lunedì 13 gennaio 2014

NEL COGNOME DEL PADRE (...E DELLA MADRE)



La recente bacchettata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha finalmente messo in moto il meccanismo di equiparazione tra uomo e donna, coniugati o meno, in ordine all’attribuzione del cognome ai nuovi nati. Sino a qualche giorno fa in Italia vigeva, infatti, il principio, non codificato espressamente in nessuna norma di legge ma desumibile da diversi indici normativi, secondo il quale i figli legittimi assumevano il cognome del padre così come quelli naturali riconosciuti da entrambi i genitori. In verità la Corte Costituzionale e la Cassazione avevano, in tempi piuttosto recenti, già sollecitato il nostro legislatore ad allinearsi ai principi costituzionali di parità tra uomo e donna, codificati a livello europeo, e quindi di equiparazione della figura materna a quella paterna ma l’Italia, si sa, quando si tratta di scardinare il sistema, per quanto antiquato e incoerente sia, è un po’ lenta. Di fronte alla condanna dei giudici strasburghesi, datata 7 gennaio 2014, che diventerà definitiva entro tre mesi, il nostro Consiglio Dei Ministri si è quindi adeguato emanando, già nella seduta del 10 gennaio scorso, un Disegno di Legge che …


TUTTI D’ACCORDO il disegno di legge, accolto favorevolmente sia dalla maggioranza di governo sia dall’opposizione, composto di soli quattro articoli, ha codificato e introdotto nel nostro ordinamento giuridico il principio in base al quale il figlio “assume il cognome del padre ovvero, in caso di accordo tra i genitori risultante dalla dichiarazione di nascita, quello della madre o quello di entrambi i genitori”. Maria Cecilia Guerra - viceministro del dicastero Lavoro e Politiche sociali – ha fatto sapere che ciò vale anche per i figli nati fuori dal matrimonio e per i figli adottati. Le disposizioni contenute nel DDL 10/01/2014 apporteranno modifiche alle norme del codice civile e in particolare all’art. 143 bis e si applicheranno a tutte le dichiarazioni di nascita successive all’entrata in vigore della legge. Per valutare tutte le implicazioni del provvedimento (che non sono poche), la Guerra ha poi precisato che è stato istituito un gruppo di lavoro con componenti di diversi ministeri, ovvero Pari opportunità-Giustizia-Interni, per rispondere e dare soluzione a questioni quali la possibilità, concreta e realistica, che fratelli e sorelle portino, a seguito dell’introduzione di tali principi, cognomi diversi o quali procedure adottare in caso di disaccordo tra genitori.

FLEBILI SEGNALI Qualche segnale di cambiamento c’era già stato con le modifiche apportate, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 54 del 13 marzo 2012, al titolo X del D.P.R. 396/2000, contenente disposizioni in materia di stato civile relativamente alla disciplina del nome e del cognome. In sintesi (fonte Altalex tabella redatta da Giuseppe Buffone, magistrato meneghino) il cambio di cognome, successivamente alle modifiche introdotte nel 2012, è divenuto ammissibile in tre casi:

1. chiunque potrà chiedere di aggiungere il cognome materno a quello paterno. Il numero di questo tipo di domande è in costante aumento (oltre 400 all’anno).

2. le donne divorziate o vedove potranno aggiungere il cognome del nuovo marito ai propri figli.

3. infine, per coloro che hanno ricevuto la cittadinanza italiana sarà possibile mantenere il cognome con il quale erano identificati all’estero.

GERMANIA, FRANCIA, SPAGNA E USA ALLINEATI DA TEMPO In Germania i coniugi possono scegliere, con il matrimonio, di utilizzare un cognome comune per entrambi che può essere indifferentemente quello dell’uomo o della donna con conseguente attribuzione di tale cognome anche ai figli; possono, tuttavia, anche scegliere di mantenere ognuno il proprio cognome e in tal caso assegnano ai figli concordemente quello di uno o dell’altra e in mancanza di accordo decide il giudice. In Francia i genitori, coniugati o meno, possono accordarsi per conferire ai figli il cognome paterno o materno oppure entrambi, nell’ordine preferito; in mancanza di scelta viene attribuito il cognome del padre o il cognome del genitore che ha riconosciuto il figlio per primo oppure, ancora, in caso di disaccordo comunicato all’ufficiale di stato civile, il cognome di entrambi in ordine alfabetico. In Spagna vige la regola del doppio cognome e, quindi, ai figli viene assegnato sia il primo cognome del padre sia il primo della madre nell’ordine stabilito concordemente dai genitori; in mancanza di accordo quello paterno precede il materno ma il figlio divenuto maggiorenne può scegliere di invertire l’ordine. Negli Stati Uniti vige da tempo il diritto di attribuire ai figli il cognome della madre o, in ogni caso, di anteporlo o aggiungerlo a quello paterno.

E IN ITALIA? I coniugi milanesi Alessandra Cusan e Luigi Fazzo (avvocato) ne hanno parlato e di comune accordo hanno deciso di chiedere il 26 aprile del 1999, in occasione della nascita della loro primogenita Maddalena, all’ufficiale di anagrafe che la bimba venisse registrata con il cognome materno, per consentire alla prole di perpetuare il patrimonio morale del nonno materno, deceduto nel 2011, e che secondo la coppia era un filantropo, del quale sarebbe rimasta cancellata la memoria poiché il fratello di Alessandra non ha eredi. Al rifiuto di quest’ultimo il coraggioso collega, due anni dopo, ha investito della questione il Tribunale di Milano il quale, nel provvedimento di rigetto della domanda, faceva notare che, “sebbene non vi sia alcuna disposizione giuridica perché un neonato sia registrato con il nome del padre, questa regola corrisponde a un principio ben radicato nella coscienza sociale e nella storia italiana”. Nel giudizio di appello, veniva confermata la sentenza di primo grado, mentre nel frattempo nascevano altri due figli moltiplicando le vertenze sino ad arrivare alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo davanti alla quale hanno chiamato lo Stato italiano il quale, a dire degli stessi, con l’applicazione del principio del patronimico, ha violato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in relazione all’articolo 14, che stabilisce il divieto di qualsiasi discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione e in particolare di quelle fondate sul sesso, e all’articolo 8, che sancisce il diritto di ogni persona al rispetto della vita privata e familiare con conseguente divieto di ingerenze per le autorità pubbliche nell’esercizio di tale diritto. 

LA VOLONTA’ CONCORDE DEI CONIUGI VA RISPETTATA, LO DICE ANCHE LA CASSAZIONE investita della questione proprio nel caso Cusan-Fazzo infatti stabiliva che “Con sentenza n. 16093 del 2006 questa Corte, decidendo sul ricorso dei coniugi C. - F. proposto nei confronti di provvedimento negativo della Corte d'appello di Milano su richiesta, analoga a quella di cui è causa, relativa ad altro figlio, preso atto che, con sentenza n. 61 del 16 febbraio 2006, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità degli artt. 143 bis c.c.; artt. 236 c.c.; art. 237 c.c., comma 2; art. 262 c.c.; art. 299 c.c., comma 3, D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 33 e 34, nella parte in cui prevedono che tale attribuzione debba avvenire automaticamente anche quando vi sia una diversa volontà dei genitori, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. ed all'art. 29 Cost., comma 2 - sollevata con ordinanza n. 13298/2004 - sul rilievo che, anche in relazione al circoscritto petitum della predetta ordinanza (limitato alla richiesta di esclusione dell'automatismo della attribuzione al figlio del cognome paterno nella sola ipotesi di manifesta concorde volontà dei coniugi in tal senso) resterebbe "aperta tutta una serie di opzioni e, quindi, che "l'intervento che si invoca richiede un'operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte", ha ritenuto che all'accoglimento del ricorso si oppone "la sussistenza della norma attributiva del cognome paterno al figlio legittimo - sia pure retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e sia pure non in sintonia con le fonti sopranazionali (che impongono agli Stati membri l'adozione di misure adeguate ad eliminare discriminazioni di trattamento nei confronti della donna) - che spetta comunque al legislatore ridisegnare in senso costituzionalmente adeguato. Ritiene il collegio che la soluzione alla quale la Corte è in precedenza pervenuta meriti di essere riesaminata alla luce di alcune circostanze sopravvenute e a tal fine sia opportuno rimettere gli atti al primo presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite”. La sentenza di cui si discute aveva quindi evidenziato anche nel prosieguo di motivazione che i giudici, a differenza di quanto deciso nel 2006, a seguito dell’approvazione, il 13 dicembre 2007, del Trattato di Lisbona, che aveva stabilito che tutti i 27 stati membri dovessero uniformare le loro norme interne ai diritti fondamentali della Carta dei Diritti dell’Unione Europea, tra cui il divieto di ogni discriminazione fondata sul sesso, erano pronti a rimuovere tutte le norme interne contrarie a tali principi, disapplicandole o rinviando gli atti alla corte costituzionale per la declaratoria di incostituzionalità. (Cassazione civile, Sezione I, Ordinanza del 22 settembre 2008, n. 23934; in tal senso anche Cassazione civile, Sezione VI-1, ordinanza del 27 giugno 2013 n. 16271).

E LA CORTE EUROPEA ACCOGLIE LA DOMANDA DI ALESSANDRA E LUIGI stabilendo che aver negato loro di attribuire il cognome Cusan all’allora piccola Maddalena e successivamente agli altri figli è stato discriminatorio e sessista. I giudici indicano che l’Italia “deve adottare riforme legislative o di altra natura per rimediare alla violazione riscontrata” (affaire Cusan Fazzo c. Italie, n. 77/2007). Nelle motivazioni della sentenza si fa peraltro riferimento a quanto affermato qualche anno prima dalla Corte Costituzionale italiana, che pur avendo dovuto dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale (mancava di fatto la norma da sottoporre al vaglio di legittimità e dichiarare incostituzionali tutti gli indicatori normativi da cui si desumeva il principio del patronimico significava lasciare un vuoto legislativo non altrimenti colmabile se non con l’intervento del legislatore) perché travalicava i propri poteri, aveva riconosciuto che “l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia … e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna” (Corte Costituzionale, Sentenza del 16 febbraio 2006, n. 61).

Alessandra e Luigi non otterranno, per lo meno non immediatamente, il diritto di registrare i loro figli con il cognome della madre ma il risultato è, comunque, importante a livello politico e segna l’avvio di un’evoluzione legislativa che ha come obiettivo finale quello di garantire la piena equiparazione tra genitori, esigenza che il sistema ha l’obbligo morale e giuridico di recepire e questo anche grazie alla lungimiranza dell’avvocato Fazzo e della consorte Alessandra Cusan.