venerdì 15 novembre 2013

FIGLI CONTESI: ANCHE SE L'HA DECISO IL GIUDICE NON TE LI FACCIO NE' SENTIRE NE' VEDERE

Kramer contro Kramer (1979)

Mi capita piuttosto di frequente di rappresentare papà separati che lamentano la violazione del diritto dei propri figli a godere pienamente della presenza del genitore che non coabita stabilmente con loro. Mi raccontano, che la violazione si manifesta il più delle volte attraverso una condotta finalizzata ad impedire che i piccoli li frequentino regolarmente o che li sentano telefonicamente con assiduità e, ancora, rendendo loro difficile, se non impossibile, la partecipazione alla vita scolastica e alle attività ludiche e sportive dei bambini. Le modalità sono le più svariate: c’è chi decide arbitrariamente di trasferirsi in altra città inventandosi le storie più fantasiose per tentare di dare ragionevolezza alla propria scelta; chi invece…


…nel momento in cui il papà chiama al telefono, si cimenta a riferire, guarda caso, che i figli sono nell’ordine:

a) nella vasca da bagno; 
b) a fare il doveroso sonnellino del dopo pranzo, (alle 18,00!!!); 
c) a fare i compiti con l’insegnante di sostegno che d’abitudine conteggia anche i secondi di presenza (pensa tu!) e via dicendo.

Per farla breve si rivolgono all’avvocato per tutelare il diritto dei loro pargoli a coltivare il necessario rapporto parentale anche con l’altro genitore (quello che di fatto nel pensiero comune è considerato secondario, specie se i figli hanno meno di tre anni). Le sentenze e gli strumenti attraverso cui realizzare tale obiettivo non mancano e mi piacerebbe rammentarli, cogliendo spunto da una recente sentenza della Suprema Corte.

NON DISATTENDERE I PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE La sentenza menzionata riguarda il caso di una donna che, senza far ricorso all’impugnativa della decisione assunta nel giudizio di separazione, ha disatteso i provvedimenti del giudice, violando il diritto-dovere di visita del padre e quello del minore di godere dell’affetto e della presenza paterna, trasferendosi in Sicilia (circa 1.400 km più a sud del luogo adibito a residenza della famiglia) in spregio di quanto indicato sia nei provvedimenti provvisori sia nella sentenza che stabiliva appunto la possibilità per il padre di far visita alla figlia di otto mesi presso la casa familiare di Capriana (TN) anche durante i giorni della settimana. Il papà della piccola provvedeva, dunque, a denunciare la ex moglie che veniva ritenuta colpevole sia in primo sia in secondo grado. 

LA CASSAZIONE SOTTOLINEA Su ricorso della madre i giudici della Suprema Corte (Cassazione Penale, Sezione IV, Sentenza del 23 ottobre 2013, n. 43292) hanno rigettato tutte le domande della stessa e sottolineato che “l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l’affidamento di minori può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la “frustrazione” delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo, quando questi siano finalizzati ad ostacolare ed impedire di fatto l’esercizio del diritto di visita e di frequentazione della prole” (nello stesso senso si sono espresse Cassazione Penale, Sezione VI, Sentenza del 16 settembre 2010, n. 33719 caso in cui vi erano stati frequenti e non comunicati spostamenti del luogo di dimora senza preavviso al marito separato non affidatario; Cassazione Penale, Sezione VI, Sentenza dell’11 giugno 2009, n. 32846). 

IN ALTRE PAROLE ciò significa che anche “l’impedire” (atteggiamenti di mero carattere omissivo), vanificando l’attuazione dei provvedimenti giudiziali, integra la sussistenza della fattispecie di reato prevista e punita dall’art. 388 del codice penale che sanziona appunto la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. Quale logica conseguenza ne discende che il genitore con il quale il minore coabita ha il dovere, nell’interesse della prole, non solo di non impedire ma anche di agevolare l’altro nell’esercizio del diritto-dovere di visita. Oltre a verificare la sussistenza degli elementi che caratterizzano il reato in questione, i giudici non hanno mancato di evidenziare che la sentenza dei giudici penali di seconde cure andava confermata, in funzione “dell’utile perseguimento dell’interesse di una bambina di otto mesi, che, laddove allontanata per lunghi periodi dalla figura paterna, avrebbe finito col sopportare effetti irreversibili nel funzionale rapporto con la figura paterna, di fatto esclusa per la condotta della madre”. Va sottolineato che la mamma in questione, peraltro, non aveva neppure tentato di trovare un accordo con l’ex marito decidendo di fatto arbitrariamente il trasferimento, infischiandosi palesemente della parità genitoriale introdotta dalla Legge 54/2006 che impone che i genitori debbano concordare le decisioni di maggiore interesse che riguardino i figli. E’ stata, dunque, giustamente ritenuta colpevole del reato ascrittole e condannata al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, a titolo punitivo e sanzionatorio, di 1.000 euro alla Cassa delle Ammende.

CI SONO ALTRI STRUMENTI DI TUTELA La denuncia della violazione del disposto di cui all’art. 388 del codice penale è, tuttavia, non è l'unico strumento messo a disposizione di un genitore che non riesce ad ottenere nel proprio ma soprattutto nell’interesse dei figli, il rispetto di quanto stabilito dal Tribunale, nel caso di separazione consensuale, o di quanto disposto nella sentenza di separazione o divorzio o in generale di quanto stabilito dai giudici nell’interesse dei minori. La Legge n. 54/2006, in tema di affido condiviso, ha introdotto, infatti, nel nostro codice processuale civile l’art. 709 ter “Soluzioni delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni”, che oltre a disciplinare le modalità di intervento per la soluzione di conflitti che insorgono tra genitori in relazione all’esercizio della potestà sui figli, provvede anche a stabilire quali provvedimenti possono essere assunti in caso di violazioni (quali ad esempio ostacoli frapposti alla frequentazione con i figli, ma anche, all’opposto, discontinuità da parte del genitore non abita con i figli nell’esercizio del diritto-dovere di visita della prole) o gravi inadempienze (si pensi ad esempio alla mancata contribuzione totale o parziale al mantenimento), che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento. 

IL GIUDICE PUO’ MODIFICARE I PROVVEDIMENTI In tale ipotesi il giudice, dopo aver accertato quanto sopra ascoltando personalmente i genitori o attraverso un’istruttoria assunta senza particolari formalità, può modificare i provvedimenti in vigore e adottare una delle misure coercitive e punitive previste dal comma 2 della disposizione in questione. Il giudice potrà dunque:

1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di euro 75 a un massimo di euro 5.000 a favore della Cassa delle ammende.

MA GLI INTERESSI DEI MINORI VENGONO SEMPRE PRIMA DI TUTTO Importante sottolineare che non tutte le inadempienze potranno formare oggetto di intervento da parte del giudice ma solo quelle ritenute gravi con riferimento al particolare interesse del minore. Quanto alle violazioni il giudice prenderà in considerazione soltanto quelle che arrechino pregiudizio alla prole o che ostacolino la realizzazione delle modalità dell’affidamento. Il provvedimento più immediato e applicato è quello di modifica delle modalità non a scopo punitivo del genitore che non ha adempiuto ma avendo sempre presente l’interesse dei figli. Ne deriva che se il giudice, pur in presenza di inadempimenti o violazioni, ritiene comunque rispondente all’interesse del minore rimanere collocato presso il genitore non ottemperante non può revocare l’affidamento ma solo ricorrere ad una delle altre soluzioni previste.

UN RISARCIMENTO PUNITIVO-DETERRENTE. L’elemento più interessante contenuto nel procedimento disciplinato dall’art. 709 ter del codice di procedura civile, che può concorrere con il giudizio penale per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, è comunque la previsione di un risarcimento a favore del minore o dell’altro genitore. Sulla natura di tale risarcimento non vi è uniformità di pareri in giurisprudenza. Molti autori tuttavia sembrano propendere per la funzione punitivo-deterrente della norma. Non è questa la sede per evidenziare ciò di cui si dibatte nei Tribunali, è opportuno invece sottolineare che determinate condotte, magari reiterate, che siano di pregiudizio ed incidano sulla vita dei minori e dell’altro genitore, per opinione ormai comune giustificano il ricorso alla richiesta di risarcimento come rimedio e questo appare oltre che coerente a quanto stabilisce la norma, anche adeguato a soddisfare le legittime aspettative di tutela da parte di soggetti che reclamano la lesione di diritti.