venerdì 30 gennaio 2015

DEPENALIZZAZIONE DEI REATI, LO STATO PREFERISCE FAR CASSA


Sicuramente avrete sentito parlare dell’operazione di depenalizzazione che è stata promossa, a fine dicembre dell’anno appena concluso, dal nostro Legislatore, il quale tramite apposita Legge ha, tra l’altro, delegato al Governo un’ampia revisione dei reati, contemplati sia dal codice penale che dalle leggi speciali. In questo modo, dunque, ha avuto inizio una vera e propria opera di depenalizzazione soprattutto per una serie di reati minori, anche se il caos mediatico scatenatosi in seguito ha creato non poca confusione in ordine all’elenco delle fattispecie criminose interessate. Vediamo di mettere un po’ d’ordine….


COSA SIGNIFICA? Innanzitutto, prima di addentrarci nel merito della Legge 28 aprile 2014, n. 67 nella parte in cui si chiarisce quali reati saranno oggetto di depenalizzazione, occorre necessariamente chiarire cosa significa effettivamente depenalizzare, in modo da agevolare i lettori nella comprensione della portata della norma in commento, tenuto conto dell’importanza della stessa. Depenalizzare, dunque, altro non significa se non sottrarre, per legge, a un comportamento il carattere di reato penale, attribuendogli invece quello di illecito amministrativo. In altre parole, depenalizzare significa trasformare un reato, solitamente di lieve entità appunto, in un illecito amministrativo, prevedendo come sanzione il pagamento di una somma di denaro. È evidente, infatti, il cambio di rotta che il Legislatore ha adottato, dal momento che la massiva proliferazione, soprattutto negli ultimi anni, di numerosi illeciti penali contenuti in leggi speciali non poteva non sfociare, prima o poi, in una depenalizzazione degli stessi, soprattutto a fronte delle possibili e potenziali entrate economiche derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie, che in tempi di crisi fanno sempre gola. 

E QUALI SONO I LIMITI? La Legge 28 aprile 2014, n. 67, inoltre, non solo delega il Governo Renzi “ad adottare uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema delle pene” (art. 1), ma lo vincola, altresì, a rispettare un elenco di principi e criteri direttivi, stabilendo che si debba “escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per  l'esercizio dell'azione civile per il  risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale” (art. 1, lettera m). Ciò significa, dunque, che la non punibilità potrà aversi, nel singolo caso concreto, solo laddove:

1) il reato sia astrattamente punibile con la pena pecuniaria o con una detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni;

2) l’offesa sia particolarmente tenue;

3) il comportamento non sia abituale

Tali condizioni, infatti, servono per mitigare l’impatto della legge in parola, che tuttavia sarà discrezionalmente applicabile dai magistrati a seconda delle esigenze del caso concreto. Di fatto, dunque, la depenalizzazione si realizzerà soprattutto per tutte quelle violazioni che riguardano il mondo della politica, dall’abuso d’ufficio al favoreggiamento, non certo per reati gravi quali ad esempio lo stalking o il maltrattamento degli animali, a patto che non sussistano le condizioni anzidette.

TENUITÀ DEL FATTO È IL CRITERIO PRINCIPE Dalla lettura della Legge 28 aprile 2014, n. 67, infatti, emerge l’importanza attribuita proprio alla tenuità del fatto commesso, quale criterio principe per valutare l’opportunità di depenalizzare o meno un reato, criterio peraltro di fondamentale importanza sia nel processo minorile, sia in quello avanti al Giudice di Pace. A tal proposito, pare utile evidenziare la posizione del Ministero della Giustizia, che si è espresso nei seguenti termini: “Il giudizio di particolare tenuità del fatto si basa su due indici-criterio da cui non è possibile prescindere:1) la particolare tenuità dell’offesa, 2) la non abitualità del comportamento dell’agente. Il primo indice, la particolare tenuità dal fatto, si articola a sua volta, in due ulteriori indici: le modalità della condotta di chi ha commesso il reato e l’esiguità del danno o del pericolo che l’azione ha comportato. Il nuovo istituto, per come è stato concepito, non sarà dunque applicabile al soggetto che ha precedenti penali e le cui condotte criminose sono quindi reiterate. A tal fine, l’articolo 4 del decreto rende possibile l’iscrizione nel casellario giudiziale dei provvedimenti in materia di particolare tenuità del fatto. Pertanto, anche in caso di archiviazione, del reato di “tenue entità” resterà traccia nel casellario giudiziale al fine di evitare che chi ha commesso uno di questi reati, in caso di nuovo procedimento, possa essere considerato un soggetto non abituale. I due requisiti, tenuità dell’offesa e non-abitualità devono essere presenti entrambi per procedere all’utilizzo del nuovo istituto. Questa combinazione esclude di fatto condotte reiterate e qualsiasi offesa rilevante, affermando inoltre che: “L’ambito di applicazione del nuovo istituto è delimitato a tutti i reati puniti con pena pecuniaria, sola o congiunta a pena detentiva, e ai reati rientranti in una cornice edittale non superiore ai 5 anni. Non bisogna tuttavia dimenticare che il criterio della cornice edittale non superiore ai 5 anni non è sufficiente, da sola, al nuovo istituto in quanto la particolare tenuità dell’offesa arrecata e la non abitualità del comportamento di chi commette il reato sono indici imprescindibili per l’attuazione della norma”.



QUINDI… occorrerà aspettare l’attività del Governo per comprendere appieno le conseguenze dell’opera di depenalizzazione in atto, anche se, tuttavia, non posso esimermi dal sottolineare come la stragrande maggioranza di reati riguardanti inganni e frodi, anche a danno dello Stato, verrà ridotta a mero illecito amministrativo, punibile solo per mezzo di sanzioni pecuniarie, dunque eliminando la pena detentiva carceraria. D’altro canto come resistere di fronte alla possibilità di un tale esagerato e goloso gettito di moneta sonante nelle casse esangui dello Stato? Insomma, per dirla tutta, assisteremo all’ennesima dimostrazione del celebre assioma, poeticamente tradotto dallo scrittore Corrado Alvaro, “Chi ha denaro paga, ma mai di persona”.

Dottoressa Roberta Bonazzoli - Studio Comite