Ho la sensazione che ancora una volta, ahimè, in barba ai risultati di decenni di battaglie giudiziarie, il legislatore ci stia riservando un bella sorpresina. Pare, infatti, che tra i progetti governativi, e più in particolare tra quelli del nostro ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ci sia quello di ribaltare i criteri sui quali sino ad oggi si è basata la responsabilità professionale dei medici. Sconcertante è stato inoltre constatare quanto poco risalto si sia dato alla notizia e al minestrone che bolle in pentola e che, con ogni probabilità, ci verrà servito, caldo e fumante, con la legge di stabilità di fine anno. Mi spiego meglio: tra i cavalli di battaglia del Ministro della Salute vi è l’abbattimento dei costi derivanti dal fenomeno della medicina difensiva ovvero di quel sistema che induce il personale sanitario a prescrizioni diagnostiche o farmacologiche inappropriate al fine di scansare il rischio di commettere errori e subire un processo giudiziario. L’utilizzo sconsiderato delle prescrizioni mediche costituirebbe per lo Stato, e quindi per i cittadini, un costo insostenibile. Quale soluzione adottare, dunque, per indurre la categoria medica a dormire sonni più tranquilli e al contempo tagliare gli ingenti costi che comporta tutelare la salute degli italiani? Semplice: ribaltare il sistema di regole riguardanti la responsabilità professionale medica su cui si sono basati sino ad ora i giudici nello stabilire la correttezza delle prestazioni erogate e l’ammontare dei risarcimenti. Vediamo come…
L’ATTUALE SISTEMA DI RESPONSABILITÀ MEDICA Il primo parametro di riferimento per la valutazione della condotta del medico è stato, e ancora è, quello di verificare se il medesimo si sia comportato in modo tale da salvaguardare e proteggere la salute del paziente. Compito primario del medico è dunque quello di garantire la tutela del bene salute, tenendo conto della volontà del paziente. La giurisprudenza si è assestata, sino ad ora, nel senso di attribuire natura contrattuale alla prestazione medica pur mancando una vera e propria stipulazione diretta fra medico, insieme alla struttura sanitaria, e paziente essendo sufficiente il semplice “contatto” tra le parti affinché i primi assumano quel generale obbligo di garanzia della salute del paziente. Il “contatto” anzi assume una duplice valenza in quanto impegna sia il medico sia la struttura sanitaria da cui lo stesso dipende o con la quale collabora che può essere chiamata a rispondere, unitamente allo stesso, per la violazione della diligenza richiesta nel trattamento sanitario.
LA DILIGENZA QUALIFICATA DEL MEDICO Individuata la natura contrattuale della responsabilità medica, la giurisprudenza ha poi individuato i criteri in base ai quali la condotta del medico può definirsi diligente. Il sanitario è dunque tenuto ad una diligenza che non è solo quella dell’uomo di normali capacità, quella che comunemente viene chiamata “del buon padre di famiglia”, secondo quanto previsto dall’art. 1176, comma 1, del codice civile, ma è quella qualificata del buon professionista, come prescritto dall’art. 1176, comma 2, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica. L’ampiezza delle regole tecnico-scientifiche scritte e non scritte (leges artis) si traduce nella definizione di linee guida capaci di orientare la condotta, senza vincolarla in modo tassativo. Ne consegue che qualora, nello svolgimento della propria professione, il medico non esegua esattamente la prestazione medica per aver agito con negligenza (es. inadempimento dell’onere di informazione, inesistenza e/o carente assunzione di consenso informato, irregolare tenuta della cartella clinica), imprudenza (es. assunzione di obblighi che non si aveva la competenza professionale di soddisfare) ed imperizia (intesa come attenzione alla prevenzione del danno piuttosto che scelta indirizzata ad un metodo eccessivamente rischioso per la salute del paziente), lo stesso sarà obbligato a risarcire il danno arrecato al paziente. La diligenza qualificata del medico, valutata in relazione al caso specifico, assurge dunque a criterio primario nella valutazione della responsabilità civile dello stesso ed influenza ogni riflessione in ordine alla natura giuridica dell’obbligazione ormai comunemente considerata quale obbligazione di mezzi e non di risultato (unica eccezione riguarda la medicina estetica).
ONERE DELLA PROVA E PRESCRIZIONE Il riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità medica ha, peraltro, inciso su importanti aspetti quali l’onere della prova, il termine prescrizionale entro cui il paziente che assume il danno ha facoltà di radicare l’azione civile per il risarcimento dei danni patiti ed il nesso causale. Relativamente all’onus probandi basti pensare che al paziente è sufficiente provare il contratto, ovvero il contatto, e l’aggravamento della sua situazione patologica o l’insorgenza di altre patologie nonché il nesso fra condotta attiva od omissiva ed evento, restando a carico del medico, o della struttura sanitaria, la prova di aver agito in modo diligente e che gli esiti infausti sono da attribuire a fattori imprevisti ed imprevedibili. In ordine al termine di prescrizione, la natura contrattuale della prestazione medica attribuisce al paziente danneggiato la facoltà di agire per il risarcimento del danno entro dieci anni dalla scoperta dell’evento. Quanto poi al nesso causale va evidenziato che la soglia di accertamento dello stesso si è abbassata notevolmente specie con l’introduzione del principio del “più probabile che non”.
LA PROPOSTA DI LEGGE ATTUALE CAMBIA TUTTO! Tra i punti fondamentali del Disegno di Legge in discussione vi è il ribaltamento della natura della responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, dipendenti e convenzionati con il servizio sanitario, che da contrattuale diventerà extracontrattuale, mentre solo la responsabilità della struttura ospedaliera e dei liberi professionisti continuerà ad essere di tipo contrattuale. Ciò significa che spetterà al malato dimostrare che la condotta del medico è erronea e non a quest’ultimo provare di essersi comportato correttamente. Il termine per agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno si ridurrà, poi, da dieci a cinque anni. In sintesi e nei fatti, le nuove norme renderanno estremamente più difficoltoso per i pazienti dimostrare che l’esito infausto della prestazione è riconducibile alla condotta, commissiva oppure omissiva, del medico, mentre sino ad ora era sufficiente che i danneggiati dimostrassero l’avvenuto contatto e che il danno patito fosse riconducibile alla condotta medica secondo il noto criterio del “più probabile che non”. Come dire che il paziente, già svantaggiato per non avere nella sua immediata disponibilità tutti gli elementi inerenti gli interventi cui è stato sottoposto (per esempio cartelle cliniche), né appropriate conoscenze scientifiche, si farà altresì carico del rischio connesso alla prestazione cui si sottopone. Il tutto per non gravare il sistema sanitario di costi divenuti ingestibili e che, tuttavia, in virtù dei contributi versati in termini di imposte e tasse si dovrebbe aspettare di poter fruire! Inutile dire che i medici attendono l’introduzione di queste norme come manna dal cielo.
GARANTIRE CHI? Si tratta, insomma, di un sistema indubbiamente garantista anche se non propriamente del soggetto più debole. Poiché, inoltre, il Disegno di Legge che reca la denominazione di “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”, il cui testo base di dieci articoli è già al vaglio della Commissione Affari Sociali, regolamenta anche l’obbligo di assicurazione a carico delle strutture sanitarie e dei liberi professionisti che esercitano tale attività, mi viene da pensare, naturalmente male e dunque con elevata probabilità che possa azzeccarci, che chi si avvantaggerà dell’introduzione di tali norme saranno indubbiamente le imprese di assicurazioni.
PER CONCLUDERE credo che l’intervento normativo in esame non solo non condurrà ai benefici economici auspicati ma costituirà un passo indietro, o per lo meno un negativo arresto dell’evoluzione giuridica in materia. Sono convinta infine che sarebbe preferibile, piuttosto che incidere su garanzie di rango costituzionale, investire denari su campagne di formazione che incidano sulla cultura medica e sull’etica professionale per diffondere l’unico criterio utile a contenere i costi a carico del Sistema Sanitario, ovvero quello dell’appropriatezza prescrittiva e degli interventi terapeutici. Staremo, dunque, a vedere se prevarrà il buon senso o interessi diversi.
Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite