martedì 25 giugno 2013

E' OMICIDIO COLPOSO SE IL MEDICO DIMETTE IL PAZIENTE SENZA CONSIDERARE DECISIONI ERRONEE



Il caso: un paziente muore a causa di un arresto cardiocircolatorio in seguito a un'occlusione intestinale dovuta a residui di liquido di contrasto, ingerito in occasione di un esame radiologico prima di un intervento chirurgico.  Nonostante presentasse dolori, nausee e assenza di canalizzazione a distanza di cinque giorni dall’intervento chirurgico, il paziente era stato dimesso.

Nuovamente ricoverato, a distanza di ulteriori cinque giorni dalla dimissione, con diagnosi di shock ipovolemico, grave acidosi metabolica ed addome acuto da occlusione intestinale, decede dopo poche ore nonostante le cure approntate in urgenza ed il nuovo intervento che aveva accertato la presenza di “anse ileali abnormemente dilatate, alcune in preda ad insufficienze vascolari, un’ansa in prossimità di quella chiusa per ileostomia aderente e stenotica”. 

In primo grado il G.U.P. del Tribunale di Termini Imerese condanna il dirigente medico in servizio presso la divisione chirurgica dell’Ospedale, per non aver promosso le opportune indagini diagnostiche volte ad accertare gli eventuali residui intestinali di bario e nell’aver dimesso il paziente quando ancora presentava sindrome dolorosa ed assenza di canalizzazione; pena sospesa e risarcimento del danno a favore dei familiari della vittima. 

In secondo grado la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 22/09/2012, conferma le statuizioni di primo grado. Il dirigente medico impugna in Cassazione assumendo il difetto di legge ed il vizio motivazionale, ribadendo che non poteva essergli ascritta alcuna responsabilità in quanto non aveva fatto parte dell’equipe medica che aveva operato il sig. XXX, né lo aveva seguito nel decorso post operatorio. Infine assumeva che l’attività di reparto e/o quella effettuata durante il periodo di degenza non basta a generare specifica responsabilità al momento della dimissione. 

La Cassazione Penale, IV Sez., nella sentenza n. 26966 pubblicata il 20 giugno 2013, ha rigettato il ricorso dell’imputato ed ha stabilito che “A tutto concedere il dott. ZZZ il quale prese parte alla visita collegiale che determinò la dimissione del paziente, davanti ad una determinazione presa dal Direttore del reparto, che egli non trovava condivisibile, era tenuto ad esprimere formalmente il proprio dissenso, manifestandone le ragioni (sul punto Cass. Pen., sez. IV, del 17/11/1999 n. 556)”, e quindi “il medico che insieme al direttore del reparto compie attività sanitaria non può pretendere di essere sollevato da responsabilità ove ometta di differenziare la propria posizione, rendendo palesi i motivi che lo inducono a dissentire dalla decisione eventualmente presa dal direttore”. 

La sentenza spiega, infatti, che “tenuto conto degli interessi primari da salvaguardare e delle qualificate e specifiche competenze professionali dei protagonisti, non può affatto ritenersi che il medico, chiamato allo svolgimento di funzioni sanitarie, possa venir meno al dovere primario di assicurare, sula base della miglior scienza di settore, le migliori cure ed attenzioni al paziente, in base ad un male interpretato dovere di subordinazione gerarchica”. 

Infine gli ermellini, avendo il medico preso parte alla visita collegiale di dimissioni ed avendo finanche scritto di suo pugno il giudizio di dimissione, hanno ribadito che la responsabilità per colpa sorge quando il medico ha a disposizione tutte le informazioni ed i dati clinici relativi alle condizioni di salute del paziente, cioè di tutti i dati che avrebbero consentito di segnalare l’inopportunità delle dimissioni ed il rischio di complicazioni. Infatti, secondo quanto disposto dall’art. 40 del codice penale “non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.