lunedì 18 novembre 2013

L’ASSASSINO FINISCE IN CARCERE MA SE NON HA SOLDI IL RISARCIMENTO LO PAGA LO STATO ITALIANO



La notizia della condanna a trent’anni di reclusione per Lucio Niero, piccolo imprenditore, sposato con moglie e figli, ritenuto colpevole dell’omicidio della ventiduenne Jennifer Zacconi con cui aveva avuto una breve relazione dalla quale era seguito il concepimento di un bimbo, sepolta in una buca quando era ancora viva e al nono mese di gravidanza, ha fatto un certo clamore sia per l’efferatezza dell’assassinio sia per la statuizione relativa al risarcimento contenuta nella sentenza dei giudici romani. Il Tribunale capitolino ha, infatti, stabilito che il risarcimento del danno, pari a ottantamila euro, dovuto ad Anna Maria Giannone, madre della vittima, dovrà essere versato da Palazzo Chigi in virtù dell’inadempimento dello Stato italiano a quanto stabilito nella direttiva europea 2004/80/CE la quale prevede l’obbligo per lo Stato italiano di approntare un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti qualora il colpevole non sia in grado di risarcire il danno. E’ interessante capire nel dettaglio cosa prevede questa direttiva…


LA SENTENZA NON E’ UNA NOVITA’ Innanzitutto va precisato che la sentenza, contrariamente a quanto si può pensare, non è innovativa. Il “leading case” è infatti del Tribunale di Torino che il 3 maggio del 2010 con decisione n. 3145, previo riconoscimento dell’inadempimento del Governo italiano nell’attuazione delle disposizioni dell’art. 12, comma 2, della direttiva 2004/80/CE, in accoglimento della domanda formulata dai genitori di una bimba di dieci anni vittima del reato di violenza sessuale compiuto da stranieri risultati poi latitanti, ha condannato la Presidenza del Consiglio al risarcimento del danno. Responsabile dell’attuazione delle direttive della Comunità Europea è, infatti, il Governo che non ha compiutamente recepito la cogente normativa di indirizzo sovranazionale.

IL GIUDICE HA RIBADITO UN PRINCIPIO già enunciato, stabilendo che “la Repubblica Italiana non ha integralmente adempiuto all’obbligo di conformarsi alla direttiva, nella parte in cui impone l’adozione di sistemi di indennizzo nazionali, poiché lo Stato si è limitato a regolare (peraltro tardivamente) la procedura per l’assistenza alle vittime di reato, commesso in un altro Stato membro, le quali risiedano in Italia, ma non è stato dato seguito a quella parte della direttiva che imponeva agli Stati membri di provvedere a che la normativa interna prevedesse un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, entro il termine del 1.7.2005. Se è, infatti, vero che sussistono numerose norme interne volte ad assicurare, anche in forma indennitaria, la tutela delle vittime di reati violenti commessi nel territorio dello Stato italiano (ad es., in materia di reati di criminalità organizzata di stampo mafioso o di terrorismo) - evidenzia il giudice – è anche vero che in Italia non esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalità comune”. 

L’EUROPA E’ ATTENTA ALLA TUTELA DELLE VITTIME Le istituzioni europee prestano attenzione alla tutela delle vittime di reati violenti già da molto tempo e infatti in tale ambito sono state promulgate:

Convenzione del Consiglio d’Europa relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti  (Strasburgo, 24 novembre 1983).
Decisione-quadro n. 2001/220/GAI del 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale: ha lo scopo di garantire alle vittime dei reati la partecipazione informata e protetta nei procedimenti penali e far ottenere alla vittima entro un ragionevole lasso di tempo una decisione relativa al risarcimento a carico dell’autore del fatto illecito e salvo che il diritto nazionale preveda altre forme di risarcimento.
Direttiva comunitaria n. 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 che stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere e che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, considerato che “le vittime di reato, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall’autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito”. 

COSA PREVEDE LA DIRETTIVA La Direttiva prevede, dunque, all’art. 12, che “tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime”. Inoltre, la Direttiva prevede che il risarcimento sia, nella pratica, facilmente accessibile, indipendentemente dal luogo dell’UE in cui un cittadino sia vittima di un reato, mediante la creazione di un sistema di cooperazione tra autorità nazionali operativo dal 1° gennaio 2006, fatta eccezione per l’art. 12, paragrafo 2, per il quale tale data è fissata al 1° luglio 2005.

MA LA CONVENZIONE EUROPEA IN ITALIA NON E’ MAI STATA RATIFICATA Quanto alla Convenzione europea, distinguendosi rispetto a ben 21 altri Paesi membri del Consiglio d’Europa, l’Italia non l’ha mai ratificata, con la conseguenza che nel nostro ordinamento non ha mai trovato piena applicazione il principio di base del testo pattizio, contenuto all’art. 2, par. 1: “qualora nessuna riparazione possa essere interamente garantita da altre fonti, lo Stato deve contribuire a risarcire sia coloro che hanno subito gravi pregiudizi al corpo o alla salute causati direttamente da un reato violento intenzionale, sia coloro che erano a carico della persona deceduta in seguito a un tale atto”. Il medesimo articolo, al par. 2, prevede poi che il risarcimento di cui nel paragrafo precedente “è accordato anche se l’autore non può essere perseguito o punito”.

DECISIONI QUADRO E DIRETTIVE IGNORATE Ignorate anche la Decisione-quadro e la Direttiva 2004/80, nei confronti delle quali, a differenza della Convenzione del Consiglio d’Europa, sussiste per l’ordinamento italiano un obbligo di adeguamento. Nel caso della Direttiva, la sua parziale attuazione è avvenuta, tardivamente, tramite il Decreto Legislativo 9 Novembre 2007, n. 204 ma, come evidenziato dalla sentenza in commento, ha riguardato solo la procedura per l’assistenza alle vittime di reato commesso in un altro Stato membro che risiedano in Italia. Il Decreto prevede, peraltro, una copertura finanziaria decisamente minima. 

LA CASSAZIONE INVECE HA ACCOLTO I PRINCIPI DI RESPONSABILITA’ A livello nazionale, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (ex multis, Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza del 17 aprile 2009, n. 9147; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza dell’11 marzo 2008, n. 6427), ha recepito i principi su cui si fonda la responsabilità degli Stati membri per la mancata attuazione delle direttive affermati dalla Corte di Giustizia CE (sentenza Brasserie du pecheur SA c. Repubblica federale di Germania e The Queen e Secretary of State for Trasport c. Factortame LTD, Corte di Giustizia CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93) secondo cui:

- “nell’ipotesi in cui una violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro sia imputabile al legislatore nazionale che operi in un settore nel quale dispone di un ampio potere discrezionale in ordine alle scelte normative, i singoli lesi hanno diritto al risarcimento qualora la norma comunitaria violata sia preordinata ad attribuire loro diritti, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito dai singoli

- “il giudice nazionale non può, nell’ambito della normativa che esso applica, subordinare il risarcimento del danno all’esistenza di una condotta dolosa o colposa dell’organo statale al quale è imputabile l’inadempimento, che si aggiunga alla violazione manifesta e grave del diritto comunitario

- “il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento

- “subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro urterebbe contro il principio dell’effettività del diritto comunitario, poiché tale presupposto porterebbe ad escludere qualsiasi risarcimento tutte le volte che il preteso inadempimento non abbia costituito oggetto di un ricorso proposto dalla Commissione ai sensi dell’art. 169 del Trattato e di una dichiarazione di inadempimento pronunciata dalla Corte

L’INADEMPIMENTO E LA RESPONSABILITA’ CIVILE Alla luce di quanto sopra esposto, è evidente che l’inadempimento dello Stato italiano presenta tutte le caratteristiche per concretizzare una responsabilità civile verso tutte le vittime di reati internazionali violenti impossibilitate ad usufruire del meccanismo di indennizzo statale introdotto dal Legislatore comunitario con la Direttiva 2004/80/CE. In altre parole: lo Stato non ha fatto quel che doveva istituendo un sistema indennitario a favore di questi particolari soggetti e quindi essendo responsabile dei propri atti (anche omissivi) paga lui.

TUTELE E GARANZIE SOLO SE LE DIRETTIVE VENGONO PIENAMENTE RECEPITE E’ chiaro che se la Direttiva fosse stata pienamente recepita, le vittime di reati violenti avrebbero, anche all’interno dello Stato italiano, un sistema di tutela capace di garantire loro, in tempi rapidi, un risarcimento nel caso l’autore del fatto-reato non fosse in grado di provvedere al ristoro dei danni o non fosse identificato o ancora perseguibile. Non avendo, invece, provveduto, le vittime sono costrette a sopportare lunghi giudizi a conclusione dei quali lo Stato italiano potrebbe essere chiamato a rispondere, come già avvenuto nei due casi summenzionati, dei danni sopportati dalle vittime stesse a causa del vuoto legislativo che non ha provveduto a colmare e quindi a scopo sanzionatorio. La differenza non è di poco conto poiché finanziariamente significa che gli importi che lo Stato viene condannato a pagare oggi per inadempienza gravano, di fatto, sulle tasche di tutti i bravi contribuenti italiani che invece rispettano le regole. 

E LA CASSA DELLE AMMENDE? Qualora al contrario lo Stato italiano si fosse conformato al principio, peraltro onorevole e giusto, e avesse dato compiuta esecuzione alla direttiva in questione determinando anche i criteri di reperimento dei fondi necessari a coprire le richieste delle vittime, avremmo all’interno del nostro sistema normativo né più né meno di un Fondo di solidarietà cui attingere tutte le volte in cui le vittime di reati violenti, avvenuti sul territorio nazionale, non possano aspettarsi nulla a titolo risarcitorio dall’autore del fatto illecito. Sarebbe, dunque, auspicabile che al pari di quanto è avvenuto per l’istituzione di altri Fondi (si pensi a quello per le vittime della strada) il Governo italiano si adeguasse alle disposizioni comunitarie prevedendo ad esempio la possibilità di attingere i finanziamenti proprio dalle diarie giornaliere erogate ai detenuti per il lavoro dagli stessi prestato all’interno delle strutture carcerarie o, ancora, attingendo i finanziamenti dalla Cassa delle Ammende

Sarebbe, dunque, come dire, nel rispetto di un vecchio adagio popolare, che “Chi sbaglia paga… di tasca propria e non con il portafoglio degli onesti”. Meditate gente, meditate!!!!