lunedì 23 novembre 2015

LAVORO: L’USO PERSONALE DI FILE, INTERNET E MAIL AZIENDALI LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO?


L’assegnazione di account aziendali ai dipendenti dell’azienda, per lo svolgimento delle mansioni lavorative, è una modalità oramai collaudata. In genere il datore di lavoro regolamenta l’utilizzo della mail e di internet, diramando circolari interne alle quali il dipendente è tenuto ad attenersi nel rispetto, dei principi generali stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Non è, tuttavia, inusuale che i lavoratori prendano, nel corso del rapporto di lavoro, l’abitudine di usare questi strumenti anche per finalità personali, un po’ per comodità e un pochino, forse, per l’orgoglio di essere identificati con la qualifica professionale loro attribuita. La pratica in questione, d’altra parte, non sempre è gradita al capo il quale può ritenere, a torto o a ragione, che il tempo utilizzato per la scrittura di comunicazioni in uscita o per la lettura di quelle in entrata sia sostanzialmente tempo sottratto all’attività di lavoro mediante l’uso improprio degli strumenti di lavoro. Qualcuno si arrabbia a tal punto da punire il lavoratore con sanzioni pesanti quali per esempio la sospensione della retribuzione per un determinato periodo di tempo. In altri casi si arriva persino al licenziamento richiamando la giusta causa. Ma è legittimo arrivare a tanto? Vediamolo insieme …

COSA SIGNIFICA USO IMPROPRIO DELLA MAIL AZIENDALE? Recentemente la Suprema Corte ha stabilito che è illegittimo il comportamento del dipendente che utilizzi l’email aziendale per effettuare comunicazioni personali e, quindi, che tale condotta giustifica l’applicazione di sanzioni disciplinari. In particolare con l’espressione uso improprio dell’email s’intende l’utilizzo che fuoriesca integralmente dalle finalità connesse alle mansioni lavorative, come risultanti dall’obbligazione assunta dal prestatore con la sottoscrizione del contratto di lavoro. Ipotesi classica è quella del ricorso a tale casella per effettuare comunicazioni o intrattenere rapporti di natura essenzialmente personale, non legati, nemmeno occasionalmente, con l’esercizio dell’attività di lavoro (Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 2 novembre 2015, n.22353). 

…E USO IMPROPRIO DEGLI STRUMENTI INFORMATICI? Con tale espressione si fa, invece riferimento ad altre condotte quali ad esempio l’accesso improprio a file di documenti protetti da password e username, anche qualora si trovi nello spazio comune aziendale, oppure l’utilizzo di un software pirata per operare un accesso illegittimo ai computer di altri colleghi di lavoro, o ancora l’installazione sul personal computer di programmi coperti da copyright e di software non fornito dall’azienda che, tra l’altro non comporta solo un utilizzo improprio dello strumento aziendale, ma anche un utilizzo illegittimo, poiché attuato in violazione dell’art. 64 della Legge n. 633 del 1941 e successive modifiche e integrazioni, con il rischio di responsabilità, quantomeno civile, del datore di lavoro.

OK AL LICENZIAMENTO IN TRONCO, MA SOLO SE… Con riguardo alle sanzioni, la Cassazione ha, tuttavia, precisato, anzi ribadito, che il licenziamento in tronco, per giusta causa, secondo quanto stabilito dall’art 2119 del codice civile, può essere comminato solo se il datore di lavoro prova il serio e consistente danno per l’azienda quale può essere quello che deriva dall’interruzione del lavoro con grave danno per l’attività produttiva. In mancanza di tale prova la contestazione mossa al lavoratore rientra soltanto tra quelle previste nell’art. 53 del contratto collettivo il quale prevede semplicemente una sanzione disciplinare di tipo conservativo, vale a dire una multa o la sospensione della retribuzione per un tempo limitato ma non il licenziamento ovvero una sanzione espulsiva (Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 2 novembre 2015, n.22353; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 18 marzo 2014, n. 6222).

LA LETTERA DI RICHIAMO FA RIFERIMENTO AI CONTRATTI COLLETTIVI Nei casi esaminati ultimamente dai giudici di legittimità, infatti, le circostanze addotte dai datori di lavoro non sono valse a dimostrare che gli addebiti mossi ai dipendenti riguardassero infrazioni disciplinari diverse e più gravi rispetto a quelle contemplate dal contratto collettivo, richiamato nelle lettere di contestazione, per l’uso improprio degli strumenti aziendali. Il riferimento a precedenti informazioni e preavvisi, ovvero circolari interne e mail informative, che indicavano le modalità di utilizzo del computer aziendale, non può essere interpretato, né valere, come violazione di distinti obblighi contrattuali, rilevando solo ai fini della gravità dell’inadempimento. I giudici proseguono, poi, evidenziando come la lettera di contestazione non indichi, quanto alla presenza di programmi coperti da copyright, la violazione di limiti posti all’utilizzazione degli stessi, con conseguenti profili di responsabilità per l’azienda. Inoltre, il fatto che la condotta sia stata reiterata non esorbita dalla previsione dell’utilizzo improprio, locuzione che può intendersi anche come riferita a un impiego protratto nel tempo (Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 2 novembre 2015, n.22353; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 18 marzo 2014, n. 6222).

LA GIUSTA CAUSA VA ESAMINATA IN CONCRETO, MA… Sempre a dire della Cassazione, la giusta causa di licenziamento costituisce una nozione che la legge configura con disposizioni di carattere generale, allo scopo di adattare tali norme alla realtà che muta nel tempo. L’analisi sulla sussistenza o meno di tale presupposto (giusta causa) compete, quindi, ai giudici del merito. Tuttavia, poiché le specificazioni del parametro normativo, operate dai giudici di primo e secondo grado, diventano esse stesse regole di diritto, esse possono essere poste al vaglio dei giudici di legittimità con riguardo alla violazione di legge a condizione però che la contestazione non si limiti a una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standard conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cassazione civile, Sentenza del 9 aprile 2014, n. 8367, Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 2 marzo 2011, n. 5095). In pratica i giudici di legittimità possono mettere il naso nell’operato dei giudici di merito solo se i ricorrenti provino che questi ultimi hanno fatto riferimento a standard esistenti nella realtà contrari ai principi generali contenuti nell’ordinamento giuridico.

IN SINTESI E IN PRATICA Non è possibile comminare la sanzione del licenziamento per giusta causa al lavoratore che ha utilizzato l’e-mail aziendale per scopi personali, salvo che tale uso improprio non abbia costituito un danno grave per l’azienda avendo comportato il blocco del lavoro e, quindi, dell’attività produttiva. Diversamente vi sarebbe sproporzione tra la condotta posta in essere dal dipendente, in violazione delle direttive datoriali, e la sanzione comminata. Da tenere conto, tra l’altro, che tutte le volte in cui, nella lettera di contestazione si fa riferimento alla contrattazione collettiva, questa prevede appunto sanzioni di carattere conservativo e non espulsivo. Diversamente, pur se eccessivo, si potrebbe ipotizzare la sussistenza della giusta causa con riferimento, tout court, alla violazione del dovere di obbedienza disciplinato dall’art. 2104 del codice civile. Vedremo come la giurisprudenza, anche alla luce delle nuove norme, interpreterà la violazione di tale dovere in relazione all’uso degli strumenti aziendali. 


Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite