venerdì 19 maggio 2017

CALCIO, MANICHINI, MINACCE E GLI OCCHI DELL’UOMO COMUNE


Di recente, hanno suscitato grande scalpore, nel mondo calcistico e non solo, le immagini dei manichini impiccati di alcuni calciatori della AS Roma trovati in prossimità del Colosseo con la scritta “Un consiglio senza offesa… dormite con la luce accesa!”. Ma, mentre per alcuni si è trattato solo di una bravata, di un innocuo gesto goliardico, normale per una città che vive intensamente e con grande passione la competizione con l’altra squadra cittadina ed ogni clima pre derby, per altri, invece, la vicenda è da condannare duramente, rappresentando l’emblema di un mondo oramai sempre più malato. Insomma, un gesto che non ha nulla a vedere con lo sport. Ma, al di là delle reazioni, ironiche o indignate, dell’opinione pubblica, alcuni si sono chiesti se la vicenda possa assumere una rilevanza ben più grave. In sintesi ci si è chiesti se tale condotta possa integrare addirittura gli estremi di un reato. In effetti, all’indomani dell’episodio descritto, si era ipotizzato il reato di minaccia aggravata. Vediamo, allora, insieme…


SPORT CHE PASSIONE, OK, ma le manifestazioni di violenza non possono essere mai giustificate. Lo ha ribadito diverse volte e per diverse circostanze anche la Corte di Cassazione. Purtroppo, però, nel mondo del calcio assistiamo sempre più e spesso ad episodi che nulla hanno a che fare con il calcio, con lo sport e con la autentica passione sportiva. Quasi ci siamo abituati a vedere, in occasione di partite, forze dell’ordine in tenuta antisommossa, misure di sicurezza degne di un G7, risse anche mortali tra tifoserie contrapposte, atti vandalici dentro e fuori gli stadi. Quasi non ci scandalizziamo più a sentire che alcune tifoserie sono influenzate o addirittura infiltrate ed utilizzate da organizzazioni criminali! E anche gli stessi calciatori, ora sono osannati e idolatrati e ora sono bersagli di attacchi e minacce, non solo verbali, e indipendentemente se appartengono alla squadra avversaria ovvero alla propria squadra (quando non portano i risultati attesi o non mostrano quell’attaccamento alla maglia che ci si aspetterebbe). E così, tifo e codice penale si vengono spesso ad intrecciare e anche quella che può sembrare ad alcuni una folcloristica rappresentazione della propria fede sportiva può in realtà configurare un reato.

IL REATO DI MINACCIA di cui all’art. 612 codice penale, in particolare, secondo il consolidato orientamento interpretativo della Corte di Cassazione, perché possa dirsi configurato, non richiede che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo. Il delitto di minaccia è reato di pericolo che non presuppone la concreta intimidazione della persona offesa, ma solo la comprovata idoneità della condotta ad intimidirla. Cioè, la norma che incrimina la minaccia delinea un reato di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mediante l’incussione di timore nella vittima. È sufficiente, invece, che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per ciò solo, la sfera della libertà morale. Dunque, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il reato di minaccia richiede il riferimento esplicito, chiaro ed inequivocabile ad un male ingiusto, idoneo, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di luogo, ad ingenerare timore in chi risulti esserne il destinatario (si veda, da ultima, Corte di Cassazione, sez. quinta penale, sentenza n. 22710 del 10/05/2017).

A PROPOSITO DI CALCIO la giurisprudenza di legittimità non si discosta dai principi sopra enunciati. Infatti, proprio in applicazione di essi, la Corte di Cassazione ha in passato censurato la decisione del giudice di merito, che aveva escluso il contenuto intimidatorio di alcune espressioni rivolte ad alcuni giocatori di una squadra di calcio e contenute in una lettera anonima, pubblicata su un quotidiano sportivo, ritenendo (in maniera giudicata quindi errata) che fossero volte non tanto ad intimidire i calciatori, quanto ad esternare il malcontento della tifoseria nei confronti di alcuni di essi, adoperando il linguaggio colorito che sarebbe "prassi costante" nel mondo calcistico (Corte di Cassazione, Sez. 5, sentenza n. 46528 del 02/12/2008).

QUINDI ai fini dell’integrazione del delitto è necessario che la minaccia, da valutarsi con criterio medio (cioè con gli occhi dell’uomo comune) ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto. Inoltre, con l’espressione minaccia grave, contenuta nel secondo comma dell’art 612 cod. pen., il legislatore ha inteso dare rilievo all’entità del turbamento psichico che l’atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo. E, a tal fine, non è necessario che la minaccia di morte sia circostanziata, potendo benissimo, anche nel modo generico come viene pronunciata, produrre un grave turbamento psichico, che, nel caso in esame, ben potrebbe essere stato prodotto dalla natura macabra della rappresentazione (peraltro raffigurante calciatori non anonimi, ma ben individuati ed identificati), dal linguaggio larvatamente intimidatorio della scritta (certamente non attenuato dalla simpatia della rima) e dalle circostanze di luogo, di tempo e di modalità di divulgazione del messaggio (caratterizzate da una forte teatralità e da una pubblicità e una diffusione massime) (Corte di Cassazione, sez. V penale, sentenza del 03/12/2015, n. 48005).


Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando