lunedì 3 novembre 2014

GINECOLOGA SBAGLIA: IL FETO È MALFORMATO MA NON SE NE ACCORGE E ALTERA L’ECOGRAFIA PER MASCHERARE L’ERRORE


Tra le notizie di cronaca di qualche giorno fa, ho letto del caso di una ginecologa vicentina che, nel tentativo di porre rimedio ad un errore professionale, ha alterato un esame diagnostico con l’intento di occultare le prove della propria imperizia. Il bimbo è nato, purtroppo, privo di una mano e di parte dell’avambraccio senza che i genitori ne fossero mai stati informati e, dunque, con un’invalidità grave che si riflette e si rifletterà in modo importante sul suo benessere psicofisico e quindi sulla sua salute e sulla sua vita futura. Si tratta in pratica di un chiaro esempio di lesione del diritto a una genitorialità cosciente e consapevole dovuta alla carenza di informazione per errore medico. Un caso un po’ diverso da quello che ho affrontato, personalmente, qualche tempo fa ma per certi versi affine. Credo, infatti, che ricorderete la vicenda della donna che dopo essersi rivolta al proprio medico curante per la prescrizione di un farmaco anticoncezionale concepì un bimbo poiché il medicinale in questione era in realtà un modulatore ormonale prescritto alle donne in prossimità di menopausa e, quindi, incapace di inibire il concepimento. In entrambi i casi è stato violato il diritto all’autodeterminazione. Vediamo, giuridicamente parlando, quali sono gli aspetti comuni alle due vicende e quali invece i diritti lesi nel caso vicentino…


LA GINECOLOGA VICENTINA HA SBAGLIATO TRE VOLTE Il primo errore commesso dalla ginecologa è dovuto alla incapacità di avvedersi che l’ecografia morfologica, vale a dire quella particolare ecografia destinata a studiare la morfologia del feto per escludere, o accertare, la presenza di malformazioni, presentava un’anomalia scheletrica. Ha quindi commesso un’errata diagnosi prenatale. I quotidiani non riportano maggiori dettagli circa la specializzazione del medico, vale a dire se la stessa fosse solo ginecologa o anche ecografista e se, quindi, avesse praticato lei stessa l’esame diagnostico o altro sanitario ma ciò che rileva è il fatto che il medico in questione avesse rilasciato un referto dal quale si evinceva chiaramente che il feto era in buone condizioni. Il secondo errore commesso dalla ginecologa, conseguente al primo, è stato quello di non informare la gestante sul senso dell’accertamento e sui possibili margini di errore del test e, quindi sulla possibilità di malformazioni del feto. Il terzo errore, infine, è consistito nell’aver alterato l’ecografia in questione per tentare di mascherare l’errore di valutazione compiuto. In tale ultimo caso la ginecologa ha commesso anche un reato poiché ha dolosamente modificato un referto medico e ha, quindi, commesso quello che tecnicamente si chiama “falso in atto pubblico”. In termini generali, comunque, la responsabilità della ginecologa andrà, a mio avviso, affermata, su un piano civilistico, poiché pur avendo effettuato le indagini diagnostiche che i protocolli raccomandano, non è riuscita a interpretarne esattamente i risultati, per la trascuratezza con cui ha condotto l’indagine.

LA VITA IN FAMIGLIA CAMBIA Oltre che sulla vita del piccolo la malformazione e la disabilità che ne consegue inciderà sulla vita di papà e mamma e, se ci sono, dei fratellini. Tutte le loro esistenze subiranno un cambiamento importante poiché è chiaro che un bimbo affetto da disabilità gravi richiede cure e attenzioni particolari. È altrettanto pacifico che la vita quotidiana di questa coppia, già di per sé mutata per l’ingresso di un nuovo membro all’interno della famiglia, subirà un deciso cambiamento; probabilmente inciderà sulle scelte lavorative di uno o di entrambi i genitori e richiederà spese e costi non preventivati per le cure di cui il piccolo necessita e necessiterà in futuro. Forse inciderà sulla stessa salute di mamma e papà che, senza adeguata preparazione e senza possibilità di adottare per loro la scelta più idonea alle loro condizioni di vita ed economiche, hanno messo alla luce un bimbo che in cuor loro, grazie alle rassicurazioni del medico, credevano sano.

LA MADRE NON HA POTUTO SCEGLIERE DI INTERROMPERE LA GRAVIDANZA Il nostro ordinamento giuridico non consente l’aborto eugenetico, vale a dire quella particolare tipologia di interruzione volontaria della gravidanza finalizzata tout court a sopprimere un feto malformato. Consente, invece, attraverso le norme contenute nella Legge 194 del 1978 l’aborto terapeutico, ovvero consente l’aborto, nei primi 90 giorni dal concepimento, quando sussistano circostanze che pongano in serio pericolo la salute fisica o psichica della madre. Tra le cause che possono mettere in pericolo la condizione della gestante sono annoverate, peraltro, non solo quelle che riguardano il suo stato clinico, ma anche le sue condizioni economiche, sociali o familiari, le circostanze in cui è avvenuto il concepimento o previsioni di malformazioni del nascituro. Inoltre qualora la gravidanza o il parto comportino o pongano in grave pericolo la vita della donna o, ancora, quando siano accertate eventuali anomalie nel feto che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, il termine di 90 giorni può essere superato. Nel caso di specie il fatto che la ginecologa abbia commesso un errore di valutazione dell’ecografia morfologica, che si effettua in genere tra la ventesima e la ventiseiesima settimana di gestazione, quindi ben oltre i primi 90 giorni di gravidanza, ha impedito alla gestante, in presenza dei presupposti di legge, vale a dire in presenza di un grave pericolo per la sua salute fisica o psichica, di esercitare il suo diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 della costituzione, nonché di esprimere la propria libertà di autodeterminarsi in ordine al ricorso alla pratica dell’aborto terapeutico. 

MANCATA INFORMAZIONE = DIRITTO LESO La mancata informazione si riconnette, dunque, alla lesione del diritto alla autodeterminazione della donne e alla procreazione cosciente e responsabile, a condizione, tuttavia, che venga fornita la prova della sussistenza delle condizioni di cui agli articoli 6 e 7 della Legge 194/78, che ho evidenziato. La prova che la malformazione del feto, qualora conosciuta, avrebbe condotto ad un grave danno per la salute della madre, presupposto per l’esercizio dell’aborto terapeutico oltre i 90 giorni di gestazione, incombe naturalmente sulla stessa. La prova, peraltro, potrà essere fornita attraverso presunzioni semplici supportate, tuttavia, da altri elementi indiziari che rinforzino tale ipotesi (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 22 maggio 2014, n. 11364; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 2 ottobre 2012, n. 16754). 

VALE ANCHE PER IL PAPÀ Il papà, al pari della gestante, ha diritto a un’informazione corretta. Poiché, dunque, il rapporto che si instaura tra medico e paziente è ormai pacificamente ritenuto un contratto di prestazione d’opera professionale con effetti protettivi anche nei confronti del padre del concepito, quest’ultimo qualora diventi, come nel caso esaminato, padre di un bimbo malformato a causa dell’inadempimento del sanitario, patisce un danno e, come tale, risarcibile a norma dell’art. 1223 del codice civile (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 22 maggio 2014, n. 11364; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 2 ottobre 2012, n. 16754; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 30 novembre 2011, n. 25559; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 4 gennaio 2010, n. 13).

MENO ATTENZIONI E CURE PER FRATELLI E SORELLE Non molto tempo fa la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, in modo molto condivisibile, che anche i fratelli e le sorelle del bimbo nato malformato subiscono una lesione di diritti a causa dell’inadempimento medico, intendendosi per tale anche l’omessa diagnosi che ha impedito di fatto il ricorso all’aborto terapeutico, in presenza dei presupposti legittimanti. La lesione si concretizza nella diminuita possibilità per questi di godere di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap e quindi nella, inevitabile, minor disponibilità dei genitori nei loro confronti. Oltre a ciò andrà considerato il fatto che essi risulteranno gravati, una volta venuti a mancare i genitori, di un obbligo assistenziale nei confronti del fratello o della sorella disabile e non autosufficiente (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 2 ottobre 2012, n. 16754).

IL DIRITTO ALLA SALUTE DEL BIMBO MALFORMATO Per effetto della violazione del diritto all’autodeterminazione della madre anche il concepito, venuto al mondo malformato, a causa di un fatto lesivo ingiusto, ha diritto al risarcimento del danno alla salute. È questa l’innovativa impostazione dei giudici della Suprema Corte, che avevo già avuto modo di commentare in altri articoli. Ricordo, infatti, che, secondo la rivoluzionaria decisione dei giudici di legittimità, chi nasce malato per via di un fatto lesivo ingiusto, occorsogli durante il concepimento non fa valere un diritto alla vita né un diritto a nascere sano né tantomeno un diritto a non nascere. Fa valere, ora per allora, la lesione della sua salute, originatasi al momento del concepimento. Oggetto della pretesa e della tutela risarcitoria è, pertanto, la nascita malformata di per sé. Ciò che assume rilievo non è, dunque, la nascita bensì la “futura vita handicappata intesa nella sua più ampia accezione funzionale di una vita che merita di essere vissuta meno disagevolmente” (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 2 ottobre 2012, n. 16754). 

DUE VICENDE A CONFRONTO Da un punto di vista strettamente giuridico e senza cedere il passo a considerazioni di carattere diverso, nella vicenda di cui mi sono personalmente occupata relativa all’erronea prescrizione farmacologica che ha dato seguito al concepimento di un bimbo non pianificato in violazione del diritto all’autodeterminazione e a una genitorialità cosciente e consapevole è stato leso un diritto di libertà, costituzionalmente protetto, in base al quale l’individuo è libero di scegliere il se, il come e il quando concepire un figlio. Tale lesione una volta accertata e conseguente all’inadempimento da parte del medico non può che dar luogo al risarcimento del danno che, per quanto concerne gli aspetti patrimoniali, sarà commisurato a quanto occorre a mantenere lo stesso sino al raggiungimento della sua indipendenza economica a nulla valendo la circostanza per la quale il bimbo in questione sia nato sano. L’elemento comune alla vicenda vicentina risiede nel fatto che anche in tal caso è stato leso un diritto di libertà ovvero quello all’autodeterminazione, riservato alla madre, con riguardo al ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza a scopo terapeutico. In questo caso, tuttavia, il risarcimento del danno patrimoniale sarà commisurato allo scarto tra ciò che sarebbe stato sufficiente per mantenere un bimbo sano, voluto e desiderato, e ciò che invece sarà necessario per mantenere un bambino disabile, nato a causa dell’inadempimento medico.


Avvocato Patrizia Comite  - Studio Comite



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