mercoledì 6 settembre 2017

ENERGIA ELETTRICA: IL FURTO È REATO ANCHE SE PER NECESSITÀ ECONOMICHE


È quanto ha affermato la Corte di Cassazione con una recentissima sentenza che, sebbene estremamente stringata nel contenuto e non nuova nei principi e nelle conclusioni a cui giunge, ha avuto notevole eco e ampio risalto mediatico. Infatti, il riconoscimento e la consapevolezza dell’esistenza anche nel nostro Paese di fasce sociali che sfiorano la povertà, se da un lato hanno indotto il Legislatore ad avere finalmente maggiore e concreta attenzione nei confronti di chi versa in condizioni economiche disagiate (si veda il reddito di inclusione di recente approvazione), dall’altro lato hanno portato giudici e opinione pubblica in genere a giudicare con un occhio meno severo reati commessi appunto per ragioni di necessità economiche. Un precedente in tal senso è stata la sentenza di assoluzione pronunciata lo scorso anno dalla Corte di Cassazione nei confronti di un giovane senza fissa dimora e senza lavoro che aveva commesso un furto per fame (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 2 maggio 2016, n. 18248). Con la sentenza in commento, invece, la Cassazione sembra cambiare completamente registro. Vediamo perché.

ALLACCIO ABUSIVO La vicenda portata all’attenzione della Cassazione è quella di un allaccio abusivo alla rete elettrica, quindi senza contratto di fornitura e senza bollette da pagare. Succede molto spesso, anche per le forniture dell’acqua e quelle del gas. Quasi sempre, si tratta semplicemente di persone disoneste, di furbetti, che vogliono l’utenza senza pagarne il corrispettivo o che si riallacciano abusivamente alla rete dopo che ne hanno subito il distacco per morosità. Nel caso in esame, però, l’allaccio abusivo sarebbe stato determinato dallo stato di necessità in cui versava l’imputata, in quanto “sfrattata e priva di lavoro, con una figlia incinta”, e che riteneva che tali “condizioni certamente precarie e faticose, … avrebbero dovuto portare all’assoluzione (dal conseguente reato di furto di energia elettrica contestatole) per mancanza di colpevolezza, in applicazione del principio di cui all’art. 54 cod. pen.”, relativo appunto allo stato di necessità. 

MA NON C’È STATO DI NECESSITÀ! Richiamandosi ad un proprio orientamento consolidato, infatti, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’esimente dello stato di necessità, in quanto postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, non può applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti. Nel caso in questione, pertanto, la mancanza di energia elettrica non comportava nessun pericolo attuale di danno grave alla persona, trattandosi di bene non indispensabile alla vita (tant’è che l’energia elettrica veniva utilizzata anche per muovere i numerosi elettrodomestici della casa), ma piuttosto di un bene idoneo a procurare agi ed opportunità, quasi superfluo. Stando così le cose, pertanto, non si configura quel concetto di incoercibile necessità, insita nella previsione normativa, che evidentemente richiede l’assoluta assenza di un’alternativa concretamente ed utilmente realizzabile dal soggetto agente rispetto al determinarsi a commettere una condotta illecita (Corte di Cassazione, sezione feriale penale, sentenza del 31/08/2017, n. 39884).

QUINDI, È REATO AGGRAVATO! A calcare ancor più la mano, la Corte di Cassazione non solo ha escluso l’esimente invocata (stato di bisogno), ma ha anche ritenuto che il reato fosse aggravato ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 2, cod. pen.. Infatti, sebbene “effettuato senza rompere o trasformare la destinazione del cavo”, secondo i giudici di legittimità, l’allacciamento abusivo alla rete, in qualunque modo effettuato, integra comunque la fraudolenza sanzionata dalla norma. Insomma è fraudolento in re ipsa, conformemente a quanto pacificamente affermato in tema di furto dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale la circostanza aggravante del mezzo fraudolento è costituita dall’uso di qualunque mezzo insidioso idoneo a far attenuare l’attenzione del possessore del bene nella difesa del patrimonio o che consenta di eludere più agevolmente le cautele poste dal detentore a difesa della cosa (Corte di Cassazione sez. V penale, sentenza  del 03/08/2017,  n. 38752).

Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando