sabato 14 dicembre 2013

STAMINA, LA QUERELLE CONTINUA: DIRITTO AL TRATTAMENTO O SPERIMENTAZIONE SECONDO IL PROTOCOLLO?



Il botta e risposta tra il ministro Lorenzin e Davide Vannoni, fondatore della onlus “Stamina Foundation”, va avanti a colpi di scure. L’uno accusa l’altra di incompetenza e quest’ultima, a sua volta, parla di Vannoni come di quel “signore” appena “rinviato a giudizio per truffa” all’esito di un procedimento penale avviato dalla procura di Torino già nell’anno 2010. Sta di fatto che il ministro della salute ha appena ricevuto un duro colpo da parte del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio che, con ordinanza n. 8730 del 4 dicembre scorso, accogliendo il ricorso dell’associazione presieduta dal prof. Vannoni, ha sospeso l’efficacia di nomina del comitato scientifico che ha valutato il metodo stamina, bloccando, dunque, anche il parere negativo espresso dallo stesso comitato riguardo alla sperimentazione del trattamento terapeutico a base di cellule staminali mesenchimali, promosso dallo stesso professore, docente universitario di scienze cognitive. Da un lato il professore schierato a favore della cura di malattie neurodegenerative per le quali attualmente non è prevista alcuna terapia dall’altro il ministro che nega la sperimentazione del metodo stamina poiché non rispetta i protocolli sanitari previsti. Vediamo come è andata dall'inizio...


2007-2013: LE TAPPE DELLA VICENDA La vicenda “stamina” ha avuto inizio nel lontano 2007 quando Vannoni conosce alcuni ricercatori ucraini e russi alle prese con lo studio di un metodo per differenziare le cellule staminali mesenchimali, estratte dal midollo osseo, in cellule nervose. I ricercatori vengono, così, invitati dal professore a lavorare in Italia disponendo le attrezzature necessarie alla ricerca all’interno di un laboratorio allestito presso la sede di una sua società nella città di Torino. Nel 2009 Vannoni costituisce la onlus “Stamina Foundation” per sostenere il trapianto delle cellule staminali e diffondere la cultura della medicina rigenerativa. Nell’anno 2010 la procura di Torino apre un fascicolo, a seguito del quale è scaturito qualche giorno fa il rinvio a giudizio a carico di Vannoni (più o meno contestualmente al colpo sferrato dal Tar del Lazio nei confronti del Ministero), poiché ritiene che presso la sede della “Cognition” sarebbero stati effettuati trattamenti su diverse persone, dietro pagamento di ingenti somme da parte di queste ultime, contestando quindi il reato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla somministrazione di medicinali guasti. Nel 2011 a seguito di una convenzione stipulata tra il Vannoni e gli Spedali civili di Brescia il “metodo stamina” viene introdotto in uno dei laboratori della medesima struttura nosocomiale. 

VIA ALLA SPERIMENTAZIONE, MA I N.A.S. LA BLOCCANO La sperimentazione comincia su dodici bambini affetti da diverse malattie neurodegenerative destinate a condurre alla morte dei piccoli. Nell’aprile del 2012 il Pubblico Ministero di Torino Raffaele Guariniello dispone un’ispezione per il tramite dei carabinieri dei N.A.S. (Nucleo Anti Sofisticazioni), agli Spedali Civili di Brescia e nel mese di maggio l’A.I.F.A. (Agenzia Italiana del Farmaco, istituita con la Legge 326 del 2003 che autorizza e controlla i farmaci immessi sul mercato in Italia e garantisce la loro qualità e sicurezza) blocca la sperimentazione. Dal rapporto dei N.A.S. sarebbe emerso, infatti, che l’ispezione non aveva riscontrato la presenza di cellule nervose in seguito al trattamento delle cellule mesenchimali di partenza la cui concentrazione, tra l’altro, risultava molto inferiore a quella presente in sperimentazioni analoghe. Esprimendo di fatto parere negativo sulla terapia, l’A.I.F.A. emette, dunque, un’ordinanza, mai sospesa né revocata, a mezzo della quale vieta prelievi, trasporti, colture e somministrazioni di cellule umane presso gli Spedali civili di Brescia. Successivamente a tale provvedimento il “miracolo”, in cui molti malati e i loro familiari avevano fatto affidamento, sembra svanire.  Vannoni, tuttavia, non si arrende e invita gli interessati a battersi nelle aule di Tribunale per difendere il diritto, costituzionalmente garantito, alla salute (art. 32 cost.) e alle cure compassionevoli, regolamentate dalla Legge Turco del 2006, e sulla base delle quali era stata stipulata la stessa convenzione tra il “professore” e gli Spedali civili di Brescia. Ad agosto 2012 arriva la prima pronuncia del giudice del lavoro di Venezia che accoglie il ricorso d’urgenza depositato dai genitori di Celeste, una delle bimbe curate con le staminali presso gli Spedali civili di Brescia, e ordina la riattivazione del trattamento sospeso dall’ordinanza dell’A.I.F.A.. Subito dopo anche i tribunali di Catania e Matera accolgono analoghi ricorsi depositati dai genitori di altri due piccoli malati, Smeralda e Daniele. All’inizio dell’anno 2013 la “vicenda stamina” è ormai entrata, anche grazie alla trasmissione delle “Iene” e al caso di un’altra bambina, Sofia, nelle case di tutti gli italiani. Il Ministero della Salute, quindi,  non può far altro che prendere il toro per le corna e assumere posizione.

L’OPINIONE PUBBLICA CHIEDE UNA SPERANZA DI VITA L’opinione pubblica si schiera dunque pressoché totalmente in favore del professore che, grazie al trattamento terapeutico ormai comunemente noto come “metodo stamina”, ridona una speranza di vita, quale unica alternativa alla morte certa, a migliaia di malati, molti dei quali bambini, colpiti da malattie neurodegenerative per le quali la scienza attualmente non è in grado di offrire alcuna cura. Sul fronte opposto il Ministero della salute e molti scienziati preoccupati, a loro dire, che vengano accreditate procedure terapeutiche che non portano alcun beneficio e che anzi creano false illusioni di guarigione rivelandosi in realtà inutili o peggio ancora addirittura dannose.  Nonostante il parere negativo della comunità scientifica, tuttavia, molte famiglie riferiscono miglioramenti sostanziali a favore dei loro piccoli malati dopo la somministrazione delle terapie secondo il “metodo stamina”, effettuata in applicazione della normativa che consente le cure compassionevoli, e quindi ricorrono, come si è detto, al Tribunale del Lavoro, competente anche in materia assistenziale e previdenziale, per ottenere un provvedimento che consentisse la prosecuzione delle cure bloccata dall’ordinanza dell’A.I.F.A., invano impugnata avanti al T.A.R.

IL QUADRO NORMATIVO La convenzione tra Vannoni e gli Spedali civili di Brescia si fonda sul Decreto Ministeriale (a firma dell’allora Ministro della Salute Livia Turco) del 5 dicembre 2006 il quale all’art. 1 consente la somministrazione di cure compassionevoli, incluse le terapie geniche, per patologie per le quali non via sia una valida alternativa terapeutica. A seguito della querelle in corso tra Vannoni e comunità scientifica il 25 marzo 2013 viene approvato il Decreto Legge n. 24 a firma del ministro Lorenzin ma proposto, quanto a contenuti, dall’ex ministro Balduzzi (entrato in vigore il 27 marzo 2013). Tale decreto legge ha stabilito che “le strutture pubbliche in cui sono stati avviati anteriormente alla data in vigore del decreto, trattamenti su singoli pazienti con medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali, anche se preparati presso laboratori non conformi ai principi delle norme europee di buona fabbricazione dei medicinali e in difformità delle disposizioni del Dm 5 dicembre 2006 (e pertanto anche secondo il Protocollo Stamina), possono completare codesti trattamenti, sotto la responsabilità del medico prescrittore, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili secondo la normativa vigente”. Il giorno 22 maggio 2013 il Senato della Repubblica ha, definitivamente, provveduto alla conversione del decreto legge 24/2013 in legge dello Stato, (Legge n. 57/2013).

La normativa in questione ha di fatto consentito:

1. la ripresa della sperimentazione di terapie con cellule staminali mesenchimali sotto la vigilanza dell’A.I.F.A., dell’Istituto Superiore di Sanita e del Centro Nazionale Trapianti, con protocollo sperimentale stabilito da A.I.F.A. e I.S.S. e con l’onere per quest’ultimo di predisporre “un servizio di consulenza multidisciplinare di alta specializzazione” per i pazienti coinvolti nella sperimentazione;
2. il finanziamento della sperimentazione per un ammontare di tre milioni di euro con una durata di diciotto mesi a partire dal 1° luglio 2013;
3. la sperimentazione anche di altre terapie di natura analoga al metodo stamina;
4. l’istituzione di un “Osservatorio composto da esperti ed associazioni dei familiari” dei pazienti che fruiscano delle cure sperimentali. Compiti dell’Osservatorio sono: a) redigere una relazione sulle risorse stanziate per la sperimentazione; b) rivestire un ruolo consultivo, propositivo, di monitoraggio nonché di garanzia di trasparenza sulle procedure. Dalla lettura del testo normativo emerge dunque che nessuna chance di cura sia concessa a coloro che vorrebbero accedere alla sperimentazione successivamente alla data di entrata in vigore del D.L. 24/2013, poi convertito in legge. Peraltro la legge 57/2013 avrebbe maggior forza rispetto al Decreto Ministeriale Turco. La sperequazione tra soggetti aventi medesimi diritti è pertanto sotto gli occhi di tutti, anche dei non addetti ai lavori.

LA COMMISSIONE MINISTERIALE BOCCIA IL METODO STAMINA, MA NON E’ IMPARZIALE  Il 29 agosto scorso la Commissione scientifica, istituita dal ministero della Salute con legge 57/2013, per seguire la sperimentazione del metodo e le varie fasi della ricerca, boccia il trattamento, interrompendo nuovamente la sperimentazione anche sui casi consentiti. Ma la commissione non è imparziale. A dirlo è il T.A.R. del Lazio cui Vannoni ricorre contro il provvedimento di bocciatura. La sentenza del 4 dicembre segna, dunque, un’altra battaglia vinta. Con tale provvedimento (Tar Lazio - Sezione terza quater - Ordinanza del 4 dicembre 2013 n. 8730) il T.A.R. accoglie le ragioni del professore e sospende l’efficacia del decreto di nomina del comitato stesso, bloccando conseguentemente anche il provvedimento che nel mese di agosto aveva bocciato il trattamento. I giudici amministrativi ritengono infatti legittime le motivazioni a sostegno del ricorso confermando la circostanza che i membri della commissione non fossero ideologicamente indipendenti, come affermato da Vannoni, essendosi di fatto approcciati alla sperimentazione in modo prevenuto e avendola valutata ancora prima di esaminare la documentazione prodotta da Stamina Foundation

COSA SOSTENGONO I GIUDICI? I giudici proseguono affermando che è necessario “che ai lavori partecipino esperti, eventualmente anche stranieri, che sulla questione non hanno già preso posizione o, se ciò non è possibile essendosi tutti gli esperti già esposti, che siano chiamati in seno al Comitato, in pari misura, anche coloro che si sono espressi in favore di tale Metodo”. Inoltre “il Comitato avrebbe dovuto convocare nuovamente la Fondazione Stamina per comunicare che le preclusioni imposte dal prof. Vannoni avrebbero portato all’impossibilità di procedere alla sperimentazione e al fine di verificare se dubbi e carenze riscontrate potessero essere colmate con l’ausilio di chi, su tale Metodo, aveva lavorato, e solo successivamente, ove le carenze fossero rimaste, esprimere parere negativo”. Ancora i membri della commissione “avrebbe dovuto altresì esaminare le cartelle cliniche dei pazienti che erano stati sottoposti alla cura con la Stamina presso l'Ospedale civile di Brescia i quali pazienti, dai certificati medici versati in atti, non risultano aver subito effetti negativi collaterali”. In conclusione, “la decisione di iniziare o meno la sperimentazione sul Metodo Stamina”…“avrebbe richiesto certamente un maggiore approfondimento, atteso che l’importanza vitale che la stessa assume avrebbe giustificato (rectius, reso doverosa) la chiusura dei lavori in un arco di tempo superiore ai tre mesi impiegati dal Comitato, peraltro cadenti nel periodo feriale, aprendo un contraddittorio sulle questioni relative alla sicurezza del Metodo, uniche questioni che avrebbero potuto evitare che la sperimentazioni fosse avviata”. Peraltro il T.A.R. dà atto della “giusta preoccupazione del Ministero della salute e della comunità scientifica che non siano autorizzate procedure che creino solo illusioni di guarigione o comunque, e quanto meno, di un miglioramento del tipo di vita, e che si dimostrino invece nella pratica inutili o addirittura dannose”, ma proprio tale preoccupazione “può essere, anche nella specie, superata con un’istruttoria a tal punto approfondita in tutti i suoi aspetti da non lasciare più margini di dubbio, anche ai fautori del Metodo in esame, ove il procedimento si concludesse negativamente, che il Metodo stesso non è, o almeno non è per il momento, praticabile”.

E DUNQUE LA SPERIMENTAZIONE CONTINUA I giudici del lavoro di diversi Tribunali italiani (le ultime decisioni sono dell’11 dicembre 2013 e si riferiscono ai tribunali del lavoro dell’Aquila e di Lamezia Terme, che hanno autorizzato il metodo Stamina per due pazienti, la piccola Noemi di diciotto mesi e una donna di 56 anni affetta da S.L.A.) continuano a confermare la possibilità di accedere alle cure anche per coloro che non avevano ancora iniziato la sperimentazione prima dell’entrata in vigore del decreto legge 24/2013 poi convertito in legge, equiparando dunque tutti i soggetti affetti da malattie neurodegenerative per le quali non è conosciuta alcuna cura. Emblematica, tra tutte, la recente sentenza del Tribunale di Roma secondo la quale “se la speranza costituisce idoneo fondamento normativo ai fini dell’accesso alla terapia e costituisce in sostanza una giustificazione per bypassare le rigidità del D.M. 5/12/06 e i divieti posti dalle ordinanze AIFA 15/05/2012 e 28/11/2012, occorre evitare che la sopravvenuta recente normativa del 2013 generi di fatto una irragionevole discriminazione nei confronti dei nuovi pazienti che chiedono di poter accedere alla cura compassionevole di cui si discute” (Tribunale Civile di Roma Sezione Lavoro - Sentenza del 18 novembre 2013 n. 128057; analogamente a: Tribunale Mantova, 2 maggio 2013; Tribunale Catania, 26 marzo 2013; Tribunale Trento, 29 marzo 2013; Tribunale Ascoli, 8 febbraio 2013). 

Ciò significa che sarebbe ingiusto, irragionevole e contrario alle norme costituzionali che tutelano la salute (art. 3 e 32 cost.) limitare il diritto alla speranza solo ad alcuni malati e non estenderlo a tutti coloro che non abbiano alternative terapeutiche. Ancora una volta bisogna evidenziare che laddove non arriva la legge, e i nostri governanti, arrivano, fortunatamente (direi), i giudici.