martedì 15 settembre 2015

MATRIMONIO: CHIEDERE LA NULLITÀ È PIÙ SEMPLICE E MENO COSTOSO


Motivi per ricordare Papa Francesco ce n’erano già parecchi a prescindere dal credo religioso. Ora però ritengo che la svolta data al processo canonico di nullità del matrimonio, dopo tre secoli di sostanziale staticità e, oserei dire, anacronismo, aggiungerà ulteriore popolarità a una figura già molto amata e stimata. Il suo pontificato si è indubbiamente caratterizzato per la spiccata capacità di vivere accanto alle persone e recepirne istanze ed esigenze, per la propensione al dialogo e alla comprensione. A tutto ciò si aggiunga la celerità con cui si fa carico delle problematiche della comunità pastorale, offrendo soluzioni vicine alle necessità della gente. Così facendo ha guadagnato proseliti e riconquistato il favore di migliaia di fedeli scorati. Insomma, la sua condotta caritatevole e accogliente ha raccolto consensi in ogni ambito sociale e specialmente all’interno della famiglia verso cui ha avuto un atteggiamento caritatevole e innovativo al contempo, quasi rivoluzionario. In quest’ordine di idee si è fatto portavoce dell’esigenza di migliaia di cattolici, separati e divorziati civilmente, che chiedevano di essere ammessi all’assunzione dei sacramenti. In altre parole, occorreva che la Chiesa cattolica non rimanesse ancorata a criteri rigidi e austeri ma mostrasse maggiore elasticità nell’affrontare anche il delicato tema delle lunghe, incerte e costosissime procedure di nullità matrimoniale, in presenza dei requisiti per farvi ricorso. Ebbene, Papa Bergoglio ha fatto centro anche in questo… 

IL MATRIMONIO RELIGIOSO SE È VALIDO RESTA INDISSOLUBILE Spesso si parla impropriamente di annullamento del matrimonio religioso. In realtà il matrimonio, celebrato secondo le regole del diritto canonico, è perfettamente valido e non può essere dissolto. Altra cosa sono gli aspetti civilistici del vincolo coniugale per i quali la separazione e il divorzio sono sempre possibili e ancorati a principi del tutto differenti rispetto a quelli religiosi. Occorre, dunque, precisare che la riforma del processo di nullità dei matrimoni non significa generica possibilità di dissolvere il sacro vincolo ma semplicemente che si è resa più snella, veloce e meno costosa la procedura per ottenere la dichiarazione di nullità di quei matrimoni religiosi viziati all’origine. Mi spiego meglio: non tutti i matrimoni celebrati davanti a un sacerdote possono di per sé essere dichiarati nulli su semplice istanza di entrambi i coniugi o di uno soltanto. Per ottenere un tale provvedimento devono sussistere secondo il diritto canonico, oggi come prima, determinati inderogabili requisiti quali per esempio l’impotenza di un coniuge, il matrimonio non consumato, la volontà di non procreare o altri recentemente introdotti. 

DUE LETTERE PER UNA RIFORMA EPOCALE Le nuove regole che incideranno sui canoni esistenti sono contenute in due lettere firmate il 15 agosto appena trascorso e pubblicate l’8 settembre, su iniziativa del Papa (motu proprio) in base ai poteri di cui dispone. Le norme entreranno, poi, in vigore il prossimo 8 dicembre. Certo, le regole in questione sono il risultato dello studio affrontato da una commissione di esperti che si è riunita su incarico del pontefice, affinché venissero recepite le indicazioni emerse nel sinodo dei vescovi sulla famiglia tenutosi lo scorso autunno. Ma in ogni caso, la penna e l’indirizzo sono quelli del Santo Padre il quale ha sottolineato che questa riforma riguarda eventi di pertinenza della Chiesa e che è necessario, dunque, abbandonare la logica giudiziaria delle cause di nullità. Il senso è che con le nuove regole non si è voluta agevolare la possibilità di fare ricorso in modo smodato allo strumento della nullità del vincolo religioso ampliando tout court le ipotesi di nullità ma, semplicemente, si è voluto rendere più veloce e meno costoso il procedimento cui possono fare ricorso tutti coloro che si trovano nelle condizioni evidenziate sia nelle norme recentemente introdotte sia in quelle già esistenti affinché, “a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio”.

IL VECCHIO PROCEDIMENTO RICHIEDEVA DUE GIUDIZI: un “primo grado” e un “appello”. La decisione veniva presa da tre giudici e, quindi, collegialmente. Se le due sentenze non erano concordi, vale a dire dello stesso tenore, si faceva ricorso alla “Sacra Rota romana” (il tribunale ordinario della Santa Sede che interveniva in terzo grado). La seconda decisione era necessaria anche nel caso in cui, dopo il primo grado di giudizio, nessuna della parti avesse fatto ricorso contro la decisione. Naturalmente, condizione di procedibilità era la sussistenza della circostanza che il matrimonio fosse irreparabilmente fallito e fosse impossibile ristabilire la convivenza coniugale.

IL NUOVO INVECE, STABILISCE CHE al centro della riforma vi sono il vescovo e i poveri e gli elementi di novità sono sostanzialmente tre:

1) è stato eliminato l’obbligo della doppia sentenza, conforme alla prima. La durata del procedimento di primo grado non potrà essere superiore ad un anno e la sentenza diventerà subito esecutiva se non verrà proposto appello o se, ancora, le motivazioni di quest’ultimo saranno manifestamente infondate. Nei casi più gravi si potrà ancora fare ricorso alla Sacra Rota romana.

2) al procedimento più strettamente giudiziale se ne affiancherà un altro per così dire amministrativo che sarà complementare e che verrà affidato al vescovo. Quest’ultimo avrà il potere di dichiarare nullo il matrimonio in un processo che è stato definito “breve”. Se, infatti, tra le parti non vi sarà contenzioso (procedura consensuale) e se le prove alla base della richiesta di nullità saranno evidenti, il processo, dal momento della convocazione, potrà durare al massimo 30 giorni. La sentenza sarà pronunciata dal vescovo diocesano altrimenti, qualora costui non avesse elementi sufficienti per decidere, verrà rimandata al procedimento ordinario;

3) verrà istituito un giudice unico che, in linea di principio, dovrà essere collegiale e formato da tre chierici, ma se ciò non fosse possibile verrà consentito che il collegio sia costituito da un chierico e due laici. Laddove non fosse possibile costituire il collegio, la decisione potrà essere assunta anche da un solo giudice che, tuttavia, dovrà essere chierico. In ogni caso il giudice unico sarà assistito da due aiutanti approvati dal vescovo che svolgeranno una funzione garantista.

IL VESCOVO PRONUNCIA LA NULLITÀ IN IPOTESI TASSATIVE Tra le cause che determinano la nullità del vincolo e che possono portare a una tale pronuncia facendo ricorso alla procedura breve davanti al vescovo ci sono la mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici.

I COSTI SI RIDUCONO Le nuove regole prevedono poi nella sostanza la gratuità del procedimento al fine di consentire il ricorso a tale strumento anche ai meno abbienti. Ciò non significa, secondo quanto indicato nel documento pontificio, che non venga assicurato un compenso ai laici chiamati a partecipare al procedimento che abbiano famiglia da mantenere. In ogni caso, non sarà più necessaria la presenza dell’avvocato nella procedura “breve” davanti al vescovo quando vi è il consenso di entrambi i coniugi sulle cause e sulla richiesta di nullità. 


IN SINTESI La riforma, al di là del significato pastorale che riveste, sembra aver dato avvio ad un approccio più adeguato ai tempi e alle esigenze della comunità dei fedeli. Pone, inoltre, indubbiamente fine al salasso economico che comportava il ricorso a tale procedura considerato che spesso, prima di giungere ad un risultato definitivo, occorrevano ben tre gradi di giudizio. Ritengo, quindi, che sia da salutare con estremo favore.

Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite