La lettura e l’esame di una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, riguardante la corretta compilazione della cartella clinica, mi induce a porre in evidenza, ancora una volta, le responsabilità connesse all’agire del medico. Dopo l’assoluzione in primo grado del sanitario, imputato di aver inserito in cartella clinica definitiva un dato non ancora confermato da analisi e la successiva condanna in sede di appello, i giudici di legittimità, su ricorso dello stesso, hanno confermato la correttezza di quest’ultima decisione e, con l’occasione, hanno ribadito che la cartella clinica riporta un’analisi dettagliata del decorso della malattia e, pertanto, modificare o integrare l’unico documento che attesta lo stato delle cose altera il percorso di analisi del caso. Vediamo dunque perché la compilazione e tenuta della cartella clinica diventa rilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità del medico.
LA CARTELLA CLINICA E’ UN ATTO PUBBLICO La cartella è il documento in cui è descritto il decorso del ricovero, ovvero il suo andamento clinico. Si tratta di un atto pubblico di fede privilegiata, ossia atto redatto dal professionista sanitario (pubblico funzionario) nell’esercizio di una potestà di certificazione ed attestazione conferita dalla legge ed in conformità ai singoli regolamenti interni. Dovrebbe contenere in ordine cronologico i dati anagrafici, anamnestici, clinici, diagnostici e terapeutici, le prescrizioni ed ogni altra informazione di rilievo per la storia clinica del paziente nel periodo di ricovero (visite, esami, diagnosi, terapie, interventi ecc.). E’, dunque, il diario sanitario del paziente e, infatti, adempie alla funzione di “diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, per cui gli eventi devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi” (Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza dell’11 settembre 2013, n. 37314; conformemente a Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza dell’11 luglio 2005, n. 35167; Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza del 17 febbraio 2004 n. 13989).
ALTERARLA E’ UN FALSO PUNIBILE Ne consegue che (all’infuori della correzione di meri errori materiali), le modifiche e le aggiunte integrano un falso punibile, anche se il soggetto abbia agito per ristabilire la verità, perché violano le garanzie di certezza accordate agli atti pubblici (Cassazione Penale, Sezione IV, Sentenza del 7 luglio 2010, n. 37925; Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza del 16 aprile 2009, n. 31858; Cassazione Sezioni Unite, Sentenza del 27 marzo 1992, n. 7958; Cassazione sez. V penale, 21 aprile-11 novembre 1983, n. 9423). Tutto ciò che viene annotato in cartella clinica assume, pertanto, carattere di definitività e nulla può essere più aggiunto o modificato a pena di falsità in atto pubblico. Il contenuto fa, dunque, piena prova, secondo quanto disposto dall’art. 2700 del codice civile, fino a querela di falso, circa la provenienza dal medico che l’ha formata e dei fatti che il medesimo attesti essere avvenuti in sua presenza. Al contrario le valutazioni riportate in cartella clinica non fanno prova e potranno essere contrastate ed accertate con tutti i mezzi di prova, senza necessità di proporsi querela di falso (Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 27 aprile 2006, n. 9649).
DEONTOLOGIA MEDICA L’art. 26 del codice di deontologia medica (così come riformato e in vigore dal 16 dicembre 2006) precisa poi, che “la cartella clinica delle strutture pubbliche e private deve essere redatta chiaramente, con puntualità e diligenza, nel rispetto delle regole della buona pratica clinica e contenere, oltre ad ogni dato obiettivo relativo alla condizione patologica e al suo decorso, le attività diagnostico-terapeutiche praticate. La cartella clinica deve registrare i modi e i tempi delle informazioni nonché i termini del consenso del paziente, o di chi ne esercita la tutela, alle proposte diagnostiche e terapeutiche; deve inoltre registrare il consenso del paziente al trattamento dei dati sensibili, con particolare riguardo ai casi di arruolamento in un protocollo sperimentale”.
RESPONSABILITA’ Il medico primario della struttura ospedaliera (pubblica o privata) è responsabile della compilazione (intesa anche come sorveglianza) e della conservazione della cartella clinica sino alla sua avvenuta archiviazione, ex art. 7 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 128 del 1969. La giurisprudenza precisa: “l’irregolare compilazione e/o tenuta della cartella clinica tale da impedire l’acquisizione di elementi rilevanti al fine di ricostruire la condotta medica configura una violazione dell’obbligo di diligenza. Infatti, le omissioni imputabili al medico nella redazione della cartella clinica rilevano come figura sintomatica di inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale contenuta nell’art. 1176, comma 2, del codice civile” (Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 26 gennaio 2010, n. 1538; analogamente a Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 18 settembre 2009, n. 20101; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 5 luglio 2004, n. 12273). E ancora, “le omissioni imputabili al medico nella redazione della cartella clinica rilevano sia come figura sintomatica di inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale contenuta nell’art. 1176, comma 2, del codice civile, sia come nesso eziologico presunto, posto che l’imperfetta compilazione della stessa non può, in via di principio, risolversi in danno di colui che vanti un diritto in relazione alla prestazione sanitaria” (Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 26 gennaio 2010, n. 1538).
FATE ATTENZIONE qualora riteniate di
essere stati vittima di errore medico il
primo atto da compiere a vostra tutela, sia che la condotta abbia
riguardato voi personalmente, sia che abbia riguardato un vostro familiare, è
rivolgervi agli organi di pubblica sicurezza (polizia di stato o carabinieri) i
quali, esaminato quanto esposto e valutata l’opportunità, potranno chiedere
l’intervento urgente del magistrato al fine di ottenere, eventualmente, un
provvedimento che cautelarmente disponga il sequestro della cartella clinica, secondo
quanto disposto dall’art. 256, comma 2, del codice di procedura penale, relativa
all’intervento cui siete stati sottoposti, o è stato sottoposto il vostro
congiunto. Ciò per evitare che l’elemento probatorio più importante, e che si
trova nella disponibilità di medici e struttura ospedaliera, subisca delle alterazioni.
Aggiungerei, a mio personale giudizio, che la corretta compilazione della
cartella clinica secondo le più accreditate linee guida in materia (completezza,
veridicità, precisione, chiarezza), non solo costituisce un’utilità per il
paziente ma è altresì un elemento fondamentale per vagliare il buon operato
medico e, quindi, un ottimo strumento di difesa in caso di contenzioso.