venerdì 30 maggio 2014

NON “RICERCARMI”, VOGLIO ESSERE DIMENTICATO! (Nuove regole per i motori di ricerca)



Non sarà certo sfuggito ai nostri lettori il clamore mediatico che ha suscitato in questi giorni la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea pubblicata 13 maggio scorso, ovviamente dipeso dal fatto che ineditamente è stato rafforzato il cosiddetto diritto all’oblio, ossia il diritto ad essere dimenticati; particolare forma di garanzia che prevede limiti alla possibilità di diffondere dati sensibili e precedenti pregiudizievoli, salvo che si tratti di casi particolari ricollegabili a fatti di cronaca. Un siffatto diritto, in effetti, in prima istanza parrebbe stonare con l’attuale contingenza storica, nella quale post, tweet, selfie ed hashhtag di fatto scandiscono la quotidianità della maggior parte delle persone, stante il desiderio, sempre crescente, di condividere con il mondo gli avvenimenti più importanti della nostra vita, cristallizzandoli nell’infinita memoria del web. Vediamo di cosa si tratta …


INVIOLABILE OBLIO La giurisprudenza, in particolar modo quella europea, ha da tempo riconosciuto l’importanza della tutela del diritto all'oblio, elevandolo addirittura a diritto inviolabile, cioè rientrante in quella categoria di diritti che non sono esplicitamente espressi dalle costituzioni, ma la cui esistenza è comunque pacificamente riconosciuta da esse stante la loro intrinseca importanza. La Corte di Giustizia, infatti, è stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione della direttiva 95/46, che ha per oggetto la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, e segnatamente del diritto alla vita privata, con particolare riguardo al trattamento dei dati personali. Ai sensi di questa direttiva, per dati personali si intende “qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile”, ossia “la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero di identificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale”, mentre per trattamento di dati personali si intende “qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, nonché il congelamento, la cancellazione o la distruzione”. 

NORME INTERNE vs NORME COMUNITARIE Per maggiore chiarezza, poi, mi preme precisare che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea è uno strumento che viene utilizzato dal giudice nazionale laddove ritenga opportuno sollevare una questione interpretativa o di applicazione di una norma comunitaria; spesso, infatti, accade che sorgano questioni di conflitto di applicazione tra norme interne e norme comunitarie, con la conseguenza che il giudice nazionale deve disapplicare la stessa norma interna a favore di quella comunitaria e, in caso di dubbi sull’interpretazione della norma comunitaria da applicare, lo stesso può risolverli o interpretando direttamente la norma comunitaria o sollevando la questione, chiamata pregiudiziale, sull’interpretazione della stessa davanti alla Corte di Giustizia.

LE RICHIESTE DEL SIGNOR GONZALEZ  La domanda di pronuncia pregiudiziale che verte sull’interpretazione della direttiva 95/46 era stata proposta nell’ambito di una controversia che vedeva contrapposte, quali parti della medesima, le società Google Spain SL e Google Inc. da un lato e, dall’altro, l’Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e il Sig. Costeja González, in merito ad una decisione adottata da detta Agenzia che accoglieva la denuncia depositata dal sig. Costeja González contro le due società suddette, la quale ordinava a Google Inc. di adottare le misure necessarie per rimuovere dai propri indici alcuni dati personali riguardanti costui, nonché di impedire in futuro l’accesso a tali dati. Il reclamo depositato dal Sig. Costeja González contro La Vanguardia Ediciones SL, che pubblica un quotidiano di larga diffusione, soprattutto in Catalogna, nonché contro Google Spain e Google Inc., era fondato sul fatto che, quando un utente di Internet avesse introdotto il nome del sig. Costeja González nel motore di ricerca di Google, otteneva dei link verso due pagine del quotidiano di La Vanguardia, rispettivamente del 19 gennaio e del 9 marzo 1998, sulle quali figurava un annuncio, menzionante il nome dello stesso, per una vendita all’asta di immobili connessa ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali. 

IL PASSATO NON DEVE DANNEGGIARE IL PRESENTE Mediante detto reclamo, il sig. Costeja González chiedeva, da un lato, che fosse ordinato a La Vanguardia di sopprimere o modificare le pagine suddette affinché i suoi dati personali non vi comparissero più, oppure di ricorrere a taluni strumenti forniti dai motori di ricerca per proteggere tali dati; dall’altro lato, che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o di occultare i suoi dati personali, in modo che cessassero di comparire tra i risultati di ricerca e non figurassero più nei link di La Vanguardia. Il Sig. Costeja González affermava che il pignoramento effettuato nei suoi confronti era stato interamente definito da svariati anni, ragion per la quale la menzione dello stesso non solo era ormai priva di qualsiasi rilevanza, ma addirittura lesiva del suo diritto alla tutela della propria vita privata. 

IL DIRITTO DI CRONACA NON SI TOCCA Con decisione del 30 luglio 2010, l’AEPD respingeva il suddetto reclamo nella parte in cui era diretto contro La Vanguardia, ritenendo che la pubblicazione da parte di quest’ultima delle informazioni in questione fosse legalmente giustificata, dato che aveva avuto luogo su ordine del Ministero del Lavoro e degli Affari sociali e aveva avuto lo scopo di conferire il massimo di pubblicità alla vendita pubblica, al fine di raccogliere il maggior numero di partecipanti all’asta. 

MA I MOTORI DI RICERCA DEVONO RISPETTARE LA PRIVACY Il reclamo, invece, veniva accolto nella parte diretta nei confronti di Google Spain e Google Inc., poiché era opinione dell’AEPD che i gestori di motori di ricerca fossero assoggettati alla normativa in materia di protezione dei dati, in ragione del fatto che essi effettuano un trattamento di dati per il quale sono responsabili e agiscono quali intermediari della società dell’informazione. L’AEPD riteneva, dunque, di essere autorizzata ad ordinare la rimozione dei dati, oltre il divieto di accesso a taluni degli stessi da parte dei gestori di motori di ricerca, qualora avesse ritenuto che la localizzazione e la diffusione degli stessi potessero ledere il diritto fondamentale alla protezione dei dati e la dignità delle persone in senso ampio, ciò che includerebbe anche la semplice volontà della persona interessata che tali dati non siano conosciuti da terzi. In ragione di ciò, l’AEPD affermava che tale obbligo incombesse direttamente ai gestori di motori di ricerca, senza che fosse necessario cancellare i dati o le informazioni dal sito web in cui questi compaiono, segnatamente quando il mantenimento di tali informazioni nel sito in questione fosse giustificato da una norma di legge. A fronte dell’anzidetto provvedimento, Google Spain e Google Inc. decidevano di proporre due ricorsi separati contro il provvedimento medesimo dinanzi all’Audiencia Nacional, dei quali quest’ultima disponeva la riunione.

PUÒ UN MOTORE DI RICERCA TROVARE PIÙ DI QUANTO DOVREBBE? Il giudice che ha ritenuto opportuno optare per il rinvio alla Corte di Giustizia, chiaramente in ragione della particolarità e della delicatezza del caso, si era trovato nella condizione di dover comprendere quali obblighi incombessero sui gestori di motori di ricerca per la tutela dei dati personali delle persone interessate, a fronte del desiderio di queste ultime di impedire che alcune informazioni, pubblicate sui siti web di terzi e contenenti loro dati personali che consentivano di collegare ad esse certe informazioni, venissero localizzate, indicizzate e messe a disposizione degli internauti in modo indefinito. La risposta, secondo quanto statuito dalla decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dipende sostanzialmente dal modo in cui viene interpretata la direttiva 95/46. La Corte, infatti, affermando che “esplorando internet in modo automatizzato, costante e sistematico alla ricerca delle informazioni ivi pubblicate, il gestore di un motore di ricerca "raccoglie” dati sensibili, che egli “estrae”, “registra” e “organizza” successivamente nell’ambito dei suoi programmi di indicizzazione, “conserva” nei suoi server e, eventualmente, “comunica” e “mette a disposizione” dei propri utenti sotto forma di elenchi dei risultati delle loro ricerche”, evidenzia poi che tali operazioni non possono non incontrare dati sensibili, quindi informazioni che fanno sorgere, di default, in capo al motore di ricerca, l’obbligo di trattarli conformemente a quanto prescritto dalla direttiva in parola, oltre che alle legislazioni nazionali in materia. Quindi, “nella misura in cui l’attività di un motore di ricerca può incidere, in modo significativo e in aggiunta all’attività degli editori di siti web, sui diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati personali, il gestore di tale motore di ricerca quale soggetto che determina le finalità e gli strumenti di questa attività deve assicurare, nell’ambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità, che detta attività soddisfi le prescrizioni della direttiva 95/46, affinché le garanzie previste da quest’ultima possano sviluppare pienamente i loro effetti e possa essere effettivamente realizzata una tutela efficace e completa delle persone interessate, in particolare del loro diritto al rispetto della loro vita privata”. 

QUANDO I RISULTATI DEL MOTORE DI RICERCA SONO DATI PERSONALI Nella sentenza oggetto del presente contributo si evince chiaramente l’intento della Corte affinché l’individuo venga tutelato nella sua dignità di essere umano, poiché  coglie il nocciolo duro del diritto all’oblio, l’anima di questo diritto avanguardistico di nuova generazione, affermando che spetta al responsabile del trattamento dei dati, in questo caso il motore di ricerca, garantire che i dati personali siano trattati lealmente e lecitamente, che vengano rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità, che siano adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati, che siano esatti e, se necessario, aggiornati e, infine, che siano conservati in modo da consentire l’identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati. 

IL RESPONSABILE DEVE CANCELLARLI O RETTIFICARLI Una svolta inaugurata dalla Corte di Giustizia europea che, grazie a questa sentenza, dal momento che la stessa ha fondamentalmente colto che il trattamento di dati personali, effettuato dal gestore di un motore di ricerca, può incidere significativamente sui diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali nel caso in cui la ricerca, con l’aiuto di tale motore, venga effettuata a partire dal nome di una persona fisica, dal momento che detto trattamento consente a qualsiasi utente di Internet di ottenere, mediante l’elenco di risultati, una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a questa persona reperibili su internet, che toccano potenzialmente una moltitudine di aspetti della sua vita privata e che, senza il motore di ricerca, non avrebbero potuto, o solo difficilmente avrebbero potuto, essere connesse tra loro, consentendo dunque di stabilire un profilo più o meno dettagliato di tale persona. Inoltre, l’effetto dell’ingerenza nei suddetti diritti della persona interessata risulta moltiplicato in ragione del ruolo importante che svolgono internet e i motori di ricerca nella società moderna, i quali “conferiscono alle informazioni contenute in un siffatto elenco di risultati carattere ubiquitario”. 

UNA SENTENZA IMPORTANTE La sentenza ricopre, quindi, un’importanza fondamentale per la tutela dei diritti sensibili, in questo caso dei dati personali, in quanto fissa dei limiti ai motori di ricerca, stabilendo per essi l’obbligo di sopprimere, dai risultati di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita. Allo stesso tempo, rafforza l’esistenza e la tutela del cosiddetto diritto all’oblio, affermando la necessità di verificare, in particolare, se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati di una ricerca effettuata a partire dallo stesso nome. 

I DIRITTI FONDAMENTALI PREVALGONO SULL’ACCESSO ALLE INFORMAZIONI L’argomento merita senz’altro ulteriori approfondimenti, soprattutto a fronte dei numerosi spunti di riflessione offerti dalla sentenza, che affronteremo nei prossimi post. Proprio in ragione della portata innovativa, sarà, poi, interessante osservare come l’ordinamento italiano intenderà adeguarsi alla stessa, bilanciando il diritto all’oblio con quello all’informazione, soprattutto a fronte della notizia dell’ultima ora a rigore della quale, stante l’impatto e la risonanza della pronuncia in parola, la Germania starebbe già provvedendo alla creazione di sezioni specializzate nei propri tribunali adibite proprio a far fronte alle numerosissime richieste di tutela del diritto all’oblio. Il tempo mostrerà se il passo in avanti compiuto dalla Corte di Giustizia europea resterà solo un buon proposito o, al contrario, getterà le basi per un’evoluzione giurisprudenziale che imbriglierà il web. Il tema a quanto pare presenta già delle criticità, ci aggiorniamo con i prossimi post sull’argomento…

Dottoressa Roberta Bonazzoli – Studio Comite