lunedì 17 marzo 2014

PERDITA DELLA VITA: DANNO RISARCIBILE? ADESSO SI! (FINALMENTE E SENZA CONDIZIONI)



Dopo molte riflessioni e non prima di averne esaminato con attenzione il contenuto ho ritenuto doveroso, giuridicamente e umanamente, unirmi al coro di applausi che hanno accolto la sentenza, n. 1361, resa dalla III Sezione della Cassazione civile, depositata il 23 gennaio scorso, magistralmente presieduta dal Dott. Libertino Alberto Russo e relazionata dal consigliere, Dott. Luigi Alessandro Scarano, che, riconoscendo la risarcibilità del danno da morte (c.d. danno tanatologico, dal greco thànatos = “morte”, e lògos = “discorso” o “studio”) o perdita della vita, oltre a costituire un passaggio epocale nella storia della responsabilità civile e del complesso ambito della risarcibilità dei danni, rappresenta a mio giudizio, e di molti altri tecnici del diritto (ma non tutti), un segno tangibile che il pensiero dell’uomo evolve e che il giurista deve talvolta coraggiosamente disancorarsi dalle interpretazioni e dai sistemi ormai superati e affiancarsi al comune sentire; e ciò anche se tale gesto rappresenta uno stravolgimento che, indubbiamente, da taluni, viene e verrà letto come una forzatura giuridica proprio perché traccia una pacata, per il linguaggio e le espressioni utilizzate, ma al contempo decisa rottura rispetto ai massimi sistemi delineati dalla tradizione. Una pronuncia che ha già fatto discutere e della quale molto ancora si dirà, in aperto contrasto, lasciatemi dire, con l’incomprensibile politica assunta dai nostri governanti finalizzata a ridurre, e in taluni casi addirittura annullare, decenni di faticose battaglie intraprese, da noi avvocati e dai nostri patrocinati, per il riconoscimento dei diritti dei danneggiati e dei loro congiunti. A questo punto è giusto capire in che senso la decisione in questione sia unica e rivoluzionaria rispetto al passato... 


L’INNOVATIVA DECISIONE E’ GIA’ STATA CONFERMATA a distanza di qualche settimana, da altra pronuncia resa dalla medesima Sezione III, sotto forma di ordinanza (Cassazione civile, Sezione III, ordinanza del 4 marzo 2014, n. 5056), presieduta dallo stesso Dott. Libertino Alberto Russo e relazionata, questa volta, dal dott. Giacomo Travaglino. In tale ultimo provvedimento viene sottolineato, appunto, come la pronuncia n. 1361/2014 sia pervenuta ad una conclusione diversa rispetto alle precedenti impostazioni elaborate sia dagli studiosi del diritto sia dai giudici del merito, sulla premessa secondo la quale “la perdita della vita non può lasciarsi, invero, priva di tutela (anche) civilistica”, poiché “il diritto alla vita è altro e diverso dal diritto alla salute”. Ciò significa che assume rilievo giuridico non più soltanto la lesione del bene salute ma anche la perdita della vita stessa e, dunque, parafrasando le espressioni utilizzate dai supremi giudici, la sua risarcibilità assume rilevanza autonoma poiché l’essenza stessa della perdita della vita è cosa diversa dalla lesione del bene salute, e costituisce un’eccezione al principio che impone la risarcibilità dei soli danni-conseguenza.

E NECESSITA DI ESSERE CHIARITA RISPETTO ALL’ORIENTAMENTO PIU’ ANTICO Nell’ordinanza del 4 marzo gli ermellini in virtù dell’importanza della tematica, hanno, dunque, correttamente ritenuto di rimettere gli atti al Primo Presidente, dott. Giorgio Santacroce, perché valutasse l’opportunità di assegnare il ricorso alle Sezioni Unite allo scopo di definire e precisare, per imprescindibili ragioni di certezza del diritto e in virtù dei contrastanti orientamenti (quello tradizionale e quello innovativo stabilito dalla decisione n. 1361 del 23 gennaio scorso) il tema della risarcibilità in capo agli eredi, ovvero iure haereditario, del danno da morte immediata.

L’ORIENTAMENTO TRADIZIONALE sulla scia di una pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte decisamente risalente (Cassazione a Sezioni Unite, n. 3475 del 1925) sostiene la non risarcibilità per via ereditaria del danno conseguente alla perdita immediata della vita in conseguenza di un fatto illecito altrui, determinatosi per esempio in occasione di un incidente stradale o di errore medico o infortunio sul lavoro, poiché la parte offesa, non esistendo più, non può acquistare alcun diritto al risarcimento, e quindi non può trasferirlo agli eredi (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 24 marzo 2011, n. 6754; Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 7 giugno 2010, n. 13672; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 13 gennaio 2006, n. 517; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 25 gennaio 2002, n. 887; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 29 novembre 1999, n. 13336; Cassazione civile Sezione III, Sentenza del 20 gennaio 1999, n. 491; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 25 febbraio 1997, n. 1704). Tale principio era stato, peraltro, confermato dalla Corte Costituzionale che, con decisione n. 372 del 1994, aveva escluso profili di illegittimità costituzionale dell’art. 2043 del codice civile in relazione al c.d. danno biologico da morte avuto riguardo al limite strutturale della responsabilità civile per il quale sia l’oggetto del risarcimento sia la liquidazione del danno devono riferirsi non alla lesione per sé stessa, ma alle conseguenti perdite che la persona offesa sopporta. Ciò significa che, a giudizio dei magistrati della Consulta, il danno biologico, quale lesione del diritto alla salute, presuppone necessariamente la permanenza in vita del soggetto leso, in condizioni di menomata integrità psico-fisica, tali da non consentirgli la piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, sicché la configurabilità del detto danno e la trasmissibilità agli eredi del relativo diritto di credito risarcitorio devono escludersi quando la morte segua l’evento lesivo a distanza di tempo talmente ravvicinata da rendere inapprezzabile l’incisione del bene salute. 

IN TEMPI PIÙ RECENTI continua la disamina del dott. Travaglino contenuta nell’ordinanza di rimessione al Primo Presidente, la giurisprudenza si è spinta ad affermare la trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale consistito nella sofferenza morale provata tra l’infortunio e la morte solo se, in tale periodo di tempo, la persona sia rimasta lucida e cosciente; la questione era stata affrontata approfonditamente e in tali termini nella decisione n. 26972 del 2008, con la quale le Sezioni Unite, ebbero modo di affermare che la costante giurisprudenza di legittimità, da una parte nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 13 gennaio 2006, n. 517; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 25 gennaio 2002, n. 887; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 29 novembre 1999, n. 13336; Cassazione civile Sezione III, Sentenza del 20 gennaio 1999, n. 491; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 25 febbraio 1997, n. 1704), e d’altra parte lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 9 marzo 2004, n. 4754; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 16 giugno 2003, n. 9620; Cassazione civile Sezione III, Sentenza del 30 giugno 1998), ed a questo lo commisura, osservando poi come venga in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo: sofferenza che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno morale. Ancora l’estensore della sentenza del 4 marzo (n. 5056/2014), dott. Travaglino, nel punto successivo evidenzia come altra sentenza della stessa Sezione III (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 20 settembre 2011, n. 19133) sul tema del danno da morte immediata ha affermato il principio che quando all’estrema gravità delle lesioni segua la morte, dopo un intervallo di tempo brevissimo, non può essere risarcito il danno biologico “terminale” connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull’intensa sofferenza d’animo conseguente alla consapevolezza delle proprie condizioni cliniche e della morte che sta per sopraggiungere (danno catastrofale o catastrofico o da lucida agonia);

UNA SVOLTA EPOCALE La sentenza 1361 del 2014 ha dunque segnato una netta svolta rispetto all’orientamento tradizionale (sintetizzato nella decisione della Suprema Corte n. 6754/2011), per il quale il danno da perdita della vita non è risarcibile e quindi trasmissibile agli eredi; né risulta accettabile limitare il risarcimento del danno da morte alla sola ipotesi in cui il danneggiato abbia la consapevolezza dell’imminenza della morte in virtù della gravità delle proprie condizioni cliniche e provi per tale ragione “intensa sofferenza d’animo”, identificandolo, quindi, nella categoria del danno morale, così come più volte affermato successivamente alla pronuncia del 2008. Con ampia e articolata motivazione, la pronuncia n. 1361/2014, dopo un lungo excursus sulle teorie enunciate dagli studiosi del diritto e sulle decisioni di parte della giurisprudenza di merito, è pervenuta, dunque, alla diversa conclusione secondo la quale la perdita della vita ha rilevanza autonoma e dunque non può essere negata la sua risarcibilità né questa può essere ancorata alla sola ipotesi di sussistenza di un adeguato periodo di lucidità e di coscienza nella vittima ai fini dell’acquisizione al suo patrimonio di un diritto trasmissibile in capo agli eredi. Per gli studiosi del diritto, e cultori della materia della responsabilità civile, la decisione rappresenta una sorta di glossario e di guida la cui lettura e il cui esame costituisce, a mio modesto parere, un passaggio fondamentale da cui non si può prescindere. In attesa, dunque, che le Sezioni Unite si pronuncino abbracciando i principi appena enunciati dalla Sezione semplice, ritengo opportuno tornare a breve ad affrontare alcuni dei passaggi più significativi della decisione in questione, anche in relazione al dibattuto argomento del danno non patrimoniale e delle sue componenti (biologico da invalidità permanente e inabilità temporanea assoluta e parziale, morale ed esistenziale), che pure ha scatenato non poche discussioni.