Il loro primo utilizzo è stato nel
campo militare, come bersagli volanti per le esercitazioni militari, per
spiare, raccogliere informazioni e sferrare attacchi mirati in territori di
guerra. Poi, poco alla volta sono divenuti sempre più diffusi, impiegati anche
in ambito civile e per gli scopi più svariati. Sto parlando dei droni, velivoli
telecomandati dotati di telecamere e di sistemi di rilevazione, che oggi sono
largamente utilizzati nel settore agricolo, per rilevare lo stato del terreno e
delle colture; in quello ingegneristico ambientale, per visionare aree o
strutture inaccessibili e pericolose e per monitorare l’inquinamento; in quello
architettonico urbanistico, per effettuare rilievi e mappature; in quello
dell’emergenza, per portare soccorsi e cercare superstiti; in quello della
sicurezza, per effettuare sorveglianze; in quello dell’intrattenimento e del
turismo, per fare riprese e filmati. Ma proprio la loro rapida diffusione ne ha
evidenziato criticità e problematicità legate soprattutto alla privacy di
quanti entrano in contatto con loro. Cerchiamo, allora, di capire meglio. Tanto
per cominciare …
I DRONI NON SONO GIOCATTOLI Non tutti forse sanno che, per poterli utilizzare, è necessaria un’autorizzazione da parte dell’ENAC, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile. A questo riguardo, il nuovo Regolamento ENAC dei mezzi aerei a pilotaggio remoto, Edizione n. 2 del 16 luglio 2015, entrato in vigore lo scorso 15 settembre, distingue i droni dagli aeromodelli. Sono droni i mezzi aerei a pilotaggio remoto che vengono impiegati o destinati all’impiego in attività scientifiche, di sperimentazione e ricerca, o in operazioni specializzate (riprese cinematografiche, televisive e servizi fotografici, sorveglianza del territorio o di impianti, monitoraggio ambientale, impieghi agricoli, fotogrammetria, pubblicità, addestramento). Essi rientrano nella definizione di aeromobile di cui all’articolo 743 del Codice della Navigazione, alle cui previsioni sono soggetti secondo quanto previsto dal Regolamento ENAC, e per essi, pertanto, è necessaria l’autorizzazione. Sono aeromodelli, invece, quei mezzi aerei a pilotaggio remoto che non sono considerati aeromobili e non sono soggetti ad autorizzazione, in quanto possono essere utilizzati esclusivamente per impieghi ricreazionali e sportivi e, quindi, più limitati e circoscritti, almeno nelle intenzioni. Infatti, nella realtà
non è così netta la distinzione tra droni e aeromodelli
La mancanza di istruzioni ed informazioni da parte dei produttori e degli
stessi rivenditori sull’uso corretto di questi apparecchi, sia rispetto alle
norme del Regolamento sia rispetto ai diritti fondamentali delle persone che
possono esserne interessati, rischia di far sviare dal dettato normativo e
di determinare un uso improprio ed incontrollato di questi apparecchi
soprattutto sotto il profilo della sicurezza (pur essendovi nel Regolamento
specifiche disposizioni e limitazioni applicabili anche all’impiego degli
aeromodelli) e della riservatezza (ampliandosene le potenziali occasioni di
violazione). Ciò ancor più se si pensa che oggi tali apparecchi sono
praticamente accessibili a tutti, potendosene trovare in commercio (e non solo
in negozi specializzati) un’ampia varietà, con prezzi che vanno dall’economico
al costoso e con funzioni e prestazioni che vanno dal basilare (giusto per
imparare) al professionale. È per questo che, a margine del Regolamento, l’ENAC
ha aggiunto che a distinguere tra droni e aeromodelli non è solo la modalità d’uso
ma anche la presenza di dispositivi e strumenti che possano prospettare l’uso
del mezzo in operazioni specializzate. Quindi, un aeromodello usato per scopo
ricreativo con una telecamera a bordo ben potrebbe essere considerato drone a
tutti gli effetti ed essere quindi soggetto ad autorizzazione. Ma, di fatto, continua
a non esserci un effettivo controllo sull’uso che si fa e sulle
strumentazioni, attuali o potenziali, di questi apparecchi che, per le
dimensioni relativamente piccole e le capacità di volo, sono idonei a
interferire in modo sensibile con la privacy delle persone. Oggi è possibile
infatti acquistare un drone super attrezzato, il massimo che offre la
tecnologia, ed utilizzarlo liberamente senza che nessuno controlli che ci sia
l’autorizzazione o l’uso che se ne fa o che sia addirittura a conoscenza
dell’acquisto stesso.
in mancanza di norme specifiche, non ci viene
incontro neppure il regolamento enac Il suo articolo
34, infatti, oltre a fare un generico rinvio al Decreto Legislativo n.
196/2003, al comma I, si limita a stabilire che, laddove le operazioni svolte
attraverso un drone possano comportare un trattamento di dati personali, tale
circostanza deve essere menzionata nella documentazione sottoposta ai fini del
rilascio della pertinente autorizzazione. Appare evidente, infatti, che nel
momento in cui è possibile, come si è detto, utilizzare i droni senza che sia
stata richiesta l’autorizzazione, la norma perda ogni efficacia e valore. Per
questo motivo,
le Autorità nazionali ed europee in materia di
privacy si stanno occupando dEL fenomeno che è diventato di
interesse generale e richiede una disciplina che tuteli effettivamente la
privacy, che oggi più che mai è sentita come un diritto fondamentale in un
mondo in cui paradossalmente tutto è oramai condiviso. Proprio lo scorso 16
giugno 2015, infatti, le Autorità di protezione dei dati personali degli
Stati membri riunite nel Gruppo di lavoro ex articolo 29, meglio noto come WP29,
hanno elaborato l’Opinion 01/2015 on Privacy and Data Protection Issues
relating to the Utilisation of Drones, con cui si sono fornite
raccomandazioni operative per gli obblighi di informativa e per il rispetto dei principi di
liceità, trasparenza, necessità, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza,
nel trattamento di dati personali a mezzo droni. Più precisamente, il WP29, pur
riconoscendo l’enorme progresso raggiunto dalla tecnologia attraverso i droni e
pur ribadendo il concetto che non è l’uso in sé a presentare criticità ma
piuttosto gli effetti potenzialmente invasivi e lesivi che il loro uso può
produrre senza che le persone se ne rendano neppure conto, ha indicato ai
soggetti coinvolti nella filiera una serie di misure minime da adottare. Così,
tra le varie misure, gli operatori avranno l’obbligo di verificare la
necessità o meno di richiedere l’autorizzazione e di fornire informative
tenendo conto della specificità delle operazioni volta per volta effettuate; i
legislatori, nazionale ed europei, ed i regolatori di settore dovranno
introdurre e rafforzare le norme che consentono l’utilizzo dei droni nel
rispetto dei diritti fondamentali; i costruttori dovranno fornire
informazioni agli utilizzatori, adottare misure di privacy by default (cioè, le
impostazioni predefinite devono essere quelle che garantiscono il massimo
rispetto della privacy), la promozione di codici deontologici, l’adozione di
misure per rendere il più possibile visibile ed identificabile un drone.
concluDENDO non so se queste
misure, che dimostrano comunque una maggiore sensibilità e comprensione verso la
problematica, siano veramente idonee e sufficienti a garantire pienamente la
riservatezza delle persone. Certamente, però, sarebbe auspicabile che i
legislatori, nazionali ed europei, a cui è dato il compito di introdurre e rafforzare
la regolamentazione specifica, prevedessero forme di controllo più incisive e
puntuali, che intervengano là dove il senso di responsabilità di chi produce,
vende ed utilizza i droni non è da solo sufficiente a tutelare quanti entrano
in contatto con questi mezzi. Essi, infatti, con le strumentazioni di cui sono
dotati, sono in grado di vedere, ascoltare, localizzare, georeferenziare e
registrare, senza essere a loro volta visti o minimamente percepiti.
Indubbiamente, la strada da percorrere è ancora lunga e tortuosa, soprattutto
se pensiamo che nel nostro ordinamento anche la sola immagine della persona costituisce dato personale,
rilevante ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera b), del Decreto
Legislativo n. 196/2003, trattandosi di dato immediatamente idoneo a
identificare una persona a prescindere dalla sua notorietà (Corte di Cassazione
civile, Sezione III, Sentenza del 2 settembre 2015, n. 17440).
Avvocato
Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando