari per evitare che egli sia privato dei mezzi che gli avrebbe dovuto assicurare (o contribuire ad assicurare) nel tempo l’assegno di divorzio, con i suoi successivi aggiornamenti. Oppure può avvantaggiare il coniuge rimasto vedovo, al fine di contribuire ad assicurargli, tendenzialmente e per quanto possibile, il tenore di vita che il “de cuius” gli assicurava (o contribuiva ad assicurargli) in vita (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 9 maggio 2007, n. 10638). Tutto ciò senza carattere di assolutezza, potendo tali aspettative rimanere del tutto insoddisfatte in virtù del concreto ammontare della pensione di reversibilità (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 9 aprile 2009, n. 8734). Ciò che deve, in ogni caso, guidare il giudizio del magistrato chiamato a determinare la ripartizione in questione è il principio della riconduzione ad equità in conformità alle circostanze del caso concreto, avendo sempre riguardo, come criteri di “orientamento” e “chiusura”, alla “duplice” (poiché due sono i soggetti, ma potrebbero anche essere di più nell’ipotesi di diversi matrimoni) funzione solidaristica realizzata dalla pensione di reversibilità e all’esigenza di tutelare, tra le due posizioni confliggenti, quella del soggetto economicamente più debole e più bisognoso (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 16 dicembre 2004, n. 23379).
Dottoressa Roberta Bonazzoli – Studio Comite