mercoledì 11 dicembre 2013

LEGGE FORNERO: LICENZIARE PER CRESCERE?



Colgo l’occasione per svolgere alcune brevi considerazioni sulle novità introdotte dalla “Legge Fornero” in materia di licenziamento individuale per motivi economici, dopo aver affrontato il caso di Federico, milanese di anni 45. Ad oltre un anno dall’entrata in vigore della riforma del mercato del lavoro effettuata per mano della Legge n. 92 del 2012, i tempi sono infatti maturi per svolgere alcune riflessioni, anche in chiave critica, su tale normativa, rubricata, forse esagerando, come “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”. Ma partiamo proprio da questo caso… 


IL CASO DI FEDERICO Impiegato per oltre dieci anni in un’importante multinazionale nel settore del commercio all’ingrosso; lo scorso novembre gli viene intimato dal datore di lavoro il licenziamento per ragioni di carattere produttivo e per l’impossibilità di essere impiegato in altre mansioni. Lo stesso ci domanda se ha possibilità di essere reintegrato nel suo posto di lavoro, dal momento che alla sua età e, vista la contingenza sfavorevole, avrebbe ben poche possibilità di reperire un’altra occupazione analoga alla precedente. Si tratta di una questione che richiede, preliminarmente, una breve illustrazione delle novità introdotte sul punto dalla citata normativa.

E LA RIFORMA IN SINTESI Il legislatore si prefiggeva l’intenzione di:

a) contrastare usi elusivi di obblighi contrattuali e fiscali degli istituti contrattuali esistenti; 
b) rendere più efficiente l’assetto degli ammortizzatori sociali; 
c) adeguare la disciplina dei licenziamenti al mutato contesto economico. 

È su quest’ultimo punto che dobbiamo soffermarci al fine di rispondere al quesito che ci ha sottoposto il nostro lettore. Ora, in materia di adeguamento della disciplina dei licenziamenti, la riforma ha inciso nei seguenti termini:

1) conferma dell’apparato sanzionatorio in vigore per i licenziamenti nulli (per discriminazione e altri casi previsti dalla legge, per motivo illecito determinante e per quello inefficace perché intimato in forma verbale); 
2) “reintegrazione depotenziata o attenuata” (reintegrazione più risarcimento del danno, con un tetto massimo di dodici mensilità e senza il limite di cinque con la possibilità di ridurlo nel caso di licenziamento disciplinare per giusta causa o giustificato motivo soggettivo purché ricorra “l’insussistenza del fatto contestato; il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”); 
3) indennità risarcitoria omnicomprensiva in misura piena (da dodici a ventiquattro mensilità) per i casi di licenziamento disciplinare (salvo quanto previsto sopra), per giustificato motivo oggettivo (salvi i casi in cui è prevista la reintegrazione), collettivo nel caso di violazione delle procedure di informazione e consultazione sindacale;
4) indennità risarcitoria omnicomprensiva in misura ridotta (da sei a dodici mensilità) nel caso di violazione del requisito della motivazione; della procedura di cui all’art. 7 legge n. 300 del 1970; della nuova procedura di cui all’art. 7 legge n. 604 del 1966.

QUANDO IL GIUDICE STABILISCE LA REINTEGRAZIONE? In particolare, l’art. 1 comma 42 della legge n. 92 del 2012 prevede, per i licenziamenti oggettivi ed economici, un regime sanzionatorio che presenta la medesima suddivisione interna che contraddistingue i licenziamenti soggettivi o disciplinari. Il Giudice, infatti, condanna il datore di lavoro alla reintegrazione:

a) quando accerti la manifesta infondatezza del fatto posto a base del licenziamento; 
b) quando accerti l’infondatezza delle ragioni poste a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore; 
c) per il licenziamento intimato in violazione dell’art. 2110 comma 2 del codice civile.

Alla reintegrazione si aggiunge: 

a) il risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento illegittimo all’effettiva reintegrazione, ma con un tetto massimo di dodici mensilità e senza un limite di cinque; 
b) integrale versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione.

MA SE NON SUSSISTE UN REALE MOTIVO ECONOMICO, IL DATORE DEVE RICONOSCERE UN INDENNIZZO PARI A 12/24 MENSILITA’ Ebbene, occorre sottolineare che nelle altre ipotesi in cui il Giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento, disponendo il pagamento, in favore del lavoratore, di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva, che può essere modulata tra 12 e 24 mensilità di retribuzioni. Potremmo in estrema sintesi riassumere quanto sopra nei seguenti termini: in caso di un giustificato motivo oggettivo la regola, in caso di illegittimità del licenziamento, è l’indennizzo; l’eccezione è la reintegrazione.

IN OGNI CASO E’ DEL DATORE L’ONERE DI PROVARE LA CRITICITA’ DELLA SITUAZIONE ECONOMICA DELL’AZIENDA E’ il datore di lavoro che deve provare, con riferimento alla situazione esistente all’epoca della comunicazione del licenziamento, la concreta riferibilità del licenziamento ad iniziative collegate a effettive ragioni di carattere produttivo e all’impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita. Secondo un primo orientamento è necessario che l’esigenza sia legata alla sussistenza di una difficoltà economica: “[…] ragioni dirette a fronteggiare situazioni sfavorevoli, al fine di salvaguardare gli equilibri economici dell’impresa e quindi anche la possibilità di mantenimento dei livelli occupazionali” ovvero l’esigenza e la necessità di “fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti […]. L’esigenza di riduzione dei costi […] deve essere imposta, non da un generico e astratto timore di conseguenze sfavorevoli, ma da una concreta e seria ragione […] relativa all’utile gestione […] dell’azienda, nell’ambito dell’economia del mercato, e non di per sé dall’accrescimento dei profitti” (Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 25 marzo 2011, n. 7006). 

ORIENTAMENTI DIVERSI Un diverso orientamento, viceversa, ritiene “legittima ogni ragione (in senso economico) che abbia determinato il licenziamento e quindi non solo i motivi estranei alle determinazioni imprenditoriali, cioè le esigenze di mercato, ma anche le modifiche organizzative esclusivamente finalizzate all’incremento dei profitti”, ferma restando, ovviamente, “la prova della effettiva necessità del processo di riorganizzazione e ristrutturazione […] Opinare diversamente significherebbe affermare un principio contrastante con quello sancito dal richiamo all’art. 41 della Cost., per il quale l’organizzazione aziendale, una volta delineata, costituisce un dato non modificabile se non in presenza di un andamento negativo e non, anche ai fini di una più proficua configurazione dell’apparato produttivo, del quale il datore di lavoro ha il naturale interesse a ottimizzare l’efficienza e la produttività” (Cassazione civile, Sezione lavoro, Sentenza del 27 ottobre 2009, n. 22648).

LA DOTTRINA CRITICA Le novità sopra esposte non sono andate esenti da critiche da parte di autorevole dottrina. È stato affermato che “si è sancito che dove l’imprenditore sia in grado di dimostrare l’esistenza, ma non precisamente l’entità della perdita attesa […], il licenziamento deve essere considerato comunque valido, essendo a questo punto affidato all’indennizzo stabilito dal Giudice la funzione di filtro automatico della scelta gestionale, rispettoso della sua insindacabilità […]” (Ichino, Nuova disciplina dei licenziamenti, cit. 1545 ss). Ed ancora, si è rilevato che, la sanzione della reintegrazione, così come formulata, avrà carattere residuale nell’ipotesi di “torto marcio del datore di lavoro” (Vallebona, L’ingiustificatezza qualificata del licenziamento: fattispecie e oneri probatori).

TUTTI SCONTENTI Si tratta di una riforma che ha scontentato quasi tutti. Viene spontaneo a questo punto affermare che, se la suddetta legge voleva introdurre “disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, quest’ultima, è ravvisabile, ad avviso dello scrivente, solo ed unicamente in una crescita della flessibilità in uscita e non di certo in entrata nel predetto mercato. Prima dell’entrata in vigore della suddetta riforma, un licenziamento illegittimo, nullo o inefficace, sia che fosse disposto per giusta causa, per giustificato motivo oggettivo (per ragioni inerenti all’organizzazione dell’impresa) o per giustificato motivo soggettivo (per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali), offriva al lavoratore una tutela forte e certa: la reintegrazione sul posto di lavoro. La riforma del mercato del lavoro ha invece degradato la reintegrazione nel posto di lavoro a mera eccezione (tranne che per i licenziamenti discriminatori, per i quali resta sostanzialmente fermo l’impianto normativo preesistente), rischiando di trasformarsi in un sostanziale lasciapassare dei licenziamenti economici illegittimi.

Giunto a questo punto non mi resta che suggerire al futuro legislatore, e permettetemi, anche agli esperti economisti di Bruxelles, la seguente lettura: “La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” di John Maynard Keynes.

Avv. Roberto Carniel – Studio Comite