mercoledì 16 luglio 2014

CENTRALE DEI RISCHI: INTERESSE PUBBLICO O AMMAZZA IMPRESE?


Alla redazione di Giuridicamente parlando giungono sempre più spesso richieste di consulenza e di pareri in merito alle segnalazioni che gli istituti di credito effettuano alla Centrale dei Rischi gestita dalla Banca d’Italia. L’argomento, in effetti, è piuttosto attuale vista la situazione di grave crisi economica che sta affrontando il Paese. Le aziende si trovano a sopportare situazioni di temporanea difficoltà patrimoniale che le espone appunto alla possibilità, purtroppo molto realistica e statisticamente frequente, di essere segnalate al sistema informativo denominato “Centrale dei Rischi” quali cattive pagatrici divenendo, in concreto, soggetti non appetibili per banche e finanziarie. La conseguenza più immediata è quella della futura impossibilità di accedere a qualunque linea di credito. In sostanza la morte dell’impresa! Un danno patrimoniale e non patrimoniale, riferendomi, con tale ultima accezione, agli effetti morali ed esistenziali che gli imprenditori sopportano, talvolta di entità decisamente ingente che gli studiosi del diritto e la giurisprudenza non stentano a riconoscere. Ma quando possono essere considerate illegittime queste segnalazioni? 


COS’È LA CENTRALE DEI RISCHI? Nell’intenzione del Legislatore tale strumento, istituito con delibera del CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) del 16 maggio 1962, poi attuata nel 1964, doveva avere una funzione di interesse pubblico, ovvero quella di tutelare il risparmio attraverso una valutazione di solvibilità di tutti coloro che chiedevano e chiedono, ancora oggi, di accedere al credito. In pratica si tratta di un sistema informativo sull’indebitamento della clientela di banche e intermediari finanziari che dovrebbe fornire a tutti questi soggetti, partecipanti al sistema, ogni elemento utile alla valutazione di affidabilità e solvibilità della clientela che richiede di poter accedere alle linee di credito. Il sistema, così pensato, doveva quindi assolvere in generale a una funzione di analisi e gestione del rischio d’impresa facente capo a tutti gli istituti che erogano denaro in prestito. È evidente, tuttavia, che l’utilizzo di tale strumento impone delle cautele di non poco conto proprio per le conseguenze che genera l’impossibilità per un soggetto, privato o impresa, di accedere al finanziamento delle banche, indispensabile, spesso, alla sopravvivenza di questi soggetti. Peraltro tale cautela è ancor più importante se solo si pensa che la valutazione circa l’opportunità di procedere alla segnalazione di indebitamento alla Centrale in questione dipende sostanzialmente da un’istruttoria unilaterale senza che il cliente possa, in concreto, intervenire o partecipare alla formazione di tale giudizio di opportunità.

SE LA SEGNALAZIONE È ILLEGITTIMA E PROVOCA UN DANNO Una recente decisione della Suprema Corte ha confermato la legittimità di alcuni criteri, già applicati dai giudici di merito, per la determinazione e valutazione della legittimità delle segnalazioni effettuate dalle banche alla Centrale dei Rischi. Secondo tale pronuncia la segnalazione in argomento è indubbiamente illegittima e fonte di danno qualora non vi siano oggettive e ragionevoli opinioni di ritenere che il credito non verrà soddisfatto in tempi brevi. In altre parole la segnalazione sarà illegittima e lesiva del diritto del cliente alla chance di accedere al credito tutte le volte in cui il sospetto della banca che il credito non verrà soddisfatto non poggia su concreti elementi sintomatici dell’inadempimento. Quando ciò si verifica il cliente avrà diritto al risarcimento del danno. In particolare, sulla scorta di altri precedenti, i giudici della Cassazione hanno affermato che la segnalazione sarà legittima solo in presenza di “una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “grave difficoltà economica” (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 9 luglio 2014, n. 15609; così anche Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 10 ottobre 2013, n. 23093; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 12 ottobre 2007, n. 21428).

NON BASTA UNA TRANSITORIA DIFFICOLTÀ La sentenza sottolinea, inoltre, che “la segnalazione di una posizione in sofferenza non può scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito o dal volontario inadempimento, ma deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza” (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 9 luglio 2014, n. 15609; così anche Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 12 febbraio 2014, n. 3165; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 1° aprile 2009, n. 7958). 

I SOGGETTI MERITEVOLI NON DEVONO ESSERE ESCLUSI DAL SISTEMA DEL CREDITO La giurisprudenza è stata molto chiara nel confermare tale principio e, infatti, il Tribunale di Venezia, in altra significativa decisione, pone in evidenza la circostanza per la quale sebbene possa essere condivisa la tesi della banca con riguardo alla sussistenza di un obbligo di segnalazione delle posizioni a sofferenza presso la centrale, per evitare che chi non appare in grado di tener fede ai propri obblighi economici possa continuare a ricorrere al credito senza che la banca contattata sia resa edotta delle condizioni patrimoniali effettive, non può sottacersi come detto obbligo imponga in ogni caso, all’istituto di credito, una particolare cautela. Invero, se il soggetto viene segnalato affinché le altre banche stiano attente nell’erogargli il credito disponibile (e sostanzialmente ben difficilmente costui troverà ancora un istituto di credito disponibile), è essenziale svolgere tale dovere con particolare attenzione al fine di non escludere dal sistema del credito un soggetto che risulti invece del tutto meritevole (Tribunale di Venezia, Sentenza del 17 giugno 2009, n. 1701).

PENA IL RISARCIMENTO DEI DANNI L’illegittima segnalazione è fonte di responsabilità sia per la violazione del generale principio stabilito dall’art. 2043 del codice civile, ovvero del neminem laedere, sia per la violazione dei principi di buona fede e diligenza che discendono dal contratto con l’istituto bancario e cagiona evidentemente un danno ai soggetti segnalati sotto due profili. Si potrà, dunque, avere un danno di consistenza patrimoniale che attiene alla perdita di chance, derivante dall’impossibilità di ottenere accesso al credito, sia sotto il profilo delle tempistiche per ottenerlo sia con riguardo alle condizioni e agevolazioni che, con la segnalazione, eventualmente possono venir meno. Naturalmente rientrano nei danni per così dire patrimoniali anche tutti i maggiori oneri sostenuti per il deterioramento del rating del segnalato quali per esempio i costi giudiziari da sostenere per affrontare le azioni esecutive dei creditori insoddisfatti. 

MA CI VUOLE COMUNQUE UNA PROVA Di tali danni, tuttavia, deve essere fornita prova dettagliata e precisa, fermo restando che la riduzione o l’impossibilità di accedere al sistema bancario può arrivare a causare una lesione del diritto, costituzionalmente garantito all’art. 41 della Costituzione, di iniziativa economica privata, che, come è noto, si alimenta anche per mezzo e per merito del credito bancario. Sotto altro profilo il segnalato potrà richiedere il risarcimento dei danni non patrimoniali anche se il soggetto in questione sia una persona giuridica. E, infatti, i giudici ritengono che anche in capo all’ente collettivo e alla persona giuridica possa verificarsi la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione. Fra tali diritti rientra appunto l’immagine della persona giuridica o dell’ente, che laddove lesa origina un danno non patrimoniale che, peraltro, non necessita delle medesima prova rigorosa richiesta per il danno patrimoniale, essendo giudicato da taluni Tribunali esistente per il solo fatto della sussistenza della illegittimità della segnalazione. Anche la quantificazione di tale voce di danno verrà operata in via equitativa tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (Tribunale di Venezia, Sentenza del 17 giugno 2009, n. 1701; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 4 giugno 2007, n. 12929).

ANCORA UNA VOLTA  Ci troviamo di fronte ad uno strumento che di per sé aveva e ha una sua ragione d’essere, una funzione, se vogliamo, anche sociale che, tuttavia, come molti altri strumenti lasciati nelle mani dello strapotere bancario è risultato in moltissimi casi dannoso e lesivo di diritti.


Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite