lunedì 30 giugno 2014

MINACCE E MOLESTIE IN CONDOMINIO. È STALKING!


Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, oltre che i sempre più frequenti casi di cronaca, mi hanno spinta ad approfondire un tema abbastanza inedito, ossia il cosiddetto stalking condominiale, una particolare applicazione giurisprudenziale della tristemente nota figura criminosa codificata all’art. 612 bis del codice penale, rubricato in Atti persecutori. Il reato di stalking generico è stato introdotto dal Legislatore mediante il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, successivamente convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38, al fine di porre rimedio al crescente fenomeno di violenza, sia morale sia fisica, che si concretizzano poi in condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona, rendendola sostanzialmente invivibile. Prima di soffermarci sulla particolare figura dello stalking condominiale, è bene, dunque, dare un’occhiata all’istituto giuridico in generale così da averne una visione più chiara…


BASTA VIVERE NELLA PAURA Con il Decreto Legge 11/2009 il Legislatore italiano ha scelto di inserire questa fattispecie criminosa (ovvero quella disciplinata dall’art. 612 bis) precisamente nel capo III del titolo XII, parte II del codice penale, nella sezione relativa ai Delitti contro la libertà morale, disponendo che perché si realizzi il reato di stalking, i comportamenti di minacce e di molestie devono necessariamente determinare nella persona offesa, ossia in chi le subisce, i seguenti eventi:

1)  un perdurante e grave stato di ansia o di paura;
2) un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine; 
3)  un costringimento ad alterare le proprie abitudini di vita;

Da quanto evidenziato, quindi, si comprende come attraverso tali prescrizioni il Legislatore abbia voluto non solo tutelare la libertà morale individuale, intesa come facoltà del soggetto di autodeterminarsi, ma anche l’incolumità individuale, soprattutto laddove le minacce o le molestie provochino un perdurante e grave stato di ansia o di paura, il quale, se sfociante in una patologia medicalmente accertabile, comporta di fatto la lesione del bene salute, tutelato con vigore dall’ordinamento giuridico. 

UN REATO “A FORMA LIBERA” La circostanza, poi, che tali condotte reiterate nel tempo debbano produrre alternativamente uno degli eventi citati, ossia o un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine, o un costringimento ad alterare le proprie abitudini di vita, non solo lascia intendere che ulteriore elemento costitutivo della fattispecie sia dato dal fatto che le molestie o le minacce debbano succedersi in un lasso di tempo non meglio precisato, ma sufficiente perché detti eventi si producano, ma chiaramente fornisce uno spiraglio per nuove interpretazioni estensive giurisprudenziali, proprio come è avvenuto con la fattispecie dello stalking condominiale. Va peraltro, precisato che il reato di atti persecutori è un reato “a forma libera” ovverosia che non necessita di una specifica condotta (a differenza che per i reati a forma vincolata per i quali è richiesta appunto una specifica condotta) per poter essere configurato.

LA VICINANZA CREA BELLIGERANZA Comunemente, il termine stalking si ricollega all’immagine di un ex partner o un corteggiatore che perseguita una donna o un uomo per motivi strettamente sentimentali, ma può ben capitare che tale turbativa si realizzi in altre circostanze del quotidiano, come appunto un condominio, spesso teatro di semplici screzi che, tuttavia, possono trasformarsi in veri e propri atti persecutori previsti e puniti appunto dall’art. 612 bis del codice penale. Tale escalation di gravità, infatti, si realizza concretamente nei casi in cui il soggetto persecutore volontariamente prosegua nella propria sistematica azione di molestia e disturbo, nonostante le numerose lamentele dei condomini vittime di tali atteggiamenti, arrivando addirittura alla reazione minacciosa in caso qualcuno “osi” opporsi, ovviamente al fine di intimidire i condomini stessi e creare così un clima di ansia e di paura nel condominio medesimo (Tribunale di Padova, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, ordinanza 15 febbraio 2013, n. 1222). Con il termine stalking condominiale, appositamente coniato dalla recente giurisprudenza di legittimità, si definiscono infatti le sistematiche vessazioni ed i soprusi subiti da un condomino per opera di un altro condomino, il più delle volte un vicino di casa, nonché quelle ripetute indistintamente a danno di tutti i soggetti facenti parte di un condominio, tali da provocare agli stessi uno stato di ansia (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza dell’8 maggio 2014, n. 18999).

UNA MOLESTIA, PIÙ VITTIME Sul punto per la verità i giudici di legittimità si erano già soffermati precisando che l’espressione "minaccia o molesta taluno” non implica necessariamente che ogni atto costitutivo della condotta criminosa prevista dall’art. 612 bis del codice penale debba avere ad oggetto la stessa persona. Nel caso esaminato già nell’anno 2011 erano stati commessi, in tempi e circostanze differenti, una serie di atti persecutori ai danni di più donne residenti nello stesso stabile. Tali comportamenti avevano costituito per ciascuna di esse motivo di timore e di ansia. La corte d’appello di merito, quella di Torino, aveva ritenuto, quindi, che vi fosse un’unica condotta in violazione dell’art. 612 bis del codice penale rapportata a più soggetti e non invece, come prospettato dalla difesa dell’imputato, diverse condotte persecutorie dirette a più soggetti da valutare separatamente rispetto a ciascuno di essi. La Cassazione afferma la conformità alla legge di tale principio e anzi precisa che se “la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all’evidenza il turbamento di entrambe” (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 7 aprile 2011, n. 20895).

LA PERSECUZIONE INFLUISCE SULL’EMOTIVITÀ Anticipando sin d’ora che le numerose sfaccettature del tema saranno oggetto di futuri approfondimenti, considerata l’evoluzione giurisprudenziale attualmente in atto in materia, non si può non riportare quanto evidenziato dalla Suprema Corte nella recentissima sentenza in esame ossia: “il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa o il timore per l’incolumità propria o di un congiunto non sono pertanto essenziali ai fini della sussistenza del reato, essendo sufficiente che la condotta abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di paura” (Cassazione, Sezione V, Sentenza dell’8 maggio 2014, n. 18999). 

MAI LASCIARE IL PASSO ALLA PAURA È opportuno quindi evidenziare da un lato che l’interpretazione della norma in questione, fatta dai giudici di merito e confermata da quelli di legittimità, ha messo a disposizione degli operatori del diritto uno strumento di tutela importante per tutti coloro che vengono ingiustamente lesi da una serie di comportamenti che di fatto determinano turbamento alla tranquillità della vita quotidiana. Per altro verso stante il fatto che gli atti persecutori influiscono sull’emotività delle vittime, inducendole a cambiare abitudini e stile di vita, è premura della scrivente sottolineare quanto sia importante non cedere alla paura e alla follia altrui, rivolgendosi invece alle Autorità denunciando tali fatti e chiedendo aiuto alle stesse affinché la situazione non degeneri sino a un punto di non ritorno.

Dottoressa Roberta Bonazzoli – Studio Comite