Il nostro Governo, confermando l’arcinota prassi della contraddizione, ha reintrodotto, sotto le mentite spoglie dell’urgenza (c.d. Decreto del Fare), l’istituto della mediazione obbligatoria quale condizione di procedibilità per l’avvio di controversie civili in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, reintroducendo l’onere per l’avvocato, di informativa al cliente in merito a questo imprescindibile passaggio.
Pur avendo sempre coltivato grande interesse per tutte le tecniche di risoluzione alternativa delle controversie, e nutrendo quindi grande stima e fiducia in istituti quali la mediazione, resto tuttavia perplessa di fronte all’agire dei nostri politici. Mi chiedo dunque a quali logiche risponda la reintroduzione nel nostro sistema di diritto dell’obbligatorietà, riconosciuta pochissimo tempo fa, dal Giudice delle Leggi, quale contraria ai dettami costituzionali. Sono e resto convinta che la mediazione possa svolgere il ruolo che le compete, ovvero quello di dirimere le controversie senza ricorrere necessariamente al sistema giudiziario, con indubbio vantaggio anche per quest’ultimo segnatamente alla deflazione del contenzioso, solo laddove rappresenti una libera e consapevole scelta effettuata dalle parti.
Ciò che i nostri politici non comprendono, o non vogliono comprendere perché mossi da interessi partitici e lobbistici di altra natura, è che occorre incidere sulla cultura della diffusione di sistemi quali quello di cui si discute. La nostra tradizione giuridica è purtroppo digiuna di tali esperienze e quindi occorre educare prima ancora che imporre, tanto più se si pensa che nella mediazione dovrebbero essere le stesse parti coinvolte a decidere liberamente di partecipare agli incontri, di prospettare soluzioni che ritengono soddisfacenti per i loro interessi e bisogni, di abbandonare la procedura e soprattutto di decidere, in modo condiviso, i termini dell’accordo di conciliazione e sottoscriverlo.
Laddove manchi fiducia in tali tecniche alternative di risoluzione delle controversie, non si può pensare che la giustizia tragga vantaggio dall’introduzione obbligatoria di tale esperimento che sarà, così come è stato nel recente passato, né più e né meno di una sterile condizione di procedibilità della vertenza giudiziale che non porterà agli auspicati benefici tanto decantati dai nostri politici.