Con queste parole iniziava una bellissima canzone del 1967 scritta da due compianti autori come Franco Califano ed Umberto Bindi. Mi sembrava giusto intitolare così questo post per richiamare l’attenzione su una sentenza della Cassazione penale, depositata il 30 gennaio scorso, che ha confermato la decisione del giudice, competente a decidere sulle misure cautelari, di concedere il sequestro preventivo degli impianti di diffusione sonora di quattro locali (disco pub) che cagionavano “un’intollerabile e prolungato disturbo del riposo delle persone” nell’area dei Murazzi del Po a Torino.
UN CASO ALL’OMBRA DEI MURAZZI A dare ragione ai residenti, insonni quanto esasperati, era stato già il Tribunale di Torino che, con ordinanza del 20/2/2013, in parziale accoglimento dell'appello proposto dal P.M. avverso l'ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale ordinava il sequestro preventivo degli impianti di diffusione sonora di quattro locali siti nell'area dei Murazzi del Po. La richiesta di sequestro era stata avanzata in relazione all'ipotesi di reato di cui all art. 659 cod. pen.; il G.I.P., nell'ordinanza di rigetto, aveva ritenuto, da parte sua, mancanti elementi sufficienti per affermare, con riferimento a ciascun locale, che esso, in via autonoma e senza sommare le sue emissioni a quelle degli altri, avesse superato i limiti fissati dall'autorità amministrativa ed avesse effettivamente recato disturbo ai sensi dell'art. 659 cod. pen. (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone).
SE CI SONO TESTIMONI… Il Tribunale riteneva provato un intollerabile e prolungato disturbo del riposo delle persone causato dalle emissioni sonore provenienti dall'area dei Murazzi, menzionando le testimonianze dei cittadini e le misurazioni eseguite dall'Arpa; riteneva, altresì, provato che il rumore fosse prodotto dai locali ivi insistenti. Secondo il Tribunale, l'ordinanza del G.I.P. nella parte in cui richiedeva la prova del fatto che ciascun singolo locale fosse effettivamente causa del disturbo, non era convincente, poichè quella della cautela reale non è la sede in cui occorra accertare la responsabilità penale. Per il sequestro preventivo è sufficiente infatti l'astratta configurabilità del fatto illecito ipotizzato in base ad elementi già acquisiti in atti. Appariva quindi sufficiente, per la sussistenza del fumus del reato, ritenere verosimile che all'origine del disturbo vi fossero tutti i locali dei Murazzi del Po che emettevano rumori rilevanti verso l'esterno.
E’ LEGITTIMO SEQUESTRARE LE FONTI SONORE CHE DISTURBANO IL SONNO I proprietari dei locali ricorrevano davanti alla Corte di Cassazione per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata eccependo la violazione di legge contro la decisione del Tribunale torinese. I ricorrenti, a sostegno delle proprie ragioni richiamavano la stessa giurisprudenza della medesima Corte sulla sostanziale abrogazione della rilevanza penale del superamento dei limiti sonori posti dalle norme amministrative nonché facevano rilevare che il superamento era stato rilevato solo per alcuni locali, di conseguenza la condotta non aveva rilevanza penale. La tesi della difesa propugnava che i locali “incriminati” avrebbero dovuto essere fatti rientrare nei mestieri rumorosi contemplati dell'art 659 c.p., comma 2: il rumore prodotto, infatti, non è estraneo all'attività esercitata ma è insito nello svolgimento del mestiere: è pertanto irrilevante, ai fini penalistici, la circostanza che le persone fossero disturbate dall'esercizio del mestiere rumoroso.
I LOCALI NOTTURNI NON SONO MESTIERI RUMOROSI MA SI VIOLANO ALTRE NORME La Suprema Corte (Cassazione penale, Sezione I, Sentenza del 30 gennaio 2014, n. 4466) ha confermato invece la decisione del Tribunale di Torino ritenendo infondata la tesi difensiva dei gestori dei locali secondo cui la loro attività rientrerebbe nella categoria dei “mestieri rumorosi”: sarebbe pertanto irrilevante, ai fini penalistici, la circostanza che le persone fossero disturbate dall'esercizio del mestiere rumoroso. La citata sentenza della Cassazione infatti ha messo in evidenza come il mancato rispetto dei limiti di emissione del rumore (stabiliti dal DPCM 01/03/1991) può ben integrare la fattispecie di reato prevista dall’art. 659 c.p., attesa la concreta idoneità della condotta rumorosa ad arrecare disturbo ad una pluralità indeterminata di persone con conseguente messa in pericolo del bene della tranquillità pubblica e salubrità ambientale. Nella pronnuncia la Suprema Corte pone l’accento anche sugli accertamenti della polizia giudiziaria e le testimonianze dei cittadini disturbati i quali hanno ampiamente dimostrato che il disturbo alla tranquillità pubblica non derivava solo dal superamento dei limiti massimi di emissione sonora, ma anche dalla violazione di altre prescrizioni: in particolare non venivano rispettati gli orari, nè gli obblighi diretti a contenere il rumore.
L’INQUINAMENTO ACUSTICO E’ INTOLLERABILE Fatte queste considerazioni la Corte di Cassazione osserva che, anche sostenendo l’irrilevanza penale del mero superamento dei limiti stabiliti dalle norme amministrative, la violazione delle altre prescrizioni attinenti al contenimento del rumore conferma la configurabilità del reato di cui all’art. 659 c.p.. Gli ermellini hanno sancito pertanto che l’inquinamento acustico è un “intollerabile e prolungato disturbo del riposo” e per la rilevanza penale della condotta è sufficiente la prova che tale distrurbo sia causato dalle emissioni sonore e quindi non possono rientrare tra le semplici vilazioni amministrative le condotte rumorose idonee a mettere in pericolo la pubblica tranquillità.
MAL COMUNE SENZA MEZZO GAUDIO La questione trattata ha avuto come teatro, come abbiamo visto, la città di Torino e, per la precisione,gli abitanti dell’area dei Murazzi del Po ma di situazioni analoghe ne è piena la Penisola specie nei centri più abitati o nelle città più popolate (Milano, Roma Napoli, Bologna etc. etc.). L’impatto (e l’inquinamento) acustico dei locali pubblici nei quartieri residenziali è spesso argomento di attualità e di scontro tra gestori e cittadini. La situazione è complessa perché alla diffusione del rumore e della musica provenienti dalle varie discoteche, disco-pub e locali vari si aggiunge il rumore (talvolta ancor più intollerabile) generato dai clienti fuori dal locale che spesso si “dimenticano” di chi a pochi metri da loro cerca di dormire o riposare. La questione è ampia e coinvolge le scelte (talvolta scellerate) di gestione del territorio e di destinazione urbanistica da parte dei Comuni.
OCCORRE TUTELARE I DIRITTI DI TUTTI Le zonizzazioni acustiche e quindi i piani di governo del territorio devono essere realizzate in modo pratico tenendo conto dei diritti di tutti (gestori di locali compresi). E’ infatti inutile (e dannoso per il contesto socio territoriale) classificare in zone esclusivamente residenziali (con severi limiti assoluti notturni) le vie e le piazze dei ritrovi serali e continuare a concedere licenze per nuove attività che altro non fanno che aumentare il problema. I piani di zonizzazione acustica dovrebbero da un lato prevedere l’esercizio in alcune zone della città delle attività serali e notturne (dove è peraltro scontato l’assembrarsi di persone che sostano e vociano al di fuori dei locali) e dall’altro porre in campo strumenti efficaci, sia di controllo che sanzionatori, atti a garantire rigoroso rispetto degli orari e dei limiti delle immissioni rumorose. Il sequestro degli impianti di diffusione sonora (provvedimento al quale plaudiamo) è sicuramente uno strumento efficace per garantire il diritto alla quiete degli abitanti ma, a nostro giudizio, deve rimanere comunque un’eccezione in un Paese che sa darsi regole certe e soprattutto sa rispettarle.
Dottor Massimo Botti - Studio comite