Una lettrice mi scrive chiedendomi come sia possibile che quanto dichiarato nel modulo di Constatazione Amichevole di Incidente (C.A.I.), compilato successivamente al verificarsi di un sinistro stradale, non sia ritenuto valido dalla propria compagnia di assicurazione. In particolare mi domanda se il parere del perito incaricato dalla medesima società (fiduciario), che ha stabilito che i danni riportati al proprio veicolo sono incompatibili con la dinamica descritta nel modulo C.A.I., abbia valore superiore rispetto alla dichiarazione confessoria contenuta nel citato documento. Conclude esprimendo perplessità per tutto il sistema C.I.D. (Convenzione Indennizzo Diretto), visto che l’eccezione proviene proprio dalla sua compagnia, quella da cui si aspetta di essere tutelata, e chiedendosi se la modalità di rigetto della sua richiesta non sia l’ennesima trovata delle società assicuratrici per mettere il lucchetto alle casse, in barba ai diritti che discendono dal contratto assicurativo e dalla legge. La domanda arriva giusto a ridosso della pubblicazione dell’ennesima sentenza, sul tema del valore da conferire alle dichiarazioni contenute nel modulo C.A.I. a firma congiunta, che può aiutare la nostra lettrice, e tutti noi, a capire se il comportamento della compagnia è legittimo o semplicemente pretestuoso.
TUTTO CHIARO, MA IL LIQUIDATORE DICE NO la signora, alla guida della propria auto, una BMW Z3, mentre era ferma allo stop, subisce un tamponamento nella parte posteriore e, a causa di tale urto, cagionato da un veicolo sopraggiunto a velocità non commisurata alle condizioni di tempo e luogo, viene sospinta contro il marciapiede riportando danni ingenti anche alla parte anteriore angolare destra. Il conducente-danneggiante riconosce la propria responsabilità nella causazione dell’incidente e provvede a sottoscrivere il modulo C.A.I., descrivendo in modo chiaro tutte le circostanze del sinistro così come raccontate. La signora provvede, dunque, a denunciare l’incidente alla compagnia presso cui è assicurata chiedendo un risarcimento ingente (circa euro quindicimila) per via sia dei danni alla parte posteriore sia di quelli riportati alla parte anteriore e, soprattutto, in virtù del fatto che i pezzi di ricambio del “gioiellino” (BMW Z3) non sono esattamente a buon mercato. Ebbene, la società assicuratrice a fronte della denuncia e conseguente richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali lamentati dalla lettrice, incarica un “perito accertatore” al fine di verificare sia la correttezza della quantificazione dei danni, così come operata dal riparatore, sia la compatibilità dei danni con le circostanze descritte in C.A.I.. Il fiduciario, pur confermando l’esattezza della quantificazione, contesta la compatibilità dei danni alla parte anteriore angolare destra con l’urto contro il marciapiede che ritiene di altezza non commisurata appunto ai riportati danni. Il liquidatore incaricato della gestione del sinistro, sulla base delle risultanze della relazione peritale, rifiuta di procedere al risarcimento. Questi i fatti!
NON SEMPRE E’ “TUTELA TOUT COURT” Prima di rispondere al quesito sulla legittimità o meno del rifiuto espresso dall’assicuratore della danneggiata, occorre evidenziare che il sistema del risarcimento diretto, voluto dal legislatore (su sollecitazione dell’A.N.I.A.) per incentivare la soluzione stragiudiziale delle controversie e ridurre i costi delle liti, è e resta incardinato su un modello di responsabilità civile e, pertanto, la liquidazione dei danni effettuata dall’assicurazione del danneggiato a favore di quest’ultimo non costituisce adempimento di un debito proprio. Infatti, secondo quanto previsto dall’art. 149, comma 3, codice delle assicurazioni private, vi è un obbligo in capo all’impresa di assicurazione di provvedere alla liquidazione del danno nei confronti del proprio assicurato, ma il pagamento non trova la propria causa in un rapporto obbligatorio diretto tra danneggiato e rispettiva assicurazione, bensì si fonda su un obbligo procedurale imposto dalla legge, secondo il quale l’assicurazione adempie “per conto” dell’impresa di assicurazione del veicolo responsabile. Ferma restando la successiva regolazione dei rapporti fra le imprese medesime (stanza di compensazione in cui le “consorelle” sistemano il loro rapporti di debito-credito). Ciò significa, sostanzialmente, che non è corretto ritenere, come adduce la lettrice, che la propria compagnia sia obbligata a “tutelare tout court” i diritti dell’assicurata in virtù del pagamento del premio e quindi in virtù del contratto di assicurazione, bensì semplicemente che l’assicuratore avrà l’obbligo, stabilito legislativamente (art. 149 del codice delle assicurazioni), di sollevare tutte le contestazioni che avrebbe sollevato la compagnia di assicurazioni che garantisce il veicolo condotto dal danneggiante, ovvero il responsabile civile.
L’ASSICURAZIONE E’ PARTE IN CAUSA Nelle controversie che traggono origine da un sinistro stradale i soggetti che obbligatoriamente devono essere presenti (o meglio “chiamati”) nel processo sono da un lato (quello attivo) il danneggiato e dall’altro (quello passivo) il proprietario-assicurato del veicolo che si assume abbia causato il danno nonché l’assicuratore di quest’ultimo o, nell’ipotesi, assai frequente, di applicabilità del risarcimento diretto, la compagnia di assicurazioni del danneggiato (come nel caso della lettrice) che assume il ruolo processuale di resistente al pari di quello che assumerebbe l’assicuratore del responsabile civile. Il soggetto che invece può comparire facoltativamente è il conducente del veicolo danneggiante (l’avvocato dunque a seconda della strategia che intende seguire chiamerà o meno nel giudizio anche questo soggetto).
COSA SUCCEDEVA PRIMA DEL 2006 Fatta questa doverosa premessa occorre sottolineare come diverse pronunce, anche dei giudici di legittimità, anteriormente al 2006, data in cui la Cassazione ha risolto la questione con una decisione a Sezioni Unite, stabilivano che la dichiarazione confessoria contenuta all’interno del modulo C.A.I. facesse piena prova nei confronti del confitente (cioè di colui che aveva fatto una dichiarazione contro se stesso) e solo di questo. A dar seguito a tale orientamento, tuttavia, poteva verificarsi paradossalmente la situazione in cui si addivenisse ad una decisione che andava in un senso riguardo al responsabile civile (ovvero la condanna di quest’ultimo) e in altro senso riguardo all’assicurazione che eccepiva la non veridicità di quanto indicato nel modulo C.I.D. e provava tale circostanza. E’ accaduto, quindi, che alcuni giudici, che hanno seguito tale orientamento, hanno condannato il solo responsabile civile e non la compagnia di assicurazione al risarcimento dei danni patiti dal danneggiato. Tale soluzione appariva, tuttavia, incoerente e contraria al sistema della responsabilità civile derivante da sinistro stradale e soprattutto contraria alla struttura del giudizio che, come premesso, vede, dal lato passivo, quali litisconsorti necessari (litiganti obbligatori) nel processo sia il responsabile civile sia l’assicuratore.
CON UNA NUOVA RISOLUZIONE A SEZIONI UNITE della Suprema Corte la questione è stata risolta disattendendo l’orientamento sopra citato e attribuendo alle dichiarazioni confessorie contenute nel modulo attitudine probatoria unica nel risultato per tutte le parti processuali. E, infatti, “deve escludersi che, nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 18 della legge n. 990 del 1969, sia nel caso in cui sia stata proposta soltanto l’azione diretta che nell’ipotesi in cui sia stata avanzata anche la domanda di condanna nei confronti del responsabile del danno, si possa pervenire ad un differenziato giudizio di responsabilità in base alle suddette dichiarazioni, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro. Conseguentemente, va ritenuto che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e – come detto – litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice” (Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza del 5 maggio 2006, n. 10311).
LA CASSAZIONE PUNTUALIZZA La decisione delle Sezioni Unite è stata correttamente ribadita da numerose pronunce e quindi anche di recente la Cassazione, tornando sull’argomento, ha puntualizzato “Costituisce consolidato principio di diritto quello secondo cui nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, il responsabile del danno, che deve essere chiamato nel giudizio sin dall’inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, poiché la controversia deve svolgersi in maniera unitaria tra i tre soggetti del rapporto processuale (danneggiato, assicuratore e responsabile del danno) e coinvolge inscindibilmente sia il rapporto di danno, originato dal fatto illecito dell’assicurato, sia il rapporto assicurativo, con la derivante necessità che il giudizio deve concludersi con una decisione uniforme per tutti i soggetti che vi partecipano” (Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 7 novembre 2013, n. 25047; analogamente: Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 18 luglio 2013, n. 17571; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 22 marzo 2011, n. 6526; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 13 luglio 2010, n. 16376; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 25 gennaio 2008, n. 1680; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 7 maggio 2007, n. 10304). Quanto emerge dal modulo C.A.I. sarà, dunque, valutato alla stregua di una prova semplice (c.d. praesumptio iuris tantum) superabile da prova contraria.
L’ASSICURAZIONE ECCEPISCE, IL GIUDICE DECIDE Tenuto conto di tutto quanto sopra precisato è chiaro che l’impresa di assicurazioni della signora che ci scrive, si è comportata secondo quanto prescritto dalla norma, ovvero ha opposto tutte le eccezioni che avrebbe potuto sollevare la compagnia del responsabile civile. Ciò, tuttavia, non significa che l’elaborato peritale di parte, stilato dal fiduciario della compagnia, abbia un valore probatorio superiore rispetto a quanto dichiarato nel modulo C.A.I. E’ però, altrettanto evidente che, stante la posizione assunta dalla compagnia di assicurazioni (rifiuto del risarcimento), dovrà essere un giudice a pronunciarsi e a valutare liberamente la prova, ovvero la dichiarazione confessoria contenuta nel modulo C.I.D., in ottemperanza a quanto stabilito dall’art. 2733, terzo comma, del codice civile, tenendo conto anche delle risultanze di altri elementi probatori, quali, ad esempio, eventuali testimonianze o la relazione di un consulente nominato dal giudice (C.T.U.) cui verrà demandato il compito di dire se, effettuati gli opportuni accertamenti e nel contraddittorio delle parti, i danni riportati dal veicolo della lettrice siano, in tutto e per tutto, compatibili con la dinamica dell’incidente, così come descritta nella C.A.I.