lunedì 25 novembre 2013

E SE L'ERRORE LO COMMETTE LA PROF?



Sono sempre stata molto vicina alle vicende degli studenti-adolescenti, per simpatia per affetto, forse perché il pensiero corre ad uno dei momenti più belli della vita, periodo in cui gli individui che hanno la fortuna di vivere quest’esperienza, maturano le emozioni più forti, i sentimenti più veri, di amore o di odio che siano. E’, tuttavia, anche il periodo dell’esistenza in cui si è più vulnerabili. L’incontro-scontro con il mondo adulto, la lotta interiore quotidiana tra la sfida e il rispetto di un ruolo, quello dell’insegnante, anch’esso persona, che rappresenta in uno la guida e l’aspettativa di ricevere conoscenza, risposte, comprensione e disponibilità all’ascolto. Di recente mi è successo di raccogliere un racconto, quello di una madre che mi chiedeva consiglio sull’opportunità di denunciare una docente, forse più per dare un segnale di accoglienza del disagio vissuto dalla propria figlia, appunto studentessa di seconda liceo, che per volontà di perseguire una condotta illegittima...


LA STUDENTESSA: “MAMMA HO PRESO 3, MA SI TRATTA SICURAMENTE DI UN ERRORE”… Oggi è possibile conoscere, quasi in tempo reale, attraverso il Registro Elettronico, che una parte degli istituti scolastici ha già reso operativo in base al processo di digitalizzazione che interessa molti settori della pubblica amministrazione, i risultati conseguiti nonché i provvedimenti o le annotazioni disciplinari assunte nei confronti dei nostri ragazzi. Ebbene la mia assistita, che beninteso si era rivolta a me per motivi estranei alla vicenda di cui sto riferendo, mi dice che qualche settimana prima aveva rilevato nel suddetto registro un “tre”, non ricordo in quale materia, che la figlia avrebbe preso poche ore prima del momento in cui il voto veniva visualizzato. Chiaramente al rientro a casa si era preoccupata di chiedere spiegazioni alla ragazza, che per dirla tutta aveva un andamento discontinuo e che era già stata invitata a mantenere un impegno più costante al fine di evitare una bocciatura. La ragazza sbigottita e sorpresa non era tuttavia in grado di fornire spiegazioni; già prostrata per i risultati non eccessivamente brillanti di cui doveva dar conto alla madre, rassicurava la stessa riferendo che sicuramente si trattava di un errore e che il giorno successivo si sarebbe curata di chiarire con l’insegnante. 

LA PROF: “SE RISULTA UN 3, TE LO SARAI MERITATO, STUPIDA SACCENTE!”… La madre continua, dunque, il suo racconto dicendo che la ragazza il giorno successivo, prima che iniziasse la lezione educatamente faceva rilevare alla docente che, probabilmente per errore, risultava sul registro che lei avesse preso un tre che non aveva riscontro in nessuna verifica orale o scritta. L’insegnante, a fronte della richiesta di verifica e ascolto da parte dell’alunna, rispondeva alla fanciulla alla presenza degli altri compagni, pronunciando la frase che segue: “se risulta un “tre” te lo sarai meritato e non permetterti di mettere in discussione il mio operato, stupida, saccente, arrogante”. La signora riferiva di aver verificato il racconto della figlia sia con i compagni sia con la stessa insegnante rilevando coerenza sebbene, ovviamente, la professoressa avesse negato di aver proferito quegli epiteti ingiuriosi nei confronti della ragazza. Mi chiedeva dunque quale fosse la modalità più opportuna per tutelare la figlia, caduta in un profondo stato di malessere, considerata la posizione di fatto dominante della scuola e dell’insegnante che avrebbe potuto rendere veramente difficile la vita scolastica futura della ragazza. 

CHIUNQUE OFFENDE L’ONORE E IL DECORO DI UNA PERSONA E’ PUNITO Occorre evidenziare innanzitutto che l’ingiuria è un delitto contro la persona che tutela l’onore. La fattispecie delittuosa è disciplinata dall’articolo 594 del codice penale che, al suo primo comma, così recita: “Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516”. Il soggetto attivo del reato di cui si discute può dunque essere chiunque, trattandosi di reato comune che può essere commesso contro qualsiasi persona, indipendentemente dalle qualifiche e condizioni soggettive possedute. La condotta incriminata consiste nell’offesa all’onore e al decoro della persona, ovvero in una manifestazione di disprezzo. Il comportamento offensivo deve essere posto in essere in presenza del soggetto passivo (così si è espressa recentemente la Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza dell’11 settembre 2013, n. 37301).

ESISTE ANCHE UNO STATUTO Si deve rammentare che lo “Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria” (Decreto del Presidente della Repubblica del 24 giugno 1998, n. 249 successivamente modificato e integrato dal Decreto del Presidente della Repubblica del 21 novembre 2007, n. 235) all’art. 1 (Vita della comunità scolastica) prevede che:

La scuola è luogo di formazione e di educazione mediante lo studio, l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della coscienza critica.

La scuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia fatta a New York il 20 novembre 1989 e con i principi generali dell’ordinamento italiano.

La comunità scolastica, interagendo con la più ampia comunità civile e sociale di cui è parte, fonda il suo progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni insegnante-studente, contribuisce allo sviluppo della personalità dei giovani, anche attraverso l’educazione alla consapevolezza e alla valorizzazione dell’identità di genere, del loro senso di responsabilità e della loro autonomia individuale e persegue il raggiungimento di obiettivi culturali e professionali adeguati all’evoluzione delle conoscenze e all’inserimento nella vita attiva.

La vita della comunità scolastica si basa sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale.

All’art. 3 (Doveri) è previsto poi che:

Gli studenti sono tenuti ad avere nei confronti del capo d’istituto, dei docenti, del personale tutto della scuola e dei loro compagni lo stesso rispetto, anche formale, che chiedono per se stessi.

Nell’esercizio dei loro diritti e nell’adempimento dei loro doveri gli studenti sono tenuti a mantenere un comportamento corretto e coerente con i principi di cui all’art.1.

All’art. 4 (Disciplina) è inoltre stabilito che:

In nessun caso può essere sanzionata, né direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità.

LA GIURISPRUDENZA STABILISCE Secondo una pronuncia della Suprema Corte commette reato di ingiuria l’insegnante che in risposta a un alunno che si limita a criticare in modo corretto e pacato la sua condotta contestandole una mancanza di trasparenza nelle sue valutazioni, risponde pronunciando l’espressione “non sei una persona perbene, sei presuntuoso e ignorante”. Nelle motivazioni di diritto peraltro si legge : “Dalle testimonianze, non è stato ricavato alcun comportamento offensivo del giovane A., che, in qualità di rappresentante di classe, si è limitato a criticare — correttamente e pacatamente - la condotta dell’insegnante, contestandole una non coerente interpretazione del concetto di trasparenza nelle sue valutazioni, non comunicando a un discepolo, con la richiesta tempestività, l’esito della prova orale. Secondo i giudici di merito, è stata proprio questa corretta e pacata critica all’origine della non corretta e non pacata critica dell’insegnante, che ha violato regole deontologiche e di diritto penale” (Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza del 18 giugno 2010, n. 23693).

E SUCCESSIVAMENTE CONFERMA In altra pronuncia più recente la Cassazione ha confermato la condanna, intervenuta sia in primo grado sia in appello, di una docente per aver commesso il reato di ingiuria, a nulla valendo il tentativo di difesa imperniato sul diritto di critica cui sarebbe legittimato l’insegnante nell’esercizio della sua attività di docenza. Infatti nella sentenza si legge: “Non va dimenticato che nel caso in esame l’imputata, insegnante di G..L., avrebbe definito lo studente non solo un “asino” (epiteto che potrebbe, in linea di principio, riconnettersi ad una manifestazione critica sul rendimento del giovane, con finalità correttive), ma anche un bugiardo, un handicappato e una nullità: espressioni obiettivamente denigratorie e indicative di volontà offensiva in capo a chi ebbe ad usarle, tanto più se con l’aggiunta che il profitto scolastico del L. doveva ritenersi ingiustamente condizionato in positivo da chissà quale interessamento della di lui madre”. Nel prosieguo si legge ancora che in tema d’ingiuria perché il comportamento non sconfini nell’insulto “occorre che le espressioni usate individuino gli aspetti censurabili del comportamento stesso, chiariscano i connotati dell’errore, sottolineino l’eventuale trasgressione realizzata. Se invece le frasi usate, sia pure attraverso la censura di un comportamento, integrino disprezzo per l’autore del comportamento, o gli attribuiscano inutilmente intenzioni o qualità negative e spregevoli, non può sostenersi che esse, in quanto dirette alla condotta e non al soggetto, non hanno potenzialità ingiuriosa” (Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza del 22 gennaio 2013, n. 3197)

L’INSEGNANTE VA RIPRESA E RIMOSSA DAL SUO INCARICO Premesso quanto sopra, sia avendo riguardo alle disposizioni normative sia in relazione alle decisioni dei giudici, e rammentando sempre il ruolo rilevante che gli insegnanti e la scuola svolgono nella crescita e nell’educazione dei nostri giovani, non solo a livello di istruzione, ma anche come maestri di vita, ho ritenuto di consigliare alla mia assistita di rivolgersi innanzitutto al superiore in grado dell’insegnante affinché fosse messo a conoscenza dell’accaduto, richiedendo allo stesso che, svolti gli opportuni accertamenti e sentito il consiglio di classe e d’istituto, venissero assunti provvedimenti disciplinari nei riguardi della docente. Quanto alla denuncia della condotta illegittima all’autorità giudiziaria, ho ritenuto di indicare alla signora un tempo ragionevole di attesa, senza dimenticare i termini indicati dalla legge, al fine di verificare le reazioni del dirigente scolastico, della scuola e dell’insegnante stessa, con l’auspicio che quest’ultima in particolare desse segni di resipiscenza. Vi è da dire, tuttavia, che quando alcuni soggetti si sentono legittimati ad assumere una certa condotta nei riguardi dei loro sottoposti difficilmente mutano atteggiamento, salvo che non vengano indirizzati autorevolmente ad un riordino e a una riorganizzazione delle relazioni e, quindi, del loro modo di approcciarsi al mondo e agli individui, nella specie a persone che stanno crescendo e che necessitano di modelli sani. Modelli capaci di responsabilizzare e di trasmettere l’importanza dell’ascolto imparziale finalizzato alla costruzione di un legame e di una relazione utile non solo dal punto di vista dell’insegnamento della disciplina ma anche quale valido punto di riferimento per i problemi dell’esistenza.

Concludo con una citazione di Thomas Gordon, psicologo clinico, che ha contribuito in modo notevole all’esame della relazione insegnante-alunno. Egli diceva “ … più importante di ciò che si sta insegnando è il modo in cui l’insegnamento viene impartito”.