La vicenda di cui si è
occupata recentemente la Corte di Cassazione, può ben dirsi rivoluzionaria agli
occhi di un giurista e dotata di giustizia sostanziale per un comune cittadino.
I giudici di legittimità sono stati chiamati a decidere sul se deve essere
sanzionato penalmente un soggetto che si è impossessato, all’interno di un
supermercato, di due pezzi di formaggio e una confezione di wurstel, per un
valore complessivo di circa quattro euro. Si trattava, in particolare, di un
ragazzo straniero, senza fissa dimora né lavoro che, non appena scoperto,
prontamente restituiva la merce rubata, pagando solo per ciò che si poteva
permettere ossia una confezione di grissini. La Sezione V della Corte di
Cassazione, per la prima volta, ha ritenuto di poter assolvere l’imputato per
aver commesso il fatto in stato di necessità. Scopriamo insieme i dettagli di
questa vicenda…
QUANDO SI PUÒ PARLARE DI
STATO DI NECESSITÀ? L’articolo
54 del codice penale intitolato “Stato di necessità” sancisce una causa
di giustificazione del reato (detta anche scriminante) che rende lecito un
fatto che, in via diversa, ovvero in assenza della causa di giustificazione,
andrebbe sanzionato penalmente. Il Legislatore ha ritenuto non punibile chi
commette un fatto di reato perché costretto dalla necessità di salvare sé o
altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, ciò sulla base di un
bilanciamento tra gli interessi in gioco. Dunque, perché si possa parlare della
sussistenza dello stato di necessità occorre, in primo luogo, che il
fatto-reato sia commesso in presenza di
una situazione di pericolo che deve essere tanto attuale, ossia immanente, quanto relativo ad un danno grave alla persona. Deve essere,
altresì, non volontariamente causata
dal soggetto agente. In secondo luogo, affinché il colpevole possa salvarsi
dalla condanna, occorre che l’azione lesiva sia assolutamente necessaria, non potendo trovare applicazione l’art.
54 del codice penale tutte le volte in cui l’imputato avrebbe potuto evitare la
situazione di pericolo ponendo in essere una condotta diversa e penalmente
irrilevante. Infine, è necessario che l’azione lesiva sia proporzionata al pericolo e ciò si spiega in quanto il reato
realizzato vede come persona offesa un terzo soggetto, del tutto estraneo alla
situazione di pericolo in cui versava il reo.
DANNO GRAVE ALLA PERSONA
Il
requisito in questione è stato oggetto di diverse rivisitazioni da parte della
giurisprudenza, volte ad estenderne la portata o a ridurla. Inizialmente danno
grave alla persona era solo quello che toccava i beni della vita e dell’integrità fisica, cosicché la scriminante in
esame era circoscritta ad un numero limitato di ipotesi. Successivamente si
ritenne di poter applicare l’articolo 54 del codice penale anche quando il
danno paventato aveva come oggetto altri beni attinenti alla personalità, quali
l’onore, il danno morale e la libertà
sessuale. Con l’entrata in vigore della Costituzione e con la necessità di
fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata alle diverse norme del
nostro codice penale, la giurisprudenza ha esteso il concetto di danno grave
alla persona a tutti quei beni legati alla personalità dell’uomo e rientrati
nei diritti inviolabili di cui all’articolo
2 della Costituzione. Così, si è
iniziato a scusare la condotta penalmente rilevante posta in essere da chi si
trovava nella necessità di salvaguardare i propri beni primari collegati alla
personalità, quali il diritto all’abitazione e tutti quei beni che concorrono
allo sviluppo della singola persona.
L’ORIENTAMENTO FINO AD
OGGI PREVALENTE Nonostante
tale tesi volta ad estendere l’ambito applicativo della norma, i giudici di
legittimità erano sempre fermi nel negare
l’operatività di tale scriminante qualora il colpevole avesse agito perché
spinto dal proprio stato di indigenza.
La ragione di tale limitazione atteneva alla circostanza per cui lo stato di
bisogno economico potesse essere, seppur in parte, fronteggiato con strumenti
della moderna organizzazione sociale (esempio sono gli istituti di assistenza)
e che, pertanto, la situazione di pericolo non
fosse inevitabile né dotata di attualità. Inoltre, secondo questo
orientamento interpretativo, sarebbe stato difficile
identificare lo status di indigente che giustificherebbe l’applicabilità di
tale scriminante; in altre parole, sarebbe difficile dire con chiarezza chi
possa essere definito indigente e chi no. Tale, pertanto, era la tesi fino ad oggi
prevalente in forza della quale a chi versava in situazione di bisogno non si
poteva applicare la causa di non punibilità dello stato di necessità, ma si
ritenevano operanti altre norme del nostro codice penale (come ad esempio la
circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità prevista
dall’articolo 62 n. 4 del codice penale o, in caso di furto, l’ipotesi del
furto lieve per bisogno disciplinata dall’art 626 n. 2 del medesimo codice).
L’INIZIO DI UN NUOVO
FILONE GIURISPRUDENZIALE? La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, sembra
aprire le porte ad una nuova applicazione estensiva dell’articolo 54 del codice
penale a tutte quelle ipotesi in cui il fatto di reato sia commesso da soggetto
in stato di bisogno. Tuttavia occorre essere molto cauti. Ciò perché, in primis, la Cassazione non ha fornito
un’ampia motivazione del ragionamento impiegato per assolvere l’imputato dal
reato di furto; in secondo luogo, allo stesso risultato o ad uno simile si
sarebbe potuti pervenire applicando, ad esempio, la nuova causa di non
punibilità disciplinata dall’art 131 bis del codice penale. In parole povere è
come se i giudici di legittimità avessero voluto assolvere in forza delle
specifiche circostanze concrete in cui si è verificato il furto. E infatti, il
reato ha avuto ad oggetto una confezione di wurstel e due di formaggio; il
valore complessivo della merce era pari a quattro euro; il soggetto era senza
lavoro né casa; recatosi alle casse, aveva comunque pagato per acquistare una
confezione di grissini, nascondendo il resto dei prodotti; una volta scoperto,
consegnava immediatamente la merce rubata. Si tratterebbe, quindi, di una serie
di circostanze che hanno portato i giudici a scusare quel singolo comportamento perché compiuto per far fronte ad un
imprescindibile e immanente bisogno di alimentarsi (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 2 maggio 2016, n. 18248).
IN CONCLUSIONE, per poter affermare davvero
che si è in presenza di un giro di boa in ordine all’operatività della
scriminante dello stato di necessità occorrerà aspettare un po’ di tempo e
monitorare le nuove pronunce dei Tribunali. Solo, infatti, quando questa nuova
interpretazione estensiva della norma si sarà consolidata si potrà parlare di
vero e proprio orientamento.
Avvocato
Licia Vulnera – Redazione Giuridicamente parlando