Quando si rivolge a me qualcuno che reclama tutela in relazione ad un errore medico uno dei primi quesiti che pongo riguarda la circostanza dell’informazione. Chiedo, dunque, se il medico ha fornito, prima dell’esecuzione dell’intervento, un’informativa dettagliata e completa sia con riguardo alle modalità di esecuzione sia in relazione alle possibili conseguenze e agli esiti della stessa operazione. Ciò accade in particolare se l’intervento non è considerato, da un punto di vista medico, come necessario. La riflessione è piuttosto attuale e mi è stata sollecitata dalla lettura di un’interessante sentenza della Cassazione che ha posto in evidenza in modo chiaro e analitico alcuni criteri riguardanti le modalità di una corretta informazione in materia di chirurgia estetica ovvero in relazione a tutti quegli interventi cui il paziente si sottopone senza una vera necessità medica ma per finalità diverse. Un esempio significativo lo fornisce una delle tendenze degli ultimi anni: tutti pazzi per i tattoo, ma se si decide di rimuoverli? Vediamo di che si tratta …
CI VORREBBE UNA DISCIPLINA ORGANICA Quello del consenso, o rifiuto, informato è infatti uno degli argomenti più dibattuti in giurisprudenza. In molte circostanze ho sottolineato il fatto che tale figura non trova riscontro in una disciplina organica e unitaria ma è il frutto di un’attività di elaborazione e interpretazione, effettuata dai giudici su diverse fonti normative che si rinvengono in Convenzioni Internazionali, nella Costituzione, in leggi speciali e nel Codice di Deontologia Medica (vecchio e nuovo). Sarebbe, dunque, auspicabile che il Legislatore si facesse carico, una volta per tutte, di riorganizzare la materia raggruppando in un’unica normativa i principi via via elaborati dalla giurisprudenza sulla base di tali frammentari riferimenti legislativi. Nell’ambito di questa materia articolata un cenno particolare lo merita il consenso all’atto prestato in occasione degli interventi non medicalmente necessari quali sono, appunto, quelli di chirurgia estetica.
È NECESSARIO DISTINGUERE La questione non può essere compresa pienamente se non si chiarisce la distinzione tra atto terapeutico necessario e intervento non necessario che implica considerazioni giuridiche differenti. Nel primo caso l’intervento chirurgico, proprio perché necessario, non può essere considerato illegittimo di per sé e, quindi, occorrerà verificare se l’informazione, laddove prestata correttamente, avrebbe comunque indotto il paziente all’operazione; se la risposta sarà positiva allora non vi potrà essere responsabilità per l’omessa o carente informazione. Ciò vale, tuttavia, solo per le ipotesi di interventi necessari (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 9 febbraio 2010, n. 2847). Nel secondo caso ovvero nel campo degli interventi non necessari (secondo un giudizio contestuale e ancorato alla scienza medica del tempo), un intervento compiuto senza valido consenso perde qualsiasi fonte di legittimazione ed espone chi lo compie a tutte le conseguenze della sua condotta, anche se l’intervento fosse compiuto secondo i migliori protocolli terapeutici. Nel campo della chirurgia estetica, peraltro, raramente un intervento può ritenersi necessario e, comunque, non può certo essere considerata tale la rimozione di un tatuaggio. Pertanto, tale intervento diviene illegittimo sia perché non necessario, sia perché non autorizzato da un valido consenso.
IL CONSENSO INFORMATO È UN DIRITTO Nella decisione in esame si pone, infatti, in evidenza che secondo la definizione della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008) il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Costituzione che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono rispettivamente che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Più precisamente ciò che assume rilievo è la circostanza che la carenza di informazione non ha messo in condizione il paziente di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, in tal modo nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’11 dicembre 2013, n. 27751; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 31 luglio 2013, n. 18334; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 27 novembre 2012, n. 20984).
IN CHIRURGIA ESTETICA, L’INFORMAZIONE È UN DOVERE E IL CONSENSO È RILEVANTE La pronuncia di qualche giorno fa sottolinea, ancora, che il medico è tenuto ad informare il paziente dei benefici, delle modalità di intervento, dell’eventuale scelta tra tecniche diverse e dei rischi prevedibili. Questo dovere di informazione è particolarmente pregnante nella chirurgia estetica, perché il medico è tenuto a prospettare in termini di probabilità logica e statistica al paziente la possibilità di conseguire un effettivo miglioramento dell’aspetto fisico, che si ripercuota anche favorevolmente nella vita professionale e in quella di relazione. In sostanza, il miglioramento del proprio aspetto fisico, che è il risultato che il paziente intende raggiungere con l’intervento, acquista un particolare significato nel quadro dei doveri informativi cui è tenuto il sanitario, anche perché soltanto in questo modo il paziente è messo in grado di valutare l’opportunità o meno di sottoporsi all’intervento di chirurgia estetica. In questa materia, infatti, può parlarsi nella maggioranza dei casi, di interventi non necessari, che mirano all’eliminazione di inestetismi e che, come tali, devono essere oggetto di un’informazione puntuale e dettagliata in ordine ai concreti effetti migliorativi del trattamento proposto.
IL RISULTATO È CIÒ CHE CONTA Sotto questo profilo, le caratteristiche e le finalità dell’intervento estetico, impongono un’informazione completa proprio in ordine all’effettivo conseguimento del miglioramento fisico e in relazione ai rischi di possibili peggioramenti della condizione estetica. La necessità di un’informazione puntuale, completa e capillare è funzionale alla delicata scelta del paziente tra il rifiutare l’intervento o accettarlo correndo il rischio del peggioramento delle sue condizioni estetiche. È questa la fondamentale caratteristica dell’intervento estetico non necessario. Nel caso in esame, l’assenza di informazione nel significato descritto non ha, quindi, consentito alla paziente di valutare l’opportunità o meno di eseguire l’intervento proposto o di sceglierne di alternativi. In definitiva i giudici di legittimità ribadiscono che, nel caso di interventi non necessari, il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.
PER FARE UN ESEMPIO: LA RIMOZIONE DEL TATUAGGIO LASCIA CICATRICI Se tale circostanza non è stata messa bene in evidenza dal chirurgo, attraverso un’informazione dettagliata e puntuale finalizzata a raccogliere il consenso all’atto medico, l’operazione di chirurgia estetica diviene illegittima poiché il paziente non è stato posto nella condizione di maturare una scelta libera e consapevole e ciò anche nell’ipotesi in cui l’intervento sia stato compiuto a regola d’arte. In altre parole la lesione del diritto all’autodeterminazione, concretizzatasi nell’omessa informazione della possibilità di esiti cicatriziali, può determinare un danno alla salute del paziente sotto il profilo del peggioramento delle condizioni estetiche. L’omessa informazione determina, quindi, l’illegittimità ovvero la non doverosità dell’intervento. Ciò significa che l’operazione chirurgica non deve essere compiuta se manca il consenso informato. In pratica l’intervento stesso diventa il fatto illecito che provoca un danno ingiusto (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 6 giugno 2014, n. 12830).
UN IMPORTANTE PRINCIPIO DI DIRITTO Secondo la Suprema Corte, dunque, quando a un intervento di chirurgia estetica consegua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare, e di tale possibile esito il paziente non era stato compiutamente e scrupolosamente informato, segue proprio la responsabilità del medico per il danno derivato, anche se l’intervento sia stato correttamente eseguito. La particolarità del risultato perseguito dal paziente negli interventi di chirurgia estetica, che è l’obiettivo principale e fondamentale che si prefigge in relazione alla tutela della propria salute, consentono, infatti, di presumere che il consenso non sarebbe stato prestato se l’informazione fosse stata offerta e rendono pertanto superfluo l’accertamento sulle determinazioni cui il paziente sarebbe addivenuto se dei possibili rischi fosse stato informato.
Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite