Nella mia esperienza di amministratore, non posso negarlo, ci sono
anche aspetti spiacevoli e, tra questi, il meno simpatico è indubbiamente quello
di fronteggiare situazioni di morosità condominiale anche gravi che mi
obbligano ad agire in via legale contro i singoli proprietari per il recupero
dei ratei di spesa scaduti. Vale la pena, infatti, sottolineare che non sempre
il mancato adempimento da parte di un condomino ai propri obblighi è imputabile
a cattiva volontà o menefreghismo ma, al contrario, è sempre più spesso il
sintomo tangibile di serie difficoltà economiche che attualmente stanno
interessando un gran numero di famiglie italiane le quali, purtroppo, non ce la
fanno più a far tornare i conti di casa. Di fronte a tali particolari situazioni
non è raro allora che l’amministratore si trovi in serio imbarazzo morale perché
da un lato, come professionista, deve tutelare al meglio gli interessi del suo
mandante, ovvero il condominio, recuperando anche in via forzosa quanto dovuto
dal proprietario inadempiente e, dall’altro, comprende il peso del suo agire
nei confronti di chi non ce la fa a tirare avanti. L’obiettivo di questo post è
appunto quello di fornire informazioni e indicazioni utili sulle procedure di
recupero delle spese condominiali non pagate senza, tuttavia, tralasciare
l’aspetto umano della vicenda facendo così in modo che tutto non si riduca
all’attenzione per il vile denaro.
SOLO L’ASSEMBLEA HA IL POTERE DI ESONERO DALL’OBBLIGO DI RECUPERO Con la Legge 220/2012 entrata in vigore il 18 giugno 2013 all’amministratore condominiale incombe un dovere “forte” pensato e voluto dal Legislatore per tutelare l’economia condominiale. La norma di riferimento è quella contenuta nel IX comma dell’art. 1129 del codice civile che precisamente dispone: “Salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l’attuazione del presente codice”. Un obbligo di legge vero e proprio quindi al quale l’amministratore può venire meno solo se l’assemblea lo esoneri dall’azionare, una volta decorso il termine di sei mesi fissato dalla legge, la procedura monitoria, prima, ed eventualmente esecutiva, poi, nei confronti del condomino moroso. Ma, ad eccezione di casi rari, l’ipotesi che l’assemblea condominiale sia disposta a temporeggiare nei confronti del proprietario inadempiente è assai rara posto che è ben chiaro a tutti che sussiste il rischio che la morosità, al posto di essere sanata, si aggravi divenendo un vero e proprio buco per le casse condominiali.
LA STRADA DEL DECRETO INGIUNTIVO L’art 63 delle disposizioni di
attuazione del codice civile, sopra richiamato, dispone che “per la riscossione dei contributi in base
allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza
bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione
immediatamente esecutivo, nonostante opposizione…” Il decreto ingiuntivo è un particolare provvedimento giudiziale disciplinato
dal libro IV del codice civile dedicato ai procedimenti speciali che consente,
appunto, l’emissione di un ordine di pagamento senza necessità di un preventivo
contradditorio con il debitore. In particolare il decreto ingiuntivo fa parte
dei procedimenti sommari; in gergo
tecnico si tratta di un provvedimento emesso dal Giudice inaudita altera parte ovvero senza che le parti si parlino tra loro
tramite i propri difensori e attraverso scritti difensivi. Per arrivare ad
ottenere l’emissione di un simile provvedimento è necessario però che sussistano
alcuni requisiti e, quindi, è indispensabile che il credito per il quale si
agisce sia:
a) certo, vale a dire non in contestazione;
b) liquido, ossia determinato o facilmente determinabile nel suo
ammontare;
c) esigibile, cioè scaduto.
Se, poi, il credito è fondato su
particolari documenti è possibile chiedere che venga concessa la provvisoria
esecuzione. È il caso di crediti fondati su assegni, fatture e cambiali e, nel
caso del condominio, di crediti
approvati dall’assemblea. Sottolineo, tuttavia, che tale requisito non è di per sé sufficiente poiché per ottenere la
provvisoria esecutività è anche indispensabile che il credito sia stato
ripartito tra tutti i condomini in ragione del criterio utilizzabile rispetto
al caso specifico. In altre parole, occorre che l’assemblea in occasione
dell’approvazione della spesa messa a bilancio o a preventivo, approvi anche le
rate di pagamento ovvero la ripartizione dei pagamenti. Generalmente i decreti
ingiuntivi si basano sul rendiconto consuntivo di spesa che l’amministratore è
tenuto a presentare all’assemblea ogni anno entro 180 giorni dalla data di
chiusura dell’esercizio come espressamente prevede l’art. 1130, comma I n. 10, del codice civile. Tuttavia, come ha avuto
modo di chiarire la Suprema Corte, è principio basilare di normale gestione del
condominio quello che consente “all’amministratore
di riscuotere le quote degli oneri in forza di un bilancio preventivo, sino a
quando questo non sia sostituito dal consuntivo regolarmente approvato” (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del
29 settembre 2008 n. 24299).
IL CREDITO DEL CONDOMINIO VA PROVATO Fatta questa premessa, ritengo
utile ricordare quali siano i documenti da allegare al ricorso per ottenere il decreto
ingiuntivo al fine di non correre inutili rischi di respingimento della richiesta.
I documenti sicuramente necessari sono:
1) il rendiconto di
gestione (o, se non ancora approvato, il preventivo
sempre approvato) e piano di ripartizione del medesimo;
2) il verbale di
approvazione dei documenti di cui al precedente punto;
3) la prova di aver dato comunicazione
al debitore di quanto sopra.
Non è, invece, necessario ma
semmai utile che vengano documentati i solleciti di pagamento effettuati
dall’amministratore, dall’avvocato o da entrambi poiché i ratei di spesa
condominiale rappresentano crediti immediatamente esigibili alla scadenza.
COSA SUCCEDE SE MANCA LA SUDDIVISIONE DELLE RATE? Una domanda che
spesso ricorre è: che cosa accade se l’assemblea approva la spesa sostenuta o
da sostenere ma non il relativo piano di riparto? Si potrebbe dire che il
credito, a quel punto, è certo in quanto riconosciuto dagli interessati
(l’assemblea), esigibile, in quanto maturato ma non liquido poiché la mancata
approvazione del piano di riparto non lo
rende determinato nel suo ammontare. Un discorso che ha un suo fondamento,
posta la necessità che ricorrano tutti e tre i requisiti sopra visti (certezza,
esigibilità, liquidità) affinché venga emesso il decreto ingiuntivo ma che se
utilizzato in modo strumentale per fini personali, potrebbe portare ad
inceppare il funzionamento della vita condominiale. Sulla questione trovo utile
richiamare quanto affermato dalla Corte d’Appello di Napoli secondo cui il
problema esiste ma il rallentamento della procedura di recupero del credito sarebbe
lieve e non eccessivo. In una sentenza resa sul finire del mese di gennaio 2012
i giudici partenopei hanno chiarito che “il
verbale di un’assemblea condominiale contenente l’indicazione delle spese occorrenti
per la conservazione o l’uso delle parti comuni costituisce prova scritta
idonea per ottenere decreto ingiuntivo pur in mancanza dello stato di
ripartizione delle medesime, necessario per l’ulteriore fine di ottenere anche
la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento, ai sensi dell’art. 63
disp. att. cod. civ.” (Corte d’Appello
di Napoli, Sentenza del 25 gennaio 2012).Quindi il decreto potrà comunque
essere emesso nei confronti del condomino moroso anche se, tuttavia, sfornito
della provvisoria esecuzione.
NON SOLO DECRETO INGIUNTIVO Come sopra accennato, esistono tuttavia
casi, che non esiterei a definire umani, che mettono l’amministratore in crisi.
Sono i casi in cui chi è moroso non lo è per sua scelta ma per necessità. In tali situazioni si potrebbe aprire una
nuova possibilità, ovvero quella della mediazione. Questa è una strada
percorribile ma ha dei limiti e, a mio giudizio, dovrebbe essere applicata “cum grano salis”, ovvero utilizzando la
regola regina del buon senso. Utilizzare la mediazione come strumento morbido
con chi non riesce a pagare con regolarità indubbiamente fornisce la
possibilità di fruire di una sana boccata di ossigeno. Ma come abbiamo visto
sopra, richiamando quanto dispone l’art. 1129 del codice civile, vi sono dei
limiti da superare per utilizzare questa soluzione. Infatti, se l’assemblea non
dispone altrimenti, scaduti i sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale
il credito è divenuto esigibile, l’amministratore deve adire le vie legali per
il recupero del credito. In assenza di espresse dispense assembleari quindi vi
è un limite temporale da rispettare
che può essere evitato se l’amministratore si fa parte diligente. Se si accorge
della difficoltà del condomino che prima era regolare nei pagamenti ed ora non
lo è più, prima della scadenza dei famigerati 180 giorni, al posto di ricorrere
alla soluzione drastica dell’ingiunzione, dovrebbe attivare la procedura per
trovare con il proprietario moroso un accordo di pagamento dilazionato che
tenga conto sia delle sue esigenze che di quelle, più che legittime, del condominio.
PERCHÉ MEDIAZIONE E NON ACCORDO? Si potrebbe eccepire: perché
iniziare una procedura di mediazione se si può comunque raggiungere un accordo
bonario (per esempio un piano di rientro) tra amministratore e condomino? La
soluzione sarebbe ancor più semplice, è vero, ma si dimentica che l’amministratore,
quale mandatario del condominio, è tenuto a tutelarne, sempre e comunque, gli
interessi e un accordo a voce non
darebbe le garanzie necessarie oltre a rappresentare un atto privo del
preventivo avallo dell’assemblea. L’accordo di conciliazione, firmato da tutte
le parti e dai loro avvocati, ha valore invece di titolo esecutivo. In buona
sostanza se in occasione della procedura di mediazione ci si mette d’accordo e
il condomino non rispetta i patti, l’amministratore, dopo, potrà direttamente agire
in via esecutiva, attraverso un atto di precetto, con riguardo alle somme
oggetto dell’accordo.
IN DEFINITIVA: la mediazione, soprattutto in quei casi in cui manca
ancora l’approvazione assembleare dei conti o della singola spesa (caso in cui
il decreto emesso dal giudice non può avere efficacia esecutiva immediata), può
essere uno strumento efficace che giova a tutte le parti.
Dottor Massimo Botti – Studio Comite