Qualche giorno fa la signora Lucia mi ha contattata telefonicamente per un breve parere riguardante il procedimento di separazione giudiziale che stava affrontando nei confronti del marito Carlo. In sintesi, la lettrice mi ha spiegato che l’avvocato che rappresenta e assiste il signor Carlo sostiene che gli effetti dei provvedimenti provvisori e urgenti, assunti dal giudice alla prima udienza di comparizione personale delle parti, vale a dire nella fase presidenziale del procedimento, non decorrano dalla data della domanda, ovvero del deposito del ricorso, ma dalla data di tale udienza o, al più, dalla diversa data indicata in tali provvedimenti; in altre parole l’avvocato di Carlo ritiene che quest’ultimo debba versare il mantenimento a moglie e figli dal giorno in cui il giudice ha assunto questo provvedimento e non prima. Il difensore della signora Lucia, invece, insiste con il sostenere e conseguentemente richiedere, anche formalmente, che il contributo al mantenimento per moglie e figli, posto a carico del marito, seppur stabilito all’udienza presidenziale, decorra dalla data di proposizione del ricorso contenente le domande connesse appunto alla richiesta di separazione e che, pertanto, gli effetti di tali provvedimenti retroagiscano a tale momento. La signora Lucia mi racconta, dunque, di essere confortata dal proprio legale il quale è certo della sua presa di posizione e vorrebbe agire per il recupero forzoso delle mensilità (ben cinque) che il marito si rifiuta di versare. Un’amica, tuttavia, anch’essa separata, le ha sconsigliato tale azione esecutiva poiché il legale del signor Carlo potrebbe avere ragione. Mi domanda, quindi, se il proprio avvocato abbia colto nel segno o se, invece, rischia di porre in essere un’azione esecutiva ingiustificata e dispendiosa. Vediamo chi ha ragione …
LE FASI DELLA SEPARAZIONE GIUDIZIALE Il procedimento di separazione giudiziale, vale a dire quel procedimento che si instaura su richiesta di uno dei coniugi finalizzato a ottenere una pronuncia di separazione personale, con o senza addebito, si suddivide in due fasi:
1) fase presidenziale: il Presidente del Tribunale esamina il ricorso depositato da uno dei coniugi e nei cinque giorni successivi (termine non perentorio) fissa con decreto la data (entro novanta giorni dal deposito del ricorso) dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, nonché il termine entro cui il ricorrente deve notificare all’altro coniuge il ricorso e il decreto e, infine, fissa il termine entro cui il convenuto, cioè il coniuge che viene chiamato davanti al Tribunale, può depositare la memoria difensiva unitamente ai documenti che ritiene utili per sostenere le proprie ragioni. L’udienza presidenziale si svolge davanti al Presidente alla presenza personale dei coniugi, assistiti obbligatoriamente dai propri legali (in tale giudizio non è ammessa la presenza del solo coniuge che voglia difendersi da sé). Il Presidente tenta la conciliazione e se questa non riesce, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei figli (affidamento e contributo al mantenimento) e dei coniugi (assegnazione dell’abitazione e mantenimento), nomina il giudice istruttore e fissa il giorno in cui si terrà l’udienza di comparizione e trattazione davanti allo stesso giudice istruttore.
2) fase istruttoria: si svolge davanti al Giudice Istruttore in modo molto simile a un normale processo in cui vengono acquisite delle prove. Nel caso in cui ci siano molte questioni da trattare, oltre alla semplice separazione, il Giudice Istruttore può emettere una sentenza non definitiva di separazione, con la quale viene immediatamente decisa la separazione, facendo proseguire la causa per la definizione delle questioni economiche, di quelle relative all’addebito e all’affidamento dei figli. Il giudizio si conclude con una sentenza di separazione emessa dal Tribunale che può essere appellata come una sentenza ordinaria, vale a dire che si può chiedere a un altro giudice che corregga gli eventuali errori che si adducono essere stati commessi.
I PROVVEDIMENTI DEL PRESIDENTE Secondo un’emblematica pronuncia del Tribunale partenopeo, i provvedimenti temporanei e urgenti hanno la funzione di dettare, in via provvisoria (in quanto allo stato degli atti), ma autonoma, la regolamentazione attuale dei rapporti tra i membri della famiglia e non avrebbero natura cautelare in senso proprio. In altri termini i provvedimenti presidenziali (e successive modifiche) non debbono essere necessariamente emessi in funzione della situazione che verrà a crearsi al momento della sentenza (tipico è il caso che la decisione sopraggiunga dopo il raggiungimento della maggiore età del figlio) ma devono ovviare alle varie necessità dei coniugi e della prole, indipendentemente dalla circostanza che il difetto di immediata soddisfazione importi l’inutilità della sentenza. Per tale circostanza, taluni giudici e studiosi del diritto qualificano siffatti provvedimenti quali atti di accertamento sommario con funzione esecutiva; da un lato infatti hanno efficacia esecutiva, dall’altra taluni effetti sono irreversibili (irripetibilità di quanto medio tempore prestato in loro attuazione; impossibilità di eliminare quanto operato dai coniugi durante il regime provvisorio). Altro argomento a sostegno della tesi secondo cui non si tratterebbe di provvedimenti cautelari attiene al regime della revoca e della modifica delle misure già adottate. Le modifiche dei provvedimenti presidenziali, infatti, possono essere adottate dal G.I. nel corso del processo anche in base ad una rivalutazione degli stessi elementi in base ai quali sono state emesse, non essendo richiesto l’intervento di un qualche mutamento delle circostanze, vale a dire l’intervento di sopravvenienze, come invece previsto per i provvedimenti cautelari, dall’art. 669 decies del codice di procedura civile. L’art. 709, 4° comma, del codice di procedura civile, così come introdotto dalla novella del 2005 prevede, infatti, ora espressamente la modificabilità tout court dei provvedimenti presidenziali, senza necessità di sopravvenienze, come invece previsto dalla legge sul divorzio (Tribunale di Napoli, Sezione I, Ordinanza del 13 ottobre 2009, Presidente Imperiali).
CAUTELA PER LE SITUAZIONI TEMPORANEE prescindere dalla natura cautelare o meno dell’ordinanza contenente i provvedimenti, su cui ancora molto si discute, o dalla necessità che sussistano sopravvenienze per la modificabilità degli stessi, anch’essa questione controversa, occorre a mio avviso, sottolineare che l’essenza di tale provvedimento è proprio quella di porre una cautela a situazioni temporanee e soprattutto bisognose d’una regolamentazione giudiziale immediata che un provvedimento definitivo non sarebbe in grado di offrire a causa della necessità di tempi più lunghi per la sua emissione. Tale ordinanza è, peraltro, immediatamente esecutiva (cioè costituisce un titolo per attivare l’esecuzione forzata, ossia un procedimento per la soddisfazione dei diritti del coniuge e della prole) e, come detto, sempre modificabile dal Giudice Istruttore, secondo quanto previsto dall’art. 709 quater del codice di procedura civile, e addirittura reclamabile davanti alla Corte d’Appello (art. 708, comma quarto, codice di procedura civile).
GLI EFFETTI DECORRONO IN ASSENZA DI SPECIFICHE In virtù di quanto ho premesso, vale a dire che i provvedimenti temporanei e urgenti emessi dal Presidente con l’ordinanza di cui all’art. 708, comma terzo, del codice di procedura civile, sono sempre modificabili dal Giudice Istruttore, e rispondono alla necessità di dettare una regolamentazione contingente che potrebbe, peraltro, non essere confermata dalla sentenza che definisce il giudizio, gli effetti di tale pronuncia non possono che decorrere, in mancanza di specificazione, dalla pronuncia della stessa. Il Presidente potrebbe infatti ritenere, per esempio, che l’assegno di mantenimento decorra da quando il coniuge, tenuto al versamento, ha lasciato o lascerà l’abitazione familiare e quindi a decorrere da un momento diverso rispetto a quello della statuizione, anteriore o successivo alla stessa, ma comunque espresso in termini chiari ed espliciti. Laddove, invece, il Presidente non specificasse nulla rispetto al momento della decorrenza, questa non potrà che essere la data della pronuncia. Tale impostazione è confermata dalla giurisprudenza di merito secondo la quale non sussiste il diritto agli arretrati dell’assegno di mantenimento dalla data di deposito del ricorso alla pronuncia dei provvedimenti provvisori ed è quindi da accogliere l’opposizione all’esecuzione effettuata dal coniuge esecutato. In altre parole non si può agire esecutivamente per gli arretrati che il giudice non ha espressamente stabilito che siano dovuti sulla base di un determinato criterio (Tribunale di S. Maria C.V., Sezione distaccata di Caserta, Giudice Esecuzione, Ordinanza del 19.07.2012).
LA SENTENZA PUÒ CAMBIARE TUTTO Ciò che non va trascurato, e che il legale di Lucia pare aver dimenticato, è che la sentenza che definisce il giudizio, all’esito di un’istruttoria che potrà riguardare molteplici aspetti (l’addebito, la situazione patrimoniale dei coniugi, la sopraggiunta maggiore età dei figli o addirittura l’estinzione del procedimento) può radicalmente mutare l’assetto dato dal Presidente attraverso l’ordinanza che dispone i provvedimenti provvisori. In altre parole la sentenza potrà confermare, modificare o revocare i provvedimenti provvisori e statuire anche riguardo alla decorrenza degli effetti dei provvedimenti definitivi che saranno, pertanto, assorbenti di quelli provvisori. L’avvocato che rappresenta Lucia sta, dunque, commettendo un errore poiché ha ritenuto applicabile alla fattispecie dei provvedimenti temporanei e urgenti emessi dal Presidente (ma il discorso vale anche per quelli emessi dal Giudice Istruttore per modificare quelli presidenziali) il diverso criterio che invece la giurisprudenza ritiene applicabile alla sola sentenza definitiva priva di indicazioni specifiche sulla decorrenza degli effetti delle statuizioni in essa contenute.
SOLO GLI EFFETTI DELLA SENTENZA RETROAGISCONO AL MOMENTO DELLA DOMANDA Secondo giurisprudenza consolidata, sia di merito sia di legittimità, laddove la sentenza di separazione definitiva non stabilisca un termine specifico di decorrenza degli effetti, quasi sempre di natura patrimoniale, quale è l’obbligo di contribuzione al mantenimento, questi decorrono dalla domanda di separazione, vale a dire dal deposito del ricorso che contiene la stessa, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 22 maggio 2014, n. 11415; Cassazione civile, Sezione VI - 1, Ordinanza del 3 luglio 2013, n. 16671; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 29 dicembre 2011, n. 29724; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 29 novembre 2007, n. 24932).
HA RAGIONE L’AVVOCATO DEL SIGNOR CARLO Per concludere e rispondere al quesito di Lucia non posso che sottolineare che il principio giuridico invocato dal legale di Lucia non è applicabile al caso dei provvedimenti provvisori emessi all’udienza presidenziale ma solo in presenza di un titolo definitivo quale è appunto la sentenza che chiude il giudizio, poiché è con questa che il giudice ha la facoltà di stabilire un diverso termine di decorrenza degli effetti. È quindi solo a procedimento concluso che si potranno rinvenire, sulla base delle statuizioni contenute in tale provvedimento e anche in assenza di specifiche statuizioni in ordine alla decorrenza degli effetti, i criteri di stabilità su cui fondare le pretese creditorie, eventualmente anche retroattive, così da soddisfare i noti principi di certezza, esigibilità e liquidità dei crediti su cui si fonda il processo esecutivo.
Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite