venerdì 20 novembre 2015

LEGITTIMA DIFESA NON È UGUALE A “GIUSTIZIA FAI DA TE”


In seguito ai recenti eventi che hanno portato Francesco Sicignano, pensionato di Vaprio d’Adda, al centro della cronaca, si parla sempre più spesso di legittima difesa domiciliare ossia la possibilità di reagire a un’aggressione subita nella propria abitazione senza incorrere nel rischio di una sanzione penale. Molti giornali e programmi televisivi raccolgono il pensiero della collettività in merito a tali fatti e, da ciò, è emerso che la stessa si schiera su due fronti ben distinti. C’è chi, da un lato, ritiene che il proprietario debba essere sempre scusato per le lesioni provocate al ladro. C’è chi, dall’altro, sostiene che solo in casi di eccezionale gravità l’aggredito non debba rispondere delle offese da lui causate, non potendo ammettere in una società civile, alcuna forma di giustizia privata. Da questo netto divario dell’opinione pubblica, possiamo porci una serie di interrogativi per meglio comprendere il tema. Cosa dice la legge? Qual è la posizione che il legislatore ha assunto nel codice penale? E qual è la posizione della giurisprudenza? Cerchiamo di analizzare insieme questi diversi aspetti…

LE SCELTE DEL LEGISLATORE All’interno del nostro codice penale, risalente al 1930, gli articoli che vanno dal 50 al 54 disciplinano alcune situazioni al cui verificarsi il soggetto responsabile di un fatto, qualificabile astrattamente come reato, può non essere condannato ad una sanzione penale. In presenza di tali cause di giustificazione, il fatto stesso da penalmente rilevante diviene lecito e pertanto non meritevole di alcun trattamento sanzionatorio. Tale liceità deriva, in particolare, da una norma giuridica che o autorizza quel comportamento (ad esempio, la legittima difesa) oppure lo impone (si pensi all’esercizio di un diritto o adempimento di un dovere). Il legislatore, in altre parole, compiendo lui stesso un bilanciamento tra i diversi interessi che in tali situazioni possono venire in gioco, ha inteso tutelare il principio di non contraddizione presente nel nostro ordinamento: non sarebbe giusto ricollegare una sanzione penale a un fatto che, seppur qualificato da una norma penale come reato, è ritenuto lecito da una diversa disposizione giuridica.

LA LEGITTIMA DIFESA Il Fondamento di tale causa di giustificazione è solitamente ravvisato nel bilanciamento tra l’interesse dell’aggressore e quello dell’aggredito, anche se c’è chi riconosce una forma di autotutela che lo Stato concede al cittadino quando il primo non può tempestivamente intervenire. Il primo comma dell’articolo 52 del codice penale così recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Tecnicamente si tratta di legittima difesa generica, e affinché se ne possa parlare occorre che siano presenti due elementi, vale a dire una condotta aggressiva e una reazione difensiva, contestuali e dipendenti tra loro. La prima sussiste quando, dall’aggressione, derivi un pericolo attuale di un’ingiusta offesa a un diritto, personale o patrimoniale, proprio o altrui. 

IL PERICOLO DEVE ESSERE ATTUALE In particolare, è necessario che l’azione dell’aggressore sia idonea a cagionare un danno che deve essere incombente o perdurante: ciò significa, argomentando al contrario, che la reazione difensiva sarà illecita quando il pericolo sia già passato o futuro. Perché questo requisito così rigido? Per via degli interessi coinvolti e poiché mentre nell’ultimo caso, cioè quando il pericolo è solo temuto, il soggetto potrebbe chiedere l’intervento dello Stato, nel primo (pericolo già passato) si avrebbe una vendetta non ammissibile in nessuna società che si qualifica come civile. Il pericolo, infine, non deve essere volontariamente cagionato dal soggetto aggredito e deve essere inevitabile; immaginiamo una sfida, ove ciascuno dei partecipanti voglia aggredire l’altro: qui la situazione di pericolo è stata creata dagli sfidanti ed era dagli stessi evitabile; pertanto, le condotte non possono qualificarsi come lecite e non meritevoli di pena. La difesa, invece, deve essere la sola possibilità per l’aggredito di sottrarsi all’aggressione (necessità) e deve essere diretta solo verso l’aggressore. Il requisito fondamentale è la proporzione tra difesa e offesa. 

REAZIONE PROPORZIONATA ALL’OFFESA Tale elemento si colloca tra le due condotte necessarie per integrare quanto stabilito dall’articolo 52 del codice penale, consentendo al giudice di valutare se l’aggredito abbia opposto all’offesa un comportamento equilibrato rispetto al male minacciato. La proporzione tra aggressione e difesa è proprio quell’elemento che a un non giurista potrebbe sfuggire poiché, per gli interessi coinvolti nella maggior parte dei casi concreti, si potrebbe pensare di essere sempre e comunque legittimati a difendersi con qualsiasi mezzo da un’aggressione ingiusta. Così non è! Il requisito che sto analizzando è, nella pratica, ciò che distingue uno Stato civile, ove il ledere l’altrui persona è considerato illecito (salvo le scriminanti), e uno Stato in cui vige l’anarchia ove non c’è rispetto per il bene vita e chi ha subito un torto si dà alla giustizia fai da te.

QUALCHE ESEMPIO PER CAPIRE MEGLIO Certo, si potrebbe obiettare dicendo che sia stato l’aggressore a violare tale principio generale e a giustificare una condotta offensiva dell’altra parte. Ma il punto non è questo: è giusto difendersi, anche offendendo l’integrità fisica dell’aggressore, ma solo quando i beni in gioco abbiano la stessa importanza e i mezzi difensivi adoperati siano meno lesivi, rispetto quelli a disposizione dell’aggredito. Solo in questo modo non si minano le fondamenta di uno Stato democratico e non si giustificano comportamenti meramente violenti. Per meglio comprendere tale concetto possiamo citare alcuni esempi in cui la Corte di Cassazione ha escluso l’operatività dell’articolo 52 del codice penale: è sproporzionata la condotta del padrone di casa che spara e uccide il ladro che si sta allontanando dall’abitazione; è sproporzionata la condotta di chi spara e uccide il ladro che si stava impadronendo dell’autovettura. Occorre, pertanto, una valutazione in concreto da parte del giudice della proporzione tra azione e reazione. 

LEGITTIMA DIFESA DOMICILIARE Proprio questo ultimo requisito subisce un ridimensionamento nell’ipotesi della legittima difesa domiciliare, poiché qui si parla di una proporzione presunta che non andrebbe accertata nel caso concreto. Le norme contenute negli ultimi commi dell’articolo 52 del codice penale, introdotti nel 2006, disciplinano un’ipotesi speciale rispetto a quella generica che ho già analizzato e disciplinata nel primo comma, rendendo lecita la condotta di chi, nei casi di violazione di domicilio, usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza (cioè quando l’aggressore insiste con la sua azione offensiva) e vi è pericolo di aggressione. Dalla lettura della norma, sembrerebbe emergere che in tali casi non sia necessario né un pericolo attuale né una difesa inevitabile, ritenendosi sufficiente la finalità difensiva nella condotta dell’aggredito. Tuttavia, così come ribadito dalla giurisprudenza, trattandosi di una sottocategoria della legittima difesa generica, devono sussistere non solo gli specifici requisiti per essa espressamente previsti, ma anche tutti quelli necessari perché si possa parlare di legittima difesa generica. Pertanto, non si potrà ritenere scusata la reazione difensiva se la stessa poteva essere evitata, ad esempio attraverso la fuga, o se il pericolo era futuro o passato.

IL LUOGO Primo elemento caratteristico è il contesto spaziale in cui l’aggressione deve realizzarsi ossia l’abitazione, luoghi di privata dimora o in cui si esercita un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Trattasi di luoghi protetti perché l’introdursi in uno di essi senza il consenso del proprietario integra, già di per sé, il reato disciplinato dall’articolo 614 del codice penale (Violazione di domicilio). Da tale elemento deriva un’importante considerazione: non può essere scusata la reazione difensiva ed offensiva indirizzata ad un ladro che ancora non si è introdotto o non si trovi più in uno dei luoghi sopra menzionati. Ciò perché il legislatore ha voluto delimitare la presunzione di proporzionalità di tale norma ai soli casi in cui il fatto si è realizzato all’interno di abitazione, privata dimora e simili. Pertanto, se si usasse un’arma legittimamente detenuta per sparare a un ladro che si trovi ancora sulle scale del proprio palazzo quando ancora non si è introdotto nella propria abitazione, non sussisterebbe la difesa legittima di cui ho parlato perché non ci troveremmo in uno di quei posti espressamente indicati dal legislatore. Occorre però precisare che la giurisprudenza potrebbe interpretare estensivamente le espressioni linguistiche contenute negli articoli 614 e 52 del codice penale, cosicché la scusante potrebbe trovare più ampia applicazione. 

LEGITTIMA PRESENZA SUL LUOGO E LEGITTIMA DETENZIONE DELL’ARMA Ulteriori requisiti richiesti dal legislatore attengono al soggetto che si difende e al mezzo da lui impiegato nel farlo. Da un lato, è necessario che la reazione difensiva sia posta in essere da un soggetto che si trovi legittimamente in uno dei luoghi indicati dalla norma. Ma cosa si intende per legittimamente? La giurisprudenza afferma che la legittima difesa domiciliare possa essere invocata non solo dal proprietario del luogo in cui avviene l’aggressione, ma anche da chi non possiede tale qualifica e, nello stesso tempo, non si è introdotto o non si trova nello stesso ambiente contro la volontà di chi ha diritto di escluderlo. Ad esempio, tale è l’amico del proprietario dell’appartamento in cui avviene un furto. Dall’altro, è richiesto che l’arma impiegata per difendersi sia legittimamente detenuta sussistendo il titolo autorizzativo previsto dalla legge del 1967 sul controllo delle armi. Tuttavia, non è necessario che vi sia corrispondenza tra il soggetto che utilizza l’arma e quello che ha ottenuto l’autorizzazione: ad esempio è lecita la condotta del cliente della gioielleria che fa fuoco sul rapinatore, avvalendosi di un’arma legittimamente detenuta dall’orefice. 

BENE TUTELATO La condotta difensiva, poi, deve essere volta a tutelare la propria o l’altrui incolumità o i beni patrimoniali propri o altrui. In quest’ultimo caso, però, è necessario qualcosa in più. Il legislatore, compiendo un bilanciamento tra il valore patrimonio e il bene integrità fisica, ha ritenuto di dover limitare l’operatività della presunzione di proporzionalità, in tali ipotesi, al solo caso in cui vi sia un pericolo di aggressione e una mancata desistenza da parte dell’offensore. È necessario, in altre parole, che il ladro minacci non solo il patrimonio ma anche la vita o l’incolumità fisica e, inoltre, l’offeso ha l’onere di tentare di far desistere il ladro dalla sua azione delittuosa, avvisandolo dell’imminente uso delle armi. 

LA PROPORZIONE L’articolo 52, comma 2, del codice penale espressamente sancisce che sussiste il rapporto di proporzione tra aggressione e difesa in presenza degli elementi finora esaminati e, pertanto, il giudice sarebbe esonerato dal compito di accertare se tale proporzione sussista nel caso concreto. Tale è la presunzione di proporzionalità che è stata in parte reinterpretata dalla nostra giurisprudenza. La presunzione in parola, infatti, non può e non deve essere intesa quale assoluta: il giudice deve nondimeno accertare l’attualità dell’offesa e l’inevitabilità dell’uso delle armi, poiché non può ritenersi lecita un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca nell’abitazione altrui. La reazione deve sempre essere l’unica possibile e non sostituibile con altra meno dannosa, non potendosi ammettere una generica facoltà dell’offeso di ledere il ladro per il sol fatto che si sia introdotto in un luogo protetto. 

IN CONCLUSIONE Quando tv o giornali ci informeranno del caso di un soggetto che ha sparato e ucciso un ladro entrato nel suo appartamento, non dovremo rimanere turbati nel sapere che nei suoi confronti è stato aperto un procedimento penale perché è necessità di uno Stato democratico, come il nostro, accertare se sussistevano tutti quei requisiti che il legislatore ha richiesto per ritenere applicabile la legittima difesa domiciliare. 


Avvocato  Licia Vulnera – Redazione Giuridicamente parlando