venerdì 13 febbraio 2015

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: LA VIOLENZA CONSUMATA DAVANTI AI FIGLI VALE DOPPIO


Il tema della violenza perpetrata nei confronti delle donne e in particolare di quella consumata all’interno delle pareti domestiche è sempre stato al centro della nostra attenzione, specie quando vengono coinvolti dei minori, purtroppo vittime innocenti della follia brutale che si scatena in queste bieche situazioni. A tale proposito, merita sicuramente di essere approfondita una recentissima sentenza della Suprema Corte che ha stabilito un principio molto importante, vale a dire che i maltrattamenti posti in essere da un genitore in danno all’altro, laddove abituali, integrano anche il reato di maltrattamenti nei confronti dei figli che assistono alla violenza medesima. La questione è interessante e costituisce un precedente indubbiamente importante a tutela dei soggetti più vulnerabili e fragili coinvolti nelle situazioni di crisi familiare. Vediamo ora il perché …

MALTRATTAMENTI CONTRO FAMILIARI E CONVIVENTI Come più volte già evidenziato nel corso dei post precedenti, il reato di Maltrattamenti contro familiari e conviventi è disciplinato dall’art. 572 del codice penale, recentemente modificato dalla Legge n. 172/2012, che ne ha sostituito il testo come segue: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave [c.p. 583], si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni”.

ASSISTERE A MALTRATTAMENTI ABITUALI È UNA FORMA DI MALTRATTAMENTO La novità della sentenza in commento, prima in assoluto in questi termini, discende dunque dal fatto che la Cassazione afferma la configurabilità del reato di maltrattamenti non solo nella tradizionale forma commissiva (si intendono, in altre parole, tutti quei comportamenti violenti fisicamente posti in essere a danno della vittima, quali, ad esempio, schiaffi) ma, soprattutto con riguardo ai figli, nella forma omissiva, frutto di una deliberata e consapevole, dunque volontaria, insofferenza e trascuratezza verso gli elementari ed irrinunciabili bisogni affettivi ed esistenziali dei figli stessi, quale può essere il vivere in un ambiente familiare sereno, scevro da qualsivoglia forma di violenza. Tale condotta omissiva, inoltre, viola quanto disposto dall’art. 147 del codice civile (Doveri verso i figli) in punto di educazione e istruzione al rispetto delle regole minimali del vivere civile, il quale dispone che: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis”.

TOLLERANZA ZERO La vicenda che ha permesso alla Corte di legittimità di esprimersi nei termini anzidetti origina da un ricorso promosso dalla Procura della Repubblica avverso un’ordinanza con cui il Tribunale della libertà annullava, seppur parzialmente, un provvedimento cautelare emesso nei confronti di un uomo accusato di maltrattamenti ai danni della moglie e dei figli. L’annullamento, in particolare, riguardava i contestati maltrattamenti proprio nei confronti dei figli, in quanto il Tribunale del riesame, nel confermare i gravi indizi di colpevolezza quanto al delitto contestato in danno della moglie, lo annullava per la restante parte, rilevando che gli elementi raccolti, mettevano in luce soltanto pochi episodi isolati in cui figuravano i figli minori, episodi definiti “comunque senz’altro inidonei a disegnare la condotta continua e sistematica richiesta dalla norma in addebito per l’integrazione della fattispecie”. Ciò che è davvero di nota è l’acutezza del Pubblico Ministero che si occupava di questo caso, dal momento che lo stesso ha deciso di proporre ricorso per Cassazione in quanto ha ritenuto che l’ordinanza impugnata, avesse sottovalutato l’efficacia maltrattante della violenza assistita dai figli che, al contrario, a giudizio dello stesso, andrebbe pesata come idonea a cagionare un grave e duraturo stato di sofferenza in capo ai minori stessi (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 29 gennaio 2015, n. 4332).

LA VIOLENZA ASSISTITA VIENE PARIFICATA A QUELLA DIRETTA La violenza assistita dai figli minori consiste, in altre parole, nella violenza perpetrata da un genitore nei confronti dell’altro, di cui i figli stessi sono, loro malgrado, inermi spettatori. Da tale situazione, infatti, non possono che discendere sofferenti e sofferte conseguenze, ovviamente negative ed indelebili, in danno degli stessi minori. È evidente, infatti che assistere alla reiterata condotta maltrattante di un genitore in danno dell’altro non può che far sorgere, nei piccoli che assistono, una naturale e profonda sofferenza, che nessun bambino dovrebbe mai provare. La Corte, in definitiva, in modo oltremodo apprezzabile, ha chiarito che la violenza assistita, per poter essere ricondotta alla fattispecie criminosa disciplinata dall’art. 572 c.p., esige una necessaria reiterazione e persistenza nel tempo della condotta maltrattante, la quale sarà verificabile, dal giudice di merito, non solo approfondendo le singole interazioni familiari, ma anche il processo di crescita morale e sociale della figliolanza interessata, a tanto non bastando una mera generalizzata negatività della condotta in sé e per sé considerata.


IN CONCLUSIONE fermo restando che ritengo doveroso punire aspramente qualsivoglia forma di violenza, non posso che esprimere, per quanto possa valere, il mio personale apprezzamento, in quanto donna prima ancora che (aspirante) giurista, innanzitutto per il Pubblico Ministero che ha reso possibile questo salto in avanti nella lotta alla violenza di genere, ed in secondo luogo per la sensibilità mostrata dalla Suprema Corte, che ha finalmente riconosciuto rilevanza penale a quella forma di maltrattamento psicologico e morale, ahimè intangibile, che subiscono i figli minori quando assistono ad episodi di violenza, purtroppo ripetuti nel tempo, posti in essere da un genitore in danno all’altro. Violenza, si sa, chiama violenza, dunque rendersi conto che assistere alla stessa equivale a subirla è, indubbiamente, una conquista ed un passo in avanti nella lotta alla violenza medesima. Altra battaglia vinta nella terribile guerra contro ogni forma di aggressività!

Dottoressa Roberta Bonazzoli - Studio Comite