Nonostante l’argomento sia già stato trattato in altre occasioni, torno sulla questione sia per le frequenti richieste di chiarimenti sia per una recente sentenza della Suprema Corte che, per la verità, pur affermando un condivisibile principio, ormai consolidato, in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni provocati dalle cose che ha in custodia, si discosta da precedenti pronunce che hanno analizzato il medesimo oggetto, ovvero: le macchie d’olio sull’asfalto. La decisione in parola ha, infatti, confermato le sentenze emesse sia in primo sia in secondo grado ritenendo responsabile la Pubblica Amministrazione per i danni subiti dall’automobilista che, a causa della presenza di materiale oleoso sull’asfalto, aveva perso il controllo della guida rovinando contro il guard rail. Nonostante la linearità delle decisioni esaminate, il tema delle macchie d’olio sull’asfalto, ha sollevato non pochi dibattiti aprendo la via a pronunce di legittimità, e di merito, anche molto diverse tra loro scatenando, così, dubbi e perplessità tra gli operatori del diritto con riguardo alle probabilità di accoglimento delle richieste risarcitorie. Insomma, per farla breve, pare che le cause che abbiano ad oggetto le macchie d’olio siano caratterizzate da ampi margini di rischio, più o meno elevato a seconda dell’orientamento scelto dal tribunale o dal giudice cui viene sottoposta la domanda. Ma è proprio così? Vediamolo insieme…
IL PRINCIPIO STABILITO RECENTEMENTE DAI GIUDICI È di qualche giorno fa la decisione della Cassazione che ha confermato per la terza volta, dopo i giudici del merito, la responsabilità dell’ANAS (Azienda Nazionale Autonoma delle Strade) per i danni subiti da un malcapitato automobilista che non era riuscito a governare la guida del mezzo che conduceva a causa di una macchia d’olio sull’asfalto, finendo la propria corsa contro un guard rail. In breve, gli ermellini hanno ritenuto che le precedenti sentenze fossero state emesse nel pieno rispetto delle norme di legge in materia e che, pertanto, fossero esenti da vizi logici e giuridici. Hanno, dunque, stabilito che la responsabilità del sinistro era da imputare esclusivamente all’ANAS la quale, come ente tenuto alla custodia e manutenzione della strada, per un verso avrebbe dovuto diligentemente controllare le condizioni della strada stessa ed adottare le cautele tecniche idonee a garantire la sicurezza per gli utenti oltre che evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo (mediante tempestiva rimozione della macchia d’olio), per altro verso non ha minimamente fornito la prova liberatoria del caso fortuito (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 13 gennaio 2015, n. 295; conforme: Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 14 febbraio 2013, n. 3640; Giudice di pace di Palermo, Sezione III, Sentenza del 3 aprile 2012; Corte d’Appello di Roma, Sezione I, Sentenza del 21 giugno 2010).
CHI È IL CUSTODE DELLA COSA? Nella loro apprezzabile disamina gli ermellini non hanno mancato di fornire una definizione di custode, stabilendo che per tale è da intendersi colui che di fatto controlla le modalità d’uso e di conservazione della cosa. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno. In sostanza, in tema di responsabilità da cosa in custodia, la presunzione stabilita dall’articolo 2051 del codice civile, presuppone la sola dimostrazione, ad opera del danneggiato, dell’esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso. Il comportamento del custode è estraneo alla struttura della menzionata norma codicistica, laddove il fondamento della sua responsabilità va ricercato nel rischio che grava su di lui per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 13 gennaio 2015, n. 295).
LA DOPPIA RESPONSABILITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Ancora i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che la responsabilità dell’ANAS sussistesse sia in relazione all’articolo 2051 del codice civile, nei termini già evidenziati, poiché la Pubblica Amministrazione non aveva provato il caso fortuito, sia in relazione all’articolo 2043 del medesimo codice che impone a chiunque di non compiere fatti dolosi o colposi che possano arrecare danni ingiusti a chicchessia, pena il risarcimento dei medesimi danni. Nel caso affrontato, in particolare, la Cassazione precisa che il giudice di pace, che per primo aveva esaminato la questione, aveva correttamente inquadrato il caso ritenendo che, anche a voler esaminare il fatto sotto il profilo del neminem laedere (articolo 2043 del codice civile), l’Ente era comunque responsabile costituendo la macchia d’olio un’insidia non visibile e non prevedibile così come provato dal danneggiato. Quest’ultimo aveva, dunque, assolto al suo onere probatorio anche in relazione a quanto stabilito da tale ulteriore norma di legge.
PRECEDENTI CONTRARI Come ho anticipato, la giurisprudenza in materia non è affatto univoca e, anzi, non mancano precedenti in senso decisamente contrario fondati sulla differenza tra pericolo intrinseco alla struttura della cosa in custodia (strada) e pericolo estrinseco, ovvero determinato da fattori estranei. In pratica, secondo tale passato orientamento, i danni che derivano dall’uso dei beni pubblici sono riconducibili all’articolo 2051 del codice civile, che disciplina appunto il danno della cosa in custodia, solo quando vi è la possibilità, in concreto, per la Pubblica Amministrazione, di esercitare il potere di controllo sul bene e tale possibilità deve essere accertata in termini oggettivi dal giudice del merito nello specifico caso concreto.
BISOGNA ESAMINARE IN CONCRETO LE CAUSE DEI DANNI… Dunque, secondo questo orientamento, se il potere di controllo è oggettivamente impossibile, non vi sarebbe custodia e quindi non vi sarebbe responsabilità della Pubblica Amministrazione ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile. Per i beni del demanio stradale la possibilità in concreto della custodia, va esaminata non solo in relazione all’estensione delle strade, ma anche alle loro caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico di volta in volta appresta e che, in larga misura, condizionano anche le aspettative della generalità degli utenti. Tale giurisprudenza ha poi chiarito che per stabilire la responsabilità dell’Ente pubblico occorre far riferimento alla natura e alla tipologia di cause che hanno provocato il danno. In sintesi, solo se i danni derivano da cause intrinseche al bene, così da essere conosciute e conoscibili al custode, come per esempio nel caso di usura e dissesto del manto stradale o di buche o di segnaletica ingannevole e contraddittoria, l’Ente pubblico sarà tenuto al risarcimento dei danni. Laddove, invece, le situazioni di pericolo sono estemporaneamente create da terzi, e quindi estrinseche, non conoscibili né eliminabili con immediatezza neppure con la più diligente attività di manutenzione, come accade ad esempio per le perdite d’olio da parte del veicolo di passaggio o dall’abbandono di vetri rotti o altri agenti offensivi, le stesse andranno classificate come cause fortuite. Naturalmente l’onere di provare il caso fortuito grava sulla Pubblica Amministrazione, vale a dire sul custode della cosa (Tribunale di Genova, Sentenza del, 24 ottobre 2014, Giudice Paolo Gibelli; Corte d’Appello di Roma, Sentenza n. 855 del 2014; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 12 marzo 2013, n. 6101; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 26 giugno 2012, n. 10643; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 6 giugno 2008, n. 15042).
…E OCCORRE UNIVOCITÀ La difformità di orientamenti appena evidenziata indubbiamente non giova e sarebbe auspicabile che la questione, al fine di evitare ulteriori pronunce di senso opposto, che ingenerano confusione tra gli avvocati ma anche tra gli stessi giudici, venisse affrontata, una volta per tutte, dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, così che le singole sezioni, così come i giudici del merito, siano poi tenuti ad uniformarsi ad essa, in ossequio al principio che vuole certezza nel diritto!
Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite