mercoledì 14 ottobre 2015

CONDOMINIO: COME SI CONVOCA L'ASSEMBLEA (PICCOLO VADEMECUM PRIMA PARTE)


Nelle ultime settimane hanno scritto in redazione alcuni lettori ponendoci i quesiti più diversi sulla validità, legittimità e forma della convocazione dell’assemblea condominiale. Ho pensato, allora, di prendere spunto da queste domande per fare chiarezza su alcuni punti nella speranza di dipanare i dubbi e al contempo offrire, a chi ne abbia la necessità, una piccola e sintetica guida. Le questioni connesse all’argomento sono infatti molteplici e ognuna di loro richiede qualche considerazione giuridica, in questo post la prima parte…

SI DECIDE SOLO IN ASSEMBLEA Le norme che riguardano la convocazione e il funzionamento dell’assemblea sono dettate dall’articolo 1136 del codice civile e sono inderogabili ovvero non possono essere mutate neppure con il consenso unanime dei condomini. Posto che l’assemblea è l’organo principale del condominio occorre rammentare innanzitutto che essa è chiamata ad esprimere la volontà dei partecipanti e che per tali decisioni vale il principio maggioritario. Importante sottolineare che le volontà dei singoli condomini non si sommano ma si fondono. Ciò sta a significare che quando la maggioranza ha deciso, è come se avessero deciso tutti. È bene chiarire che nessuna decisione importante del condominio può essere presa fuori dall’assemblea, nemmeno se fosse scritta su un pezzo di carta e controfirmata dalla grande maggioranza dei condomini, perché la legge descrive l’assemblea come il luogo dove si dibatte e quindi è concesso ad ognuno dei partecipanti cambiare anche idea nel corso della discussione prima che venga assunta la delibera in via definitiva. In base a tale assunto risulta pertanto, sotto il profilo strettamente giuridico, assai dubbia la prassi, peraltro diffusa, secondo la quale l’assemblea delega a un gruppo di condomini (per esempio, i consiglieri) il potere di decidere su un determinato argomento come l’accettazione di un preventivo o la forma di un contratto.

CHI LA CONVOCA E COME SI CONVOCA Come è noto l’assemblea viene convocata dall’amministratore condominiale in carica e sono solo tre i casi in cui può essere convocata da persone differenti ovvero: 

1) da ciascun condomino, quando manca l’amministratore (per esempio, è defunto o gravemente malato);

2) da almeno due condomini che rappresentino 1/6 del valore dell’edificio, qualora l’amministratore si sia rifiutato di convocarla; più precisamente, i condomini hanno diritto di convocarla dopo dieci giorni da quando la richiesta è respinta o ignorata, stabilendo anche l’ordine del giorno.

3) dal curatore speciale, come stabilito dall’articolo 65 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

Ogni condomino, o meglio, ogni avente diritto, si pensi al caso dell’usufruttuario o dell’inquilino, ha il diritto di essere informato in merito alla convocazione dell’assemblea e, pertanto, di intervenire alla stessa. La formalità relativa alla comunicazione della data prevista per la riunione assembleare, contenente – tra l’altro – l’ordine del giorno, viene adempiuta dall’amministratore con l’invio dell’avviso di convocazione. La Legge 220/2012, riformando l’art. 66 delle disposizioni di attuazione al codice civile, ha inteso fare chiarezza sui modi (o meglio strumenti) di convocazione stabilendo che l’avviso di convocazione deve essere comunicato a mezzo raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano. La riforma ha quindi sancito l’obbligatorietà della forma scritta escludendo, implicitamente, tutte le altre forme di convocazione come ad es. l’affissione nei locali comuni o nella bacheca condominiale. Proprio in riferimento alla possibilità di utilizzo di nuove tecnologie, la nostra attenzione si rivolge soprattutto alla posta elettronica certificata (PEC), ma anche alla stessa trasmissione fax. Questi mezzi di convocazione potrebbero, tuttavia, comportare dei problemi in merito al tempestivo invio dell’avviso di convocazione, come si vedrà meglio in seguito.

QUANTO TEMPO PRIMA? Per espresso disposto legislativo e fatta salva una diversa previsione regolamentare, che può legittimamente prevedere un termine più lungo (ma mai ridurlo), l’avviso di convocazione deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione. Per calcolare utilmente il termine dei cinque giorni, pertanto, il riferimento è quello della data di prima convocazione, limite entro il quale l’avviso di convocazione deve anche giungere a destinazione. La ratio legis di tale disposizione è evidente: ogni condomino deve essere messo in condizione di partecipare all’assemblea e deve avere il tempo di documentarsi o essere edotto sui punti posti all’ordine del giorno. Da ciò ne consegue che risulta necessario che l’avviso di convocazione, previsto dall’art. 66, sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine, ivi stabilito, di almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza.

MA QUANDO SI DÀ PER AVVENUTA LA CONOSCENZA? Ciò posto, se il condomino è in casa nulla quaestio, ritirerà la raccomandata o prenderà visione della PEC o della comunicazione fax. Ci si domanda, invece, cosa succede se lo stesso risulta assente al domicilio, specie per lungo tempo, in modo tale che l’amministratore non ha prova dell’avvenuta “consegna” dell’avviso di convocazione. Bisogna ricordare allora che l’avviso di convocazione risulta essere atto recettizio, ovvero ciò sta a significare che per produrre i suoi effetti deve essere portato a conoscenza del destinatario. La regola della recettizietà degli atti e, pertanto, della presunzione di conoscenza, è dettata dall’art. 1335 del codice civile, per cui: “La proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”.

ECCO COME SI CALCOLANO I TERMINI Ma attenzione: il computo dei cinque giorni va effettuato con un conteggio a ritroso dal giorno precedente a quello fissato per la riunione, con esclusione quindi del giorno iniziale e l’inclusione di quello finale, vale a dire quello del ricevimento della convocazione. In pratica, se la riunione assembleare in prima convocazione è fissata per il giorno 30 ottobre, l’avviso si considererà tempestivo se ricevuto il giorno 25 ottobre. Ma cosa s’intende effettivamente per “ricezione”? Cerchiamo di fare chiarezza. Si è detto che l’avviso di convocazione, siccome atto recettizio, non solo deve essere inviato nei suddetti termini, ma anche ricevuto dal condomino; ciò, tuttavia, non vuol dire che lo stesso debba entrare fisicamente in possesso dell’avviso di convocazione. Infatti, per ricezione dell’avviso di convocazione si deve intendere non la materiale ed effettiva consegna dello stesso ma il momento in cui lo stesso entra sicuramente nella sfera di conoscibilità del destinatario, giusto il principio sopra richiamato di recettizietà degli atti, secondo quanto stabilito dall’art. 1335 del codice civile, per cui: “ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario”. Pertanto, nel caso in cui il destinatario, o condomino, si trovi fuori sede, lo stesso non potrà validamente eccepire la mancata ricezione entro i termini di legge dell’avviso di convocazione, proprio perché il processo di spedizione s’intenderà perfezionato dal giorno in cui la missiva giunge a destinazione, evenienza certificata dall’immissione dell’avviso di giacenza nella cassetta postale del destinatario. Da quel momento, pertanto, devono computarsi i termini, non certo dal materiale ritiro della raccomandata presso l’ufficio postale. Non raramente accade, infatti, che il destinatario materiale dell’atto curi il ritiro della raccomandata presso l’ufficio postale, in epoca successiva, magari addirittura dopo la celebrazione dell’assemblea, tuttavia, se il plico è pervenuto al suo indirizzo nei canonici cinque giorni, lo stesso non avrà possibilità alcuna di eccepire utilmente l’invalidità dell’assemblea per difetto di convocazione.

CONDOMINO AVVISATO, AMMINISTRATORE MEZZO SALVATO? Per l’amministratore è di fondamentale importanza verificare (e quindi provare) che tutti i condomini siano stati regolarmente avvisati dello svolgimento dell’assemblea. Infatti, come ben dispone il sesto comma dell’art. 1136 del codice civile, “l’assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati”. L’utilizzo del verbo “constare” sta proprio a significare, secondo l’intenzione del Legislatore, che deve risultare in modo certo la regolarità della convocazione nel rispetto dei termini sopra richiamati. Ora, è di indiscutibile interesse osservare che la legge di modifica della disciplina del condominio negli edifici ha sostituito il termine condomino con la locuzione avente diritto. Ma chi assume la qualità di avente diritto ai sensi della norma testè citata? La questione non è di poco momento posto che ne va della legittimità non solo della convocazione ma della validità della stessa seduta assembleare. 

GLI AVENTI DIRITTO SONO… Attualmente vigono due orientamenti. Il primo vuole che ad essere destinatari dell’avviso di convocazione siano anche gli inquilini che occupano le unità abitative dei condomini e che sono chiamati ad esprimere, secondo quanto prevede la legge, il loro voto su alcune materie. Ricordiamo infatti che l’art. 10 della Legge 27 luglio 1978, n. 392 espressamente dispone: “Il conduttore ha diritto di voto, in luogo del proprietario dell’appartamento locatogli, nelle delibere dell’assemblea condominiale relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria. Egli ha inoltre diritto di intervenire, senza diritto di voto, sulle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni. La disciplina di cui al primo comma si applica anche qualora si tratti di edificio non in condominio. In tale ipotesi i conduttori si riuniscono in apposita assemblea convocati dal proprietario dell’edificio o da almeno tre conduttori. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del codice civile sull’assemblea dei condomini.”.

OPPURE… Il secondo orientamento, invece, asserisce che il termine “aventi diritto” dev’essere inteso come soggetti aventi un diritto reale nell’edificio e quindi riferirsi solamente a proprietari, usufruttuari e simili. Ci sembra che quest’ultima ipotesi sia quella corretta posto che l’amministratore non è in grado di conoscere sempre ed esattamente se un’unità immobiliare sia locata e a chi. Il contratto di locazione, infatti, è un atto inter partes che molto spesso non viene comunicato o viene comunicato con estremo ritardo all’amministratore. Di conseguenza attribuire a quest’ultimo l’onere di convocare gli inquilini significa esporre il condominio al rischio di una pletora di impugnative delle delibere assembleari qualora uno o più conduttori non venisse convocato. Vale la pena ricordare che ai sensi dell’art. 66, terzo comma, “in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati”. Ciò che, invece, l’amministratore è tenuto a fare,  quando all’ordine del giorno è inserita l’approvazione delle spese e delle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria o si verte su delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni, è l’inserimento in calce alla convocazione dell’invito rivolto ai singoli condomini di farsi parte diligente comunicando la medesima convocazione anche ai loro rispettivi inquilini affinchè questi partecipino all’assemblea per le questioni di loro competenza e interesse.

MA NON FINISCE QUI! Come accennato in apertura gli aspetti da considerare sono diversi, la seconda parte di questo vademecum sarà online lunedi prossimo.

Dottor Massimo Botti – Studio Comite