venerdì 6 dicembre 2013

LO STATO CONDANNATO PER IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: E SE POI NON PAGA?



Nel post pubblicato lo scorso 27 novembre abbiamo svolto alcune considerazioni in materia di prescrizione e decadenza dall’azione giudiziale per ottenere l’equo indennizzo per i danni subiti a causa dell’irragionevole durata del processo, di cui alla Legge 24 marzo 2001, n. 89, più nota come Legge Pinto. Ci eravamo lasciati promettendoci di tornare sull’argomento, evidenziando le criticità della legge sotto il profilo degli insufficienti fondi messi a disposizione dal Governo tali da rendere vane le eventuali procedure esecutive promosse dal cittadino. Prima di entrare nel merito della questione, colgo l’occasione per soffermarmi brevemente su una novità introdotta dal D.L. 83/2012, in tema di risarcimenti, che ha modificato questa legge...


LA RICHIESTA VA FATTA ALLA CORTE D’APPELLO Come è noto, la parte di un processo che ritiene di aver subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto del mancato rispetto della sua durata ragionevole, stabilita ex lege, deve proporre ricorso al Presidente della Corte d’Appello per ottenere la liquidazione della somma prevista a titolo di equa riparazione. In base alla nuova procedura introdotta dal predetto decreto legge, la domanda viene valutata senza contraddittorio (ovvero in assenza della controparte) ed eventualmente accolta con un provvedimento simile al decreto ingiuntivo.

TRENTA GIORNI PER LA NOTIFICA Successivamente, tale provvedimento unitamente al ricorso deve essere notificato al Ministero della Giustizia, che altrimenti non avrebbe alcuna conoscenza della domanda. Ma entro quale termine? E soprattutto, quali sono le conseguenze nel caso di notifica oltre il termine previsto? Ebbene, sul punto l’art. 5 della l. n. 89/2001 modificato dal d.l. 83/2012, dispone al II comma che, “Il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento e la domanda di equa riparazione non può essere più proposta”.

ALTRIMENTI PERDI TUTTO Quindi, se il ricorrente non provvede alla notifica del decreto all’amministrazione, entro 30 giorni dal deposito in cancelleria, il decreto diventa inefficace e la domanda di equa riparazione non può essere più riproposta. Ma vi è di più. La Corte d’Appello di Napoli, con l’ordinanza del 05 novembre è andata oltre, precisando che, il decreto che accoglie anche solo in parte la domanda, deve essere notificato insieme al ricorso in copia autentica: nel caso di specie, il ricorrente aveva notificato il solo decreto e il Ministero aveva proposto opposizione, successivamente accolta, sostenendo che il decreto doveva essere dichiarato inefficace perché nel termine perentorio non era stato notificato anche il ricorso. In particolare, la Corte d’Appello di Napoli accoglie l’opposizione del Ministero affermando che, lo scopo della “imprescindibile notifica, oltre che del decreto, anche del ricorso” è quella di consentire al Ministero una “lettura congiunta dei due atti”; solo così, infatti, potrà “valutare, dal proprio punto di vista, la fondatezza o meno della pretesa avversaria, la correttezza o meno della decisione e valutare conseguentemente l’opportunità di proporre o meno l’opposizione”.

E SE LO STATO NON PAGA? Fermo quanto appena esposto, analizziamo ora cosa accade nel caso in cui, ottenuto il decreto di condanna e notificato lo stesso unitamente al ricorso, lo Stato decida di non adempiere spontaneamente al risarcimento per l’irragionevole durata del processo. Ora, premesso che i casi in cui lo Stato, ricevuta la suddetta notifica, decida di pagare spontaneamente, ovvero senza l’esercizio di un’azione esecutiva del cittadino nei suoi confronti – si contano sulle dita delle mani, anzi, sarebbe più corretto dire, di una mano, occorre precisare che tale passivo comportamento dello Stato trova la sua giustificazione nella pressoché inesistente possibilità di agire esecutivamente nei suoi confronti! Il perché è presto detto.

LA FA FRANCA!!! Il decreto legge n. 35 dell’8 aprile 2013, dal titolo quasi ironico “disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali”, all’art. 6 (che introduce peraltro l’art. 5-quinquies nella legge Pinto), recita espressamente che, “al fine di assicurare un’ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge, non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso la tesoreria centrale e le tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge”. Forse non tutti sanno che i suddetti pignoramenti presso terzi erano forse l’unica possibilità per ottenere proprio il pagamento di quanto dovuto! Certo, sappiamo già quale sarebbe sul punto la probabile risposta dei politicanti di professione: “per la prima volta, nella legge di bilancio del 2013, abbiamo previsto a favore della Giustizia l’assegnazione di fondi per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi proposti dagli aventi diritto per i danni subiti in caso di violazione del termine ragionevole del processo”. Bene, sapete a quanto ammonta il suddetto fondo? 50 milioni di Euro. Importo certamente rilevante se non fosse che, in tale ambito, l’entità del debito dello Stato, con stima peraltro per difetto, è di oltre 340 milioni di Euro!

DISPARITA' DI TRATTAMENTO In conclusione, preso atto ormai dell’impossibilità di ottenere esecutivamente il riconoscimento del proprio diritto al risarcimento per l’eccessiva durata dei processi ai sensi della legge Pinto, non ci rimane che segnalare, anche in questo caso, la disparità di trattamento tra un qualsiasi cittadino debitore e lo Stato debitore. Quando è quest’ultimo ad esserlo, qualunque titolo di condanna può, per effetto di leggi emanate dallo stesso, trasformarsi in carta straccia. Quando debitore è il cittadino nei confronti dello Stato, le procedure esecutive a disposizione dell’ente pubblico sono addirittura più celeri rispetto a quelle ordinarie previste per cittadino; basti solo pensare alle conseguenze in caso di mancato pagamento di una cartella esattoriale.

Che dire…oltre al danno la beffa: il cittadino già vittima della irragionevole durata di un procedimento che lo ha visto coinvolto, si trova paradossalmente in questo modo a dover attendere ulteriori irragionevoli spazi temporali per ottenere il risarcimento già riconosciuto! 

Avv. Roberto Carniel – Studio Comite

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