Un caso che ci ha sottoposto recentemente un nostro affezionato lettore, mi fornisce uno spunto per svolgere alcune considerazioni in tema di risarcimento del danno da sinistro stradale nei casi in cui ne rimanga vittima un cane. In particolare, cercherò di porre l’attenzione sulle voci di danno risarcibili, in modo che, nella malaugurata ipotesi in cui il proprietario di “fido” si dovesse trovare in una situazione simile, si possa tutelare nei modi migliori ed avere il giusto risarcimento per tutti i danni subiti. Come al solito, iniziamo dal caso concreto…
COSA E’ SUCCESSO Ci riferisce il nostro lettore di essere proprietario di un bellissimo cane pastore maremmano-abruzzeze che, purtroppo, nell’ottobre del 2013 è rimasto vittima di un grave incidente stradale. Ebbene, a causa ed in conseguenza del sinistro il cane riportava danni di non poco conto: frattura multipla di radio, ulna e torace oltre a varie lesioni costali. Il nostro amico a quattro zampe veniva quindi urgentemente sottoposto ad intervento chirurgico presso una clinica veterinaria al quale seguivano le rituali visite mediche di controllo. Una volta denunciato il sinistro presso la compagnia di assicurazione del conducente del veicolo, il nostro lettore provvedeva ad inoltrare la documentazione relativa a tutte le spese mediche sostenute pari a circa 1.600,00 Euro. Successivamente, veniva contattato dal liquidatore della compagnia il quale, in maniera ferma e lapidaria, preannunciava che il risarcimento comunque avrebbe riguardato solo ed esclusivamente le spese mediche sostenute e documentate a causa del sinistro de quo, trattandosi di un comune “danno a cose”.
DANNO A COSE??? In realtà, occorre evidenziare subito che, quanto asserito dal liquidatore non è conforme a quanto rilevato sul punto e concordemente da dottrina e giurisprudenza, avendo queste ultime pacificamente ritenuto risarcibile altresì la voce di danno non patrimoniale alle condizioni che qui di seguito si illustreranno. Ma analizziamo gli aspetti relativi alla legittimazione attiva e alle voci di danno risarcibili. In tema di titolarità attiva del diritto al risarcimento del danno in caso di uccisione o ferimento di un animale, dottrina e giurisprudenza sono ormai concordi nel ritenere che: quanto al danno patrimoniale, la legittimazione attiva spetti al proprietario dell’animale; quanto al risarcimento dei danni non patrimoniali originati dal fatto illecito, la legittimazione attiva spetterà, non solo al proprietario, bensì anche a coloro che abbiano coltivato negli anni con l’animale una relazione affettiva (nel caso di specie, quindi, il risarcimento potrebbe spettare anche a persone che eventualmente convivono in casa con il nostro lettore e che da tempo abbiano avuto una relazione affettiva con il cane). In altre parole si tratta, in sostanza, di due diverse possibilità relazionali che possono anche non coincidere nella titolarità: il proprietario del cane può essere la stessa persona, o una persona diversa da quella che ha instaurato una relazione affettiva con l’animale. Quando l’animale si evolve, giuridicamente, da “cosa mobile” a quasi soggetto, il suo rapporto con l’essere umano diventa quello tra due esseri senzienti, e pertanto, si fuoriesce dall’ambito dei diritti di proprietà per entrare in quello dei diritti della personalità (nel nostro caso, probabilmente, il liquidatore si dimentica che con un cane si può stabilire una relazione affettiva diversa e più “alta” rispetto a quella con le “cose mobili”).
LA DIFFERENZA E’ RILEVANTE Quanto appena esposto determina, per l’appunto, una rilevante differenza sotto il profilo della legittimazione attiva a proporre l’azione risarcitoria: entrando in considerazione la relazione affettiva con un cagnolino deceduto o ferito a causa ed in conseguenza di un sinistro, legittimato attivo al risarcimento non è soltanto il proprietario dell’animale, ma anche la persona o le persone che abbiano coltivato con l’animale un rapporto affettivo. In particolare, a titolo di danno patrimoniale, il nostro affezionato lettore, proprietario del cane, ha diritto di ottenere il rimborso di tutte le spese mediche sostenute ivi incluse quelle per portare l’animale alle varie visite di controllo. Per quanto riguarda, invece, il danno non patrimoniale, dovrà essere riconosciuto il risarcimento anche a coloro che abbiano coltivato negli anni con l’animale una relazione affettiva. È scontato, infatti, che chi, con la propria condotta colpevole uccide o ferisce un animale, deve sicuramente pagarne il prezzo (danno patrimoniale), ma tale prezzo non è sufficiente quando tra il proprietario e l’animale si è instaurato uno speciale rapporto d’affezione. In questo caso, dottrina e giurisprudenza concordano sul fatto che deve necessariamente trovare riconoscimento un ulteriore danno non patrimoniale.
LA GIURISPRUDENZA SI ESPRIME IN MERITO In relazione a quanto sopra esposto, il Tribunale di Roma, si è espresso in una decisione nella quale, per l’appunto, si distingue tra il proprietario e il padrone dell’animale, affermando che, “la relazione affettiva con/per l’animale può avere rilevanza sul piano della tutela aquiliana, potendo richiedere che questa si estenda al risarcimento del danno non patrimoniale patito in conseguenza della perdita di un affetto che può essere annoverato tra i beni della personalità. Come è stato osservato in dottrina, la rilevanza autonoma della relazione affettiva può separare la posizione risarcitoria del proprietario da quella del padrone dell’animale: nel caso di uccisione di animali senza valore, nulla può essere dovuto al proprietario, ma molto può essere dovuto al padrone dell’animale” (Trib. Roma, 17.04.2002, GIUS, 2002, 2366). In tema di legittimazione attiva e passiva, più in generale la Corte di Cassazione ha stabilito che, “la “legitimatio ad causam”, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito l’esame d’ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata” (Cass. Civ. sez. I, sentenza del 10 gennaio 2008, n. 355). Pertanto, nel caso di un cane “di famiglia”, ad un solo proprietario possono anche corrispondere numerosi “relazionanti” tutti astrattamente legittimati ad ottenere il risarcimento del danno per la perdita o il ferimento dell’amato animale.
E LA CASSAZIONE PRESCISA Inoltre, la suprema Corte di Cassazione, ha recentemente precisato che, “Nel giudizio secondo equità rimesso dal comma 2 dell’art. 113 c.p.c. al Giudice di Pace, venendo in rilievo l’equità c.d. formativa o sostitutiva della norma di diritto sostanziale, non opera la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge, prevista dall’art. 2059 c.c., sia pure nell’interpretazione costituzionalmente corretta di tale disposizione. Ne consegue che il Giudice di Pace, nell’ambito del solo giudizio di equità, può disporre il risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protetti, sempre che il danneggiato abbia allegato e provato (anche attraverso presunzioni) il pregiudizio subito, essendo da escludere che il danno non patrimoniale rappresenti una conseguenza automatica dell’illecito” (Cass. Civ. sentenza 25 febbraio 2009 n. 4493). Pertanto, alla luce di tale orientamento giurisprudenziale, laddove il giudizio permanga nei limiti del giudizio di equità, nessuna limitazione può essere apposta alla liquidazione del danno non patrimoniale, essendo il giudizio medesimo svincolato dai limiti normativi tradizionalmente imposti alla decisione secondo diritto.
TRA UN UOMO E IL SUO CANE SI INSTAURA UN VERO E PROPRIO RAPPORTO AFFETTIVO L’atto illecito che determina la morte o il ferimento di un animale da compagnia, è produttivo di un danno giuridicamente rilevante nei confronti di chi lo accudiva e ne aveva cura, in ragione del coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra l’uomo e l’animale domestico comporta, anche come completamento e arricchimento della personalità dell’uomo e dei sentimenti di privazione e di sofferenza psichica indotti dal comportamento illecito. In questi casi il bene giuridico da proteggere non è l’animale, tutelato solo indirettamente, ma l’uomo, con la sua sensibilità e i suoi sentimenti. Pertanto, l’animale assume rilievo morale e anche giuridico non in quanto “cosa” o “bene” (come erroneamente rilevato dal liquidatore nel caso di specie), ma in quanto creatura sensibile che riesce ad instaurare con l’uomo un vero e proprio rapporto affettivo. A quanto sopra si aggiunga che, tale risarcimento del danno deve trovare riconoscimento a prescindere dalla titolarità effettiva della proprietà, fondandosi detto risarcimento sulla prova di aver instaurato con l’animale un particolare rapporto di natura affettiva (Tribunale di Rovereto, sentenza del 18 ottobre 2009). Alla luce di quanto sopra esposto, pare corretto ritenere che, il rapporto fra animale e padrone, debba necessariamente inserirsi in una di quelle attività realizzatrici della persona cui la stessa carta Costituzionale, con la previsione dell’art. 2, mostra di dare adeguata e particolare tutela. Ne deriva, pertanto, la sua risarcibilità non solo nel caso di danno derivante da condotta costituente reato, bensì anche nel caso di perdita dell’animale da fatto illecito colposo.
Avv. Roberto Carniel – Studio Comite