Di recente, hanno
suscitato grande scalpore, nel mondo calcistico e non solo, le immagini dei
manichini impiccati di alcuni calciatori della AS Roma trovati in prossimità del
Colosseo con la scritta “Un consiglio senza offesa… dormite con la luce
accesa!”. Ma, mentre per alcuni si è trattato solo di una bravata, di un
innocuo gesto goliardico, normale per una città che vive intensamente e con
grande passione la competizione con l’altra squadra cittadina ed ogni clima
pre derby, per altri, invece, la vicenda è da condannare duramente,
rappresentando l’emblema di un mondo oramai sempre più malato. Insomma, un
gesto che non ha nulla a vedere con lo sport. Ma, al di là delle reazioni,
ironiche o indignate, dell’opinione pubblica, alcuni si sono chiesti se la
vicenda possa assumere una rilevanza ben più grave. In sintesi ci si è chiesti
se tale condotta possa integrare addirittura gli estremi di un reato. In
effetti, all’indomani dell’episodio descritto, si era ipotizzato il reato di
minaccia aggravata. Vediamo, allora, insieme…
SPORT CHE PASSIONE, OK, ma le manifestazioni di
violenza non possono essere mai giustificate. Lo ha ribadito diverse volte e
per diverse circostanze anche la Corte di Cassazione. Purtroppo, però, nel
mondo del calcio assistiamo sempre più e spesso ad episodi che nulla hanno a
che fare con il calcio, con lo sport e con la autentica passione sportiva.
Quasi ci siamo abituati a vedere, in occasione di partite, forze dell’ordine in
tenuta antisommossa, misure di sicurezza degne di un G7, risse anche mortali
tra tifoserie contrapposte, atti vandalici dentro e fuori gli stadi. Quasi non
ci scandalizziamo più a sentire che alcune tifoserie sono influenzate o addirittura
infiltrate ed utilizzate da organizzazioni criminali! E anche gli stessi
calciatori, ora sono osannati e idolatrati e ora sono bersagli di attacchi e
minacce, non solo verbali, e indipendentemente se appartengono alla squadra
avversaria ovvero alla propria squadra (quando non portano i risultati attesi o
non mostrano quell’attaccamento alla maglia che ci si aspetterebbe). E così, tifo e codice penale si vengono spesso
ad intrecciare e anche quella che può sembrare ad alcuni una folcloristica rappresentazione
della propria fede sportiva può in realtà configurare un reato.
IL REATO DI MINACCIA di cui all’art. 612
codice penale, in particolare, secondo il consolidato orientamento
interpretativo della Corte di Cassazione, perché possa dirsi configurato, non
richiede che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito,
essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall’agente
sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto
passivo. Il delitto di minaccia è reato di pericolo che non presuppone la
concreta intimidazione della persona offesa, ma solo la comprovata idoneità
della condotta ad intimidirla. Cioè, la norma che incrimina la minaccia delinea
un reato di pericolo, per la cui
integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mediante
l’incussione di timore nella vittima. È sufficiente, invece, che il male
prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per
ciò solo, la sfera della libertà morale.
Dunque, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il reato di minaccia
richiede il riferimento esplicito, chiaro ed inequivocabile ad un male
ingiusto, idoneo, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di
luogo, ad ingenerare timore in chi risulti esserne il destinatario (si veda, da ultima, Corte di Cassazione,
sez. quinta penale, sentenza n. 22710 del 10/05/2017).
A PROPOSITO DI CALCIO la giurisprudenza di
legittimità non si discosta dai principi sopra enunciati. Infatti, proprio in
applicazione di essi, la Corte di Cassazione ha in passato censurato la decisione del giudice di merito, che aveva escluso il
contenuto intimidatorio di alcune espressioni rivolte ad alcuni giocatori di
una squadra di calcio e contenute in una lettera anonima, pubblicata su un
quotidiano sportivo, ritenendo (in maniera giudicata quindi errata) che fossero
volte non tanto ad intimidire i calciatori, quanto ad esternare il malcontento
della tifoseria nei confronti di alcuni di essi, adoperando il linguaggio colorito che sarebbe
"prassi costante" nel mondo calcistico (Corte di Cassazione, Sez. 5, sentenza n. 46528 del 02/12/2008).
QUINDI ai fini
dell’integrazione del delitto è necessario che la minaccia, da valutarsi con criterio medio (cioè con gli occhi
dell’uomo comune) ed in relazione alle concrete
circostanze del fatto, sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul
soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto.
Inoltre, con l’espressione minaccia
grave, contenuta nel secondo comma dell’art 612 cod. pen., il legislatore
ha inteso dare rilievo all’entità del
turbamento psichico che l’atto intimidatorio può determinare sul soggetto
passivo. E, a tal fine, non è necessario che la minaccia di morte sia
circostanziata, potendo benissimo, anche nel modo generico come viene
pronunciata, produrre un grave turbamento psichico, che, nel caso in esame, ben
potrebbe essere stato prodotto dalla natura macabra della rappresentazione
(peraltro raffigurante calciatori non anonimi, ma ben individuati ed
identificati), dal linguaggio larvatamente intimidatorio della scritta
(certamente non attenuato dalla simpatia della rima) e dalle circostanze di
luogo, di tempo e di modalità di divulgazione del messaggio (caratterizzate da
una forte teatralità e da una pubblicità e una diffusione massime) (Corte di Cassazione, sez. V penale,
sentenza del 03/12/2015, n. 48005).
Avvocato
Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando