Nonostante lo spirito vacanziero che si respira in questi giorni, carico di spensieratezza e voglia di godersi un po’ di meritato riposo, non posso esimermi dal rispondere ad una mail ricevuta recentemente da una nostra follower, in particolare dalla Sig.ra Crisia, la quale mi offre la possibilità di affrontare un tema estremamente delicato, finanche spinoso ed emotivamente impegnativo, quale il ruolo ricoperto dagli assistenti sociali in caso di separazione burrascosa tra ex conviventi laddove vi siano figli minori da tutelare. Nella specie, la nostra lettrice chiedeva chiarimenti in relazione non solo al comportamento che i genitori di figli minori devono assumere qualora vengano affiancati e supportati dai servizi sociali, ma anche in ordine alle competenze proprie degli assistenti sociali stessi, chiamati a dover gestire situazioni di conflitto tutelando, primariamente, il benessere dei piccolini. Detto ciò, vediamo come l’ordinamento giuridico ha scelto di regolare tale figura …
ASSISTENTI SOCIALI, CHI SONO… Il nostro sistema giuridico si è preoccupato di delineare i profili della figura dell’assistente sociale solo agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, in particolare nel 1982, quando il Ministero dell’Interno istituiva appositamente la Commissione nazionale di studio per la definizione dei profili professionali e dei requisiti di formazione degli operatori sociali, la quale, dopo ben due anni di lavoro, coniava la seguente definizione: “l’Assistente Sociale è un operatore sociale che, agendo secondo i principi, le conoscenze e i metodi specifici della professione, svolge la propria attività nell’ambito del sistema organizzato delle risorse messe a disposizione dalla comunità, a favore di individui, gruppi e famiglie, per prevenire e risolvere situazioni di bisogno, aiutando l’utenza nell’uso personale e sociale di tali risorse, organizzando e promuovendo prestazioni e servizi per una maggiore rispondenza degli stessi alle particolari situazioni di bisogno e alle esigenze di autonomia e responsabilità delle persone, valorizzando a questo scopo tutte le risorse della comunità”. Tuttavia, solo recentemente il Ministro della Giustizia è intervenuto nel merito delle competenze tipiche proprie dell’assistente sociale mediante l’emanazione del decreto 2 agosto 2013, n. 106 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 223 del 23 settembre 2013), il quale stabilisce i parametri per la liquidazione, da parte di un organo giurisdizionale, dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal ministero della Giustizia, in particolare anche e appunto gli assistenti sociali. A detto decreto, poi, sono allegate due tabelle: nella prima sono riportate le cinque aree di competenza della figura oggetto del presente contributo e, nella seconda, viene specificato per ogni singola area il valore medio di liquidazione e la variazione ammessa, facendo altresì una distinzione tra casi semplici e complessi.
…E COSA FANNO? Come anticipato, il decreto 2 agosto 2013, n. 106 ha individuato le cinque aree di competenza proprie degli assistenti sociali, ossia:
1) relazionale;
2) gruppi e comunità;
3) didattico-formativa;
4) studio e ricerca;
5) progettuale, programmatoria e di amministrazione dei servizi;
Tale elenco, stilato coinvolgendo direttamente gli organi di rappresentanza della categoria, grazie al fruttuoso dialogo tuttora aperto tra il Ministero della Giustizia e l’Ordine degli assistenti sociali, finalmente chiarisce ed inquadra giuridicamente questa professione, conferendogli maggior riconoscimento, soprattutto tenendo presente l’importanza della stessa, dal momento che si tratta sostanzialmente di persone che si occupano di rendere le Istituzioni più vicine al cittadino bisognoso.
MINORI DA TUTELARE, OBBLIGO DI INTERVENIRE Dopo aver brevemente introdotto la figura dell’assistente sociale, è il momento di concentrarci sulla competenza che qui ci interessa, ossia i rapporti di collaborazione che i servizi sociali intrattengono con l’autorità giudiziaria (Tribunale per i Minorenni, Tribunale Ordinario e Giudice Tutelare) in materia di tutela del minore bisognoso di detta assistenza, oltre che le conseguenze giuridiche derivanti dal loro intervento in ordine ai genitori del minore stesso. È evidente, infatti, che laddove l’Autorità Giudiziaria o lo stesso servizio sociale ravvisi opportuno e indispensabile l’intervento di tale figura professionale al fine di tutelare un minore, ci si trova sostanzialmente di fronte ad una situazione potenzialmente pericolosa per lo sviluppo, sia emotivo che fisico, del minore stesso. In discussione ci sarà la stabilità e serenità del medesimo, soprattutto in ragione del fatto che i genitori, dunque le figure di riferimento più importanti nella vita di un bambino, sono stati giudicati non sufficientemente in grado di ricoprire tale ruolo, a prescindere dall’origine di tale manchevolezza. I Servizi sociali, infatti, possono intervenire a tutela di un minore sia su espresso incarico di una Autorità giudiziaria, sia, inoltre, spontaneamente laddove ne ravvisino l’opportunità. A tal proposito, dunque, qualche esempio di casistiche più comuni nelle quali i Servizi agiscono sarà sicuramente utile.
SERVIZI SOCIALI, AZIONI OBBLIGATE:
1) rispondono alle richieste del Magistrato attraverso relazioni sul minore o indagini psico-sociali sul medesimo e sulla famiglia d’origine;
2) relazionano ogni 6 mesi sui minori sottoposti ad affidamento, sia esso di tipo familiare o consistente nel collocamento presso apposite comunità, al Giudice Tutelare o al Tribunale per i Minorenni a seconda che si tratti di affidamento consensuale (pattuito tra i genitori) o giudiziale (stabilito dal Giudice);
3) segnalano al P.M. della Procura per minorenni il caso di presumibile abbandono del minore o, ad esempio, la conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio (dunque senza la necessità che vi sia stata denuncia);
4) devono comparire, se chiamati di fronte al Giudice (minorile od ordinario), a rispondere di fatti di loro conoscenza, seppur nei limiti del segreto professionale e del Decreto Legislativo 196/2003 sulla privacy;
SERVIZI SOCIALI, DISCREZIONALITÀ:
1) segnalando al P.M. della Procura per minorenni le situazioni a rischio che esigono un intervento di protezione operando sulla potestà dei genitori, secondo il dovere di vigilanza sulle realtà sociali. Queste segnalazioni sono facoltative perché la segnalazione avviene non al manifestarsi di una condizione obiettiva (es. conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio) ma per una valutazione discrezionale del Servizio, il quale ritiene opportuno meglio approfondire la condizione del minore sulla base di indizi che lascino trasparire la necessità di tale indagine;
2) segnalando al Tribunale Ordinario i casi di pregiudizio del minore in cui siano presenti comportamenti di adulti che fanno sospettare la possibile commissione presente o passata di fattispecie di reato a danno di minorenni (il caso più tipico, purtroppo, è ravvisabile nei casi di violenza familiare, sia fisica che psicologica);
3) segnalando ogni altra comunicazione ritenuta importante e rilevante, pur senza alcuna previsione di legge, dal momento il fine ultimo di tali segnalazioni è e resta sempre il prevenire situazioni di pregiudizio evitabili con l’intervento tempestivo dell’Autorità competente;
LA FAMIGLIA NON PUÒ ESSERE DANNOSA PER IL MINORE In conclusione, tornando a quanto segnalatoci dalla nostra lettrice, non si può non osservare che l’ambiente familiare, di fatto, consista nel luogo primario nel quale l’individuo trova risorse materiali e affettive per crescere in modo sano ed equilibrato. La famiglia riveste, dunque, un ruolo fondamentale e attivo nella presa in carico della cura dei bisogni dei soggetti più deboli, in questo caso dei minori, essendo l’origine dei legami affettivi più importanti che si possano instaurare nella vita. In ragione di ciò, quindi, in situazioni di disgregazione familiare particolarmente critica e carica di tensione, tali per cui sorga la necessità di un intervento dei Servizi sociali, al fine ultimo non solo di supportare i minori in questo momento ma anche di evitare la spiacevole circostanza per la quale i figli stessi diventino armi per ferire l’ex compagno o compagna, l’atteggiamento dei genitori non può che essere collaborativo, dal momento che le tensioni tra loro intercorrenti non devono gravare su soggetti che, per definizione, non hanno la capacità di gestire il conflitto, né devono averla. Tutte le volte in cui, dunque, la coppia non è in grado autonomamente di metabolizzare la situazione di crisi e rielaborare la relazione in funzione esclusivamente genitoriale esiste il rischio reale e concreto che si verifichi un pregiudizio per il minore.
ALTRIMENTI L’assistente sociale, unitamente ad altre figure professionali, può essere quindi chiamato a svolgere un compito decisamente delicato e di grande responsabilità poiché dovrà occuparsi in tutti questi casi di sostenere i bambini nel difficile percorso della disgregazione familiare e al contempo dovrà collaborare ad insegnare agli adulti come gestire il conflitto affinché non sia di pregiudizio ai minori i quali hanno il sacrosanto e intoccabile diritto di essere amati incondizionatamente dall’uno e dall’altro genitore anche in assenza del legame tipico della coppia. Prossimamente approfondiremo un’altra spinosa questione legata alla figura dell’assistente sociale ovvero quella della responsabilità che grava su tale figura in caso di condotta negligente, imprudente e imperita.
Dottoressa Roberta Bonazzoli - Studio Comite