lunedì 16 dicembre 2013

LA MOTO SI SCHIANTA MA NON URTA L’AUTO CHE HA CAUSATO L’INCIDENTE: LA C.A.I. NON VALE



Il caso più frequente è quello del sinistro che coinvolge un motoveicolo e un’auto. Questo è proprio ciò che è accaduto a Davide il quale, qualche settimana fa, mentre percorreva, alla guida della sua Suzuki GSX R 750, a velocità commisurata alle condizioni di tempo e luogo, la via che lo conduce al lavoro, si è visto tagliare la strada da un’autovettura che improvvisamente è uscita da un passo carrabile senza accertarsi di poter compiere la manovra in assoluta sicurezza per gli altri conducenti. Davide, motociclista di navigata esperienza, ha frenato, sterzato, ha evitato l’urto che gli avrebbe procurato danni, patrimoniali e non, di entità sicuramente maggiore rispetto a quelli effettivamente patiti, ma non è riuscito a governare il mezzo cadendo, mentre la moto scarrocciava per qualche metro. A parte qualche sbucciatura alla gamba sinistra e il danneggiamento degli indumenti che indossava, il vero danno è stato quello riportato dalla moto. Il conducente dell’auto, per parte sua, resosi conto di quanto accaduto, ha accostato e, bisogna dirlo, diligentemente ha prestato soccorso a Davide rendendosi disponibile ad accompagnarlo presso la più vicina struttura ospedaliera. Una volta medicato l’automobilista ha sottoscritto la denuncia di sinistro riconoscendo la propria esclusiva responsabilità. Davide, appena ristabilito ha, dunque, portato la C.A.I. al proprio assicuratore e ha chiesto che venisse attivata la procedura di risarcimento diretto. L’intermediario assicurativo, risponde, tuttavia, che la C.A.I. non vale. Vediamo perché e se è ragionevole tale presa di posizione...


DUE NORME DIFFERENTI Innanzitutto occorre ricordare ciò che stabilisce l’art. 149, primo comma, del codice delle assicurazioni private il quale nel disciplinare la procedura di risarcimento diretto esordisce in tali termini: “In caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all’impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato”. Il contenuto della norma sembra voler dire che tale procedura si applichi indistintamente e genericamente a tutti i sinistri intercorsi tra due veicoli, con o senza scontro. Occorre, tuttavia puntualizzare che l’art. 1, lettera d) del regolamento attuativo (cui si faceva espresso rimando all’art. 150 del codice delle assicurazioni private), ovvero Decreto Presidente della Repubblica del 18 luglio 2006 n. 254, chiarisce la nozione di “sinistro” qualificandola come “la collisione avvenuta nel territorio della Repubblica tra due veicoli a motore identificati e assicurati per la responsabilità civile obbligatoria”. Dalla lettura combinata delle due norme si evince dunque che la procedura di risarcimento diretto si applica soltanto ai casi di sinistro stradale verificatosi tra due veicoli e quindi con esclusione di tutti gli incidenti avvenuti in assenza di scontro tra veicoli coinvolti. 

LA DIVERSA REGOLAMENTAZIONE NON VIOLA L’ART. 3 L’assicuratore di Davide, pertanto, in applicazione di queste norme ha correttamente invitato Davide a rivolgere le proprie richieste risarcitorie all’impresa assicuratrice dell’autovettura che ha omesso la precedenza. Alcuni autori hanno ritenuto tale lettura una compressione ingiustificata e costituzionalmente illegittima dell’area di applicazione del risarcimento diretto rispetto a quanto previsto dall’articolo 149 del codice delle assicurazioni private, non potendo il regolamento amministrativo, fonte di secondo grado, ridurre la sfera applicativa della norma primaria da cui deriva la propria legittimità. Secondo la Cassazione, tuttavia, la ragionevolezza di tale impostazione risiede nella circostanza che la mancata collisione, e quindi il fatto che uno dei mezzi coinvolti non abbia riportato danni, impedisce di fatto ogni eccezione e difesa in capo all’assicuratore e quindi ogni indagine che quest’ultima può voler svolgere sulla compatibilità dei danni lamentati in relazione alla dinamica, così come descritta nel modulo di constatazione amichevole di incidente. La paventata contrarietà all’art. 3 della costituzione non avrebbe, dunque, ragion d’essere (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 9 marzo 2012, n. 3704;Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 23 luglio 2002, n. 10751; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 4 aprile 1996, n. 3131). 

IL GIUDICE VALUTA LIBERAMENTE LA C.A.I. Nel caso di Davide qualora l’impresa assicuratrice dell’automobilista, che ha riconosciuto la propria responsabilità nella causazione del sinistro, non credesse a quanto ivi descritto non resterà altra via che quella del giudizio e quanto dichiarato in C.A.I. verrà liberamente apprezzato dal giudice, unitamente ad altri elementi probatori.

QUESTA VOLTA LO SCONTRO E’ EQUIPARATO ALLA MANCATA COLLISIONE Va segnalato peraltro che recentemente la Cassazione è tornata sull’argomento evidenziando che una volta accertato il nesso causale tra condotta ed evento, vale a dire che effettivamente il sinistro si sia verificato a causa della condotta imprudente dell’automobilista, per riprendere il caso di Davide, risulta applicabile, al caso di specie, ovvero in assenza di scontro tra veicoli, la presunzione di cui all’art. 2054 del codice civile. Questo significa che in assenza di prova contraria si presumerà che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno e ciò nonostante la norma parli espressamente di “scontro tra veicoli”. In tal caso evidenzia che è “estensivamente applicabile anche all’ipotesi in cui manchi una collisione diretta tra i veicoli” quando “… sia necessario risolvere il problema della graduazione del concorso di colpa” (Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 31 luglio 2013, n. 18337).

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